martedì 5 novembre 2013

SALUTE O LAVORO/LAVORO O SALUTE/O LAVORO E SALUTE?

di Medicina Democratica

intervento presentato da MD alla  prima conferenza nazionale “decrescita, sostenibilità e salute” organizzata dal MDF- Movimento Decrescita Felice- lo scorso il 28 ottobre a Roma (guarda  i video della giornata linkati dal canale youtube del mdf)

Una contraddizione, nota da decenni, che in questi ultimi anni è diventata più evidente, dalla quale sembra difficile uscirne.
Agli inizi della rivoluzione industriale non c’era contraddizione, le condizioni di lavoro, qualunque fossero, erano accettate. Solo da quando i lavoratori hanno iniziato ad organizzarsi, quando sono nate le società di mutuo soccorso e i sindacati il problema ha cominciato a porsi anche se in modo indiretto.
Le prime rivendicazioni hanno riguardato l’aumento dei salari, la rivendicazione per la riduzione dell’orario di lavoro a partire da quello dei bambini. Per lungo tempo gli infortuni sul lavoro e le malattie da lavoro sono state considerate inevitabili, una sorta di necessario tributo al progresso. Una storia che stanno rivivendo oggi i paesi di nuova e spinta industrializzazione che a mala pena si conosce: parliamo delle decine o centinaia di minatori cinesi restano intrappolati nelle miniere di carbone, oppure degli operai tessili, stipati in fabbriche malsane che volte prendono fuoco, come in Bangladesh, con conseguenze disastrose e mortali.
In Europa, nel pieno sviluppo industriale, si è pensato alle assicurazioni prima che alla difesa della salute dei lavoratori per quanto la nascita delle assicurazioni sugli infortuni e sulle malattie sia stato un progresso rispetto alle condizioni precedenti. In Italia le prime assicurazioni per il risarcimento degli infortunati sul lavoro sono nate ad opera delle aziende quando si sono accorte che i numeri erano troppo elevati e quando i costi dei risarcimenti diventavano pesanti.
C’è stata una legislazione, debole e frammentata, anche in periodo fascista, ma è continuata a prevalere la mentalità dell’inevitabilità del danno da lavoro, la causa era da ricercarsi nel … triste destino.

LA SVOLTA
Si può indicare una data: il 20 maggio 1970 la legge n. 300 denominato Statuto dei diritti dei lavoratori. Leggi ve ne erano: per primo l’articolo 32 della Costituzione, e pure vi era l’articolo 2087 del codice civile, successivamente i decreti del presidente della Repubblica n. 347/1955 e 303/1956, ma la svolta è stata espressa con l’articolo 9 dello Statuto, ovvero con la partecipazione diretta dei soggetti interessati alla salvaguardia e alla affermazione della propria salute.
I lavoratori mediante loro rappresentanze hanno il diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, e promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
Questa svolta è iniziata qualche hanno prima e si affermata qualche anno dopo, infrangendosi, però, dopo la legge di Riforma Sanitaria (23.12. 1978 n. 833), altra grande pietra miliare nella storia del diritto alla salute, quando vi è stato un abbassamento politico e culturale della tensione partecipativa.
Si è raggiunto un traguardo, ma non per sempre, quando si è messa in discussione la monetizzazione della salute e si è affermato il concetto della non delega della salute al tecnico o all’esperto.
La salute, si è scoperto, non è un tema a se stante, che vive esclusivamente come concetto astratto. L’ OMS con la Carta di Ottawa del 1986 ha definito dei prerequisiti fondamentali:
“la pace, l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l’equità”.
Negli anni 80 è iniziato il declino, non tutto è stato ovviamente cancellato, ma si sono separati gli ambiti, si è operato da parte dei detentori del potere politico e soprattutto economico per indebolire i lavoratori e le loro possibilità di organizzazione. Pensiamo alla politica dei redditi, quindi al contenimento salariale, alla eliminazione della contingenza
Il perseguimento di tale politica avvenuta con tutta una serie di leggi e di accordi come la riforma del mercato del lavoro, oppure i 47 tipi tipologie di contratti, per arrivare alla precarietà, e per finire poi con la “manutenzione” ovvero eliminazione dell’articolo 18, non può non avere conseguenze per la difesa del diritto alla salute per i lavoratori, ma anche per l’intera società.


