martedì 11 settembre 2012

Londra: se il Marxismo è ancora tra noi

Paolo Mossetti

La risposta al Guardian -“Why Marxism is on the rise again” – è intuibile nello straordinario  successo stesso della manifestazione svoltasi questa estate a Londra di cui ci parla Mossetti, dedicata alla dottrina del grande rivoluzionario di Treviri e che ha fatto registrare soprattutto una forte presenza giovanile. Di fronte alla crisi del capitalismo e al dominio del pensiero unico i movimenti antagonisti globalizzati, dei quali la componente giovanile è l’asse portante, rivolgono sempre più l’attenzione al fondatore della prima internazionale, non come la riesumazione di un cane morto, ma come un riferimento potente di negazione dell’esistente al di là dei veteromarxismi otto-novecenteschi. Ma sembra che nel mondo anglosassone il ritorno del confronto con Karl Marx non sia soltanto un affare degli attori del conflitto sociale. Da noi, invece, c’è chi dice che comunista e marxista non è stato mai, pur avendo militato con ruoli anche di responsabilità politica in un partito marxista (quello storicamente più importante – il PCI)  

«Il conflitto di classe sembrava semplice, un tempo: “La borghesia produce innanzi tutto i suoi seppellitori. La sua caduta ed il trionfo del proletariato sono altrettanto inevitabili”. Questo scrivevano Marx e Engels tra il 1847 e il 1848 nel secondo libro più venduto della storia, Il Manifesto del Partito comunista. Oggi, a 164 anni di distanza, la situazione è esattamente all’opposto. I proletari, lungi dal seppellire il capitalismo, lo stanno tenendo in vita artificialmente. Gli sfruttati e i sottopagati apparentemente liberati dalla più grande rivoluzione socialista della storia – quella cinese – sono condotti sull’orlo del suicidio per far continuare a giocare quelli in Occidente con i loro iPad. I soldi della Cina finanziano un’America altrimenti in bancarotta».
Inizia così un pezzo di Stuart Jeffries per il Guardian, dal titolo Why Marxism is on the rise again, perché il marxismo si sta rialzando di nuovo. Non un patetico foglio sovversivo, ma il più importante quotidiano progressista britannico decide di rispolverale i testi di Marx and Engels e si chiede come mai riescano ancora, nello scenario di macerie del mondo contemporaneo, ad alimentare una qualche speranza di cambiamento. La domanda non è del tutto peregrina, dato che dal 5 al 9 luglio si è tenuto a Londra il festival Marxism 2012. Non era una novità.
L’evento è organizzato da oltre un decennio dal Socialist Workers’ Party, un partito minoritario ben lontano dalle stanze dei bottoni. Ma questa volta è stato diverso: il festival ha ottenuto un’attenzione senza precedenti, soprattutto da parte dei più giovani. Ho deciso di farci un salto dopo aver aver ricevuto l’invito contemporaneamente da un amico ventenne artista di Camberwell, una traduttrice italiana di Islington, uno scrittore di New Cross e un anarchico sessantenne di Hackney.
Ci sentivamo in buona compagnia, anche prima del festival: l’editoria inglese sta sparando sugli scaffali munizioni letterarie di tutto rilievo, tali e tante da far pensare che il dibattito sul marxismo non sia del tutto esaurito – come invece pare essere in Italia. Terry Eagleton ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Why Marx Was Right. Alain Badiou ha partorito un volume dalla copertina rossa col titolo The Communist Hypothesis. E si dichiarano senza alcun timore o tremore “marxisti” personaggi come l’ancora attivissimo Eric Hobsbawn, Jacques Ranciere, il sempre più di moda Slavoj Žižek, il ventisettenne Owen Jones che ha affrontato la tematica dei chav – i tamarri inglesi – con l’ispirazione del primo Pasolini. Resta da vedere se le loro munizioni saranno di granata o di cerbottana.

Questione di epoca e di segnali: la più importante casa editrice radical anglosassone, la Verso, dopo aver quasi rischiato la bancarotta nel 2006, ora pubblica decine di nuovi titoli l’anno. Le vendite del Capitale, nonostante la concorrenza di self-help alla Coehlo e di self-made men alla Jobs, sono schizzate verso l’alto a partire dal 2008. E per fare ancora piu’ paura ai benpensanti progressisti: sarà un caso che i sondaggi dicono che nella Germania dell’Est e in generale in quasi tutti i paesi dell’ex Cortina di ferro c’e’ più nostalgia per il socialismo che entusiasmo per la Rivoluzione Digitale?
Parlando con amici scrittori e accademici non ho potuto non far notare, più con disincanto che con malinconia, che di tutto questo sembra non esserci eco alcuna in Italia. E non perché l’Inghilterra, nonostante la sua verve intellettuale, non soffra di forme diffusissime di oppressione e manipolazione sociale, ma perché qui certe sacche minoritarie di resistenza sembrano potersi esprimere, e certi gruppi di discussione sono attivi persino nei media mainstream, e non ridotti al silenzio e al ridicolo. Ve li immaginate un Fatto, una Repubblica o una Stampa affrontare un dibattito sulla modernità di Marx anziché sulla diatriba Travaglio-D’Avanzo?
Augusto Illuminati commenta: «Il marxismo non gode di salute smagliante nell’accademia e nelle pubblicazioni ed è sparito completamente nell’area ex-Pci, che un tempo l’aveva ospitato, deformato, ma comunque trasmesso. C’è tuttavia la speranza che alcuni elementi rinascano nella crisi e dentro un ciclo di lotte, di cui abbiamo avuto indizi nel biennio scorso e forse qualche barlume anche ora. Sarà un marxismo difficilmente commisurabile alla tradizione che si perpetua». E Paolo Persichetti aggiunge: «Il cantiere marxiano è sempre stato attualissimo. Il problema investe invece la sua ricezione politica. Esiste oggi una prassi politica efficace che si ispira a Marx? A me non sembra affatto. I vari marxismi del Novecento non hanno più molto da dire. La sfida è sul terreno di una politica ancora tutta da reinventare».

fonte:www.alfabeta2.it