LE POPOLAZIONI INQUINATE
Ad acuire la contraddizione, specialmente negli ultimi due decenni sono entrate in campo “le popolazioni inquinate”.
Cittadini che abitano, vivono, lavorano nei pressi di insediamenti industriali che si accorgono, in genere dopo diversi anni che quella fabbrica o quell’insediamento (ad esempio un inceneritore o una discarica), produce vari genere di danni. Osservazioni empiriche, esperienze personali, che evidenziano un numero inaspettato di malati e morti, pongono delle domande. Quando queste osservazioni o constatazioni divengono collettive, nasce un movimento, si forma un comitato che comincia ad indagare ed andare più a fondo, o servendosi anche di persone al suo interno che hanno competenze specifiche, oppure cercando al di fuori altri esperti “democratici” fino ad arrivare a formulare richieste di vario genere che vanno dall’intervento di bonifica fino a quelle di chiusura dell’impianto. Movimenti che chiedono aiuto ai partiti e ai sindacati tradizionali, me che poi ne diffidano, vedendo che nella sostanza si pongono dall’altra parte.
Ed è qui che si manifesta lo scontro fra la popolazione di quel territorio e i lavoratori di quell’impresa.
Una storia durata vent’anni è stata quella dell’Assemblea permanente dei cittadini davanti alla Farmoplant, una fabbrica chimica che produceva pesticidi in zona di Massa e Carrara, culminata nella sua chiusura e smantellamento al seguito di un referendum popolare che ha dato come risultato il 72% di si per la chiusura in contrasto con il pronunciamento di tutte le forze politiche e sindacali, delle istituzioni e del vescovo. Una chiusura scontata (preceduta da anni ci cassa integrazione), ma si poteva evitare? Probabilmente si reimpiegando i lavoratori in una bonifica integrale e nella modifica delle produzioni. Facile a dirsi, ma difficile ad attuarsi anche per il rifiuto ad accogliere qualsiasi controproposta venuta “dal basso”.
Un’altra storia è quella del Petrolchimico di Marghera, che possiamo dire, nemmeno oggi si è conclusa, che è sfociata in un processo di grande dimensione, forse il primo di grande significato per la strada che ha aperto, certo giudiziaria per questo tipo di crimini, anche di crescita della coscienza sociale e popolare.
Una storia partita da una denuncia di un lavoratore, Gabriele Bortolozzo, addetto all’impianto del CVM (cloruro di vinile monomero) la principale sostanza impiegata ed indiziata, nel Petrolchimico, non certo l’unica, certamente cancerogena, che aveva portato alla malattia e alla morte decine di lavoratori (tre elenchi, rispettivamente di 92, 313, 110 casi di morti e di malati gravi. In tutto 515 persone che, nell’ipotesi dell’accusa si sono ammalate, spesso fino a morire, per il lavoro al Petrolchimico, a stretto contatto con il cloruro di vinile). Il processo iniziato nel 1998 , al seguito delle indagini svolte dal Pubblico Ministero, Felice Casson, con l’inchiesta avviata nel 1994 dopo la pubblicazione di un numero monografico di Medicina Democratica (92/93) curato da Gabriele Bortolozzo, dal titolo: “il cancro da cloruro di vinile al Petrolchimico di Marghera” . Lo stesso Bortolozzo aveva fatto obiezione di coscienza contro il suo essere addetto alla produzione con una sostanza tossica e cancerogena, riuscendo ad essere collocato in altro reparto (senza essere licenziato).
Non solo, ma decenni di produzioni di sostanze pesantemente inquinanti, decine di cd “incidenti”, avevano portato ad un pesantissimo grado di inquinamento la Laguna di Venezia, una delle meraviglie del mondo, portando gravissimi danni all’ambiente, mettendo in crisi anche altri lavoratori, come i pescatori, come gli addetti ad imprese turistiche. Insomma un disastro. Ed anche qui come nel territorio di Massa e Carrara un referendum popolare ha scelto per la chiusura del Petrolchimico mostrando un ulteriore e non meno pesante scontro fra lavoratori, sindacati, forze politiche principali e popolazione inquinata.

IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA
Una riflessione va fatta a partire dal processo di Marghera e a seguire dai numerosi procedimenti penali che si sono aperti per morti da lavoro e per disastri ambientali. L’abbiamo fatta noi, come Medicina Democratica, che oltre e dopo quel processo ci siamo costituiti parte civile in una ventina di processi, essendo accolti, per chiedere giustizia, ma anche per utilizzare una modalità efficace che porta ad una crescita della coscienza collettiva sui danni da lavoro e danni ambientali: non è diventata di senso comune oggi la pericolosità dell’amianto dopo il processo a Torino, contro ETERNIT di Casale Monferrato (processo non ancora concluso), che addirittura ha avuto un’influenza di carattere internazionale?
E la politica con l’istituzione sanitaria ed ambientale che hanno fatto: nella gran parte dei casi silenzi, oppure azioni di sviamento “la situazione è sotto controllo”, per non dire connivenze. Eppure le leggi c’erano e ci sono.
Per questo ci rivolgiamo alla Magistratura, nonostante le sue contraddizioni, i suoi tempi lunghi, nonostante il suo agire “ex post”.
Così il caso ILVA che in questo rapporto fra salute e lavoro è stato il più eclatante, dove l’intervento determinante della Magistratura ha sollevato il coperchio, ha attivato esperti importanti, istituti ancora più importanti (L’Istituto Superiore di Sanità), ha costretto l’istituzione ad intervenire per porre mano al problema (con le necessarie bonifiche), ma anche per attenuare l’impatto delle decisioni dei giudici per salvare il lavoro, ma nondimeno per salvare la proprietà. Proprietà che si fa proteggere anche da grandi esperti che hanno il coraggio di dire che l’eccesso di tumori fra la popolazione è dipeso dal grande consumo di sigarette (ma quanto è costata la loro consulenza?).
In questa occasione si sta mostrando un’evoluzione positiva rispetto agli altri esempi che abbiamo fatto (e ad altri che si possono fare), in cui lo scontro fra salute e lavoro non è così lineare, in cui vi è un “Comitato di lavoratori e cittadini liberi e pensanti” formato anche da lavoratori dell’ILVA, una sorta di indicazione ad affrontare il problema insieme fra lavoratori e cittadini inquinati con il duplice scopo di salvaguardare la salute di ambedue intervenendo nelle modalità di produzione, attuando le bonifiche in modo radicale, quindi senza licenziare e senza eliminare la fabbrica. Una possibilità sperimentata anche nel passato (esempio dell’Alfa Romeo).

CONCLUSIONI

1. È superabile il pensiero di quegli operai riportato da uno scritto di Giovanni Berlinguer (1977) “Non posso dimenticare quegli operai di Rosignano Solvay, dove si produce il monomero di cloruro di vinile, cancerogeno, che di fronte alle prospettive di chiusura della fabbrica dichiararono , e rispondere leggendo un intervento di Maldonado del 1977 su “Rinascita” “è evidente come, nel corso di soli 5 anni, fosse passata molta acqua sotto i ponti dai tempi in cui i fautori della crescita zero erano scherniti come servitori del capitalismo. Maldonado dimostra chiaramente di avere preso coscienza del fatto che sviluppo non significa esclusivamente espansione produttiva e che può esistere uno sviluppo senza crescita”.
2. È auspicabile che da questo convegno, dal complesso di questa iniziativa, possa nascere un Coordinamento nazionale fra le associazioni e i movimenti della sanità e della prevenzione per il diritto alla salute costituzionalmente garantito che, a partire dagli intendimenti di chi l’ha organizzato, si ponga anche nell’ottica di discutere su che cosa produrre e come produrre.