giovedì 16 agosto 2012

Temariando di mezz’estate

di Toni Casano

Nelle more della ripresa settembrina vogliamo fare il punto sui temi salienti trattate nelle nostre pagine, questioni calde quanto la calura di questa estate e che si annuncia ancor più infuocata nei mesi a venire non più per cause meteorologiche, bensì per gli effetti sociali provocati dalla crisi nei paesi dell’eurozona. Certo, da troppo tempo (un anno sì e l’altro pure) si è evocato il ritorno del mitico “autunno caldo”. Forse in questo caso, però, data l’acutizzazione della crisi finanziaria-UE che si riverbera inesorabilmente sulle condizioni reali sempre più precarie delle vite delle genti e non trovando sbocchi istituzionali più avanzati di là dagli egoismi nazionali, non sarà inopportuno immaginare effettivamente un nuovo autunno caldo nel vecchio continente e, in particolare, nell’area mediterranea dei suoi paesi rivieraschi europei


1. Appena entrati nel vivo di questa estate, sull’onda del parziale successo della nazionale pallonara (l’insperata conquista della finale), l’ottimismo italico trasbordava dalle pagine dei più quotati media nostrani, salvo accorgersi da lì a poco che i risultati vantati dal nostro SuperMario non erano poi così confortanti. Nemmeno i discreti successi olimpici (nei giochi appena conclusisi) ottenuti dalla compagine azzurra –“l’ottava potenza sportiva del medagliere londinese”- potranno essere utile a distogliere l’attenzione sulla crisi. Tant’è che la scena mediatico-politica è occupata dall’affaire-Ilva, cioè del polo siderurgico più importante d’Europa ed asset strategico per il sistema-Italia. In quel di Taranto si sta consumando una tragedia epocale: a fronte della devastazione ambientale di quel territorio, in uno con la disastrosa condizione epidemiologica che sta distruggendo la vita delle sue genti (tanto da far rievocare il dramma di Seveso -vedi l’articolo di Antonio Musella), con l'agitare lo spettro della disoccupazione incombente e la conseguente desertificazione economica di un’intera area -che si aggiungerebbe alle tante deindustrializzate zone del sud- si cerca di far valere il vile ricatto “o salario o morte”.
Ha ragione Francesco Ferri quando nel suo bel contributo pensa all’opportunità di trasformare la vertenza per il lavoro degli operai-ILVA in lotta per il reddito “nell’ottica della costruzione di un percorso comune di ricomposizione di quelle figure sociali – lavoratori metalmeccanici, cognitivi, precari, disoccupati e soggetti in formazione – che attualmente pagano le conseguenze della crisi economica e ambientale”. Noi ci permettiamo di aggiungere: fintantoché la chiave di accesso al reddito sarà il salario, la moltitudine operaia – sussunta nelle varie apparenze in cui s’estrinseca la produzione capitalistica postfordista, che nulla tralascia dell’operare generale della cooperazione sociale – sarà destinata a soccombere o per fame o per malattie indotte. In sostanza, dell’impatto ambientale e delle necessità vitali dell’esistenza il sistema economico non tiene conto. Anzi, sostenuto com’è da un paradigma dominante basato sulla crescita quantitativa, gli effetti dell’avvelenamento che hanno investito pesantemente le nostre città e ammorbato gran parte dei territori, con pesanti ripercussioni sulla salute delle popolazioni, aprono “nuovi mercati” su cui investire (c.d. “green economy”) e rafforzano le rendite di posizione di gruppi monopolistici che operano nella ricerca scientifica e nella sperimentazione tecnologica.

2. Continua invece l’altalena dello spread. Ormai il differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi si è attestato sopra i 400 punti-base, dopo avere superato la soglia dei 500. Il dato per il momento sembra essersi stabilizzato, facendo, paradossalmente, tirare un "sospiro di sollievo" al governo tecnico e alla sua maggioranza, dimenticando che fino alla plenaria del Consiglio Europeo di fine giugno il limite di oltre i 400 era considerato pressoché insostenibile. Infatti, dopo Bruxelles dove si auspicavano misure di contenimento dello spread, ci si attendeva l’avvio della fase di passaggio dei debiti sovrani verso l’introduzione degli eurobond, sotto la gestione diretta della Bce, per mettere anche la moneta unica al riparo dagli attacchi speculativi. L’unica magra consolazione è l’aver ottenuto la promessa del rafforzamento del fondo salva-stati, a patto però che gli stessi stati-membri accettino, sul modello greco, le ricette economiche capestro e la limitazione della sovranità politica posta sotto l’egida della troika (Fmi-Bce-Ue). Giustamente qualche “grande vecchio” biancobarbuto del giornalismo patrio, rammaricandosi per gli scarsi esiti conseguiti, è intervenuto per ristabilire la verità sulla assise belga del Consiglio-Ue, riconoscendo che la cancelliera teutonica ne aveva ben donde per rivendicare il suo personale successo, recuperando quel consenso – sia pure altalenante - che aveva parzialmente perso presso l’opinione pubblica tedesca. A distanza di oltre un mese possiamo dire che nella sostanza le considerazioni di Riccardo Achilli e Andrea Fumagalli – contributi ripresi all’indomani della chiusura dei lavori del Consiglio Europeo- si sono mostrate molto più attente e serie rispetto al quadro trionfalistico rappresentatoci dalla stampa nazionale e dalla corale politica maggioritaria intonata dalla triade alfabetica di nuovo conio -ABC (Alfano/Bersani/Casini)- ben orchestra dalla direzione quirinalizia.
In questi giorni più di un osservatore critico – fra loro anche Christian Marazzi (http://uninomade.org/bce-euro-scenari-appunti/) - ritiene che il futuro dell’euro sia alquanto incerto. Nessuno, forse nemmeno gli euroscettici si augurano un triste destino per la moneta unica, però non v’è dubbio che una sorta di exit strategy politica si dovrà pur pensarla. Allora perché non considerare i suggerimenti di Emiliano Brancaccio? Già nella presentazione del suo articolo ci convinceva la sintesi estrema dell’economista. Cioè: “se salta la moneta unica, occorre rendere esplicito che ai paesi periferici dell’Unione potrebbe convenire far saltare anche il mercato unico europeo”. Dicevamo quindi che “questa potrebbe essere la terza via su cui far leva per rinegoziare i rapporti di forza nella governance europea, per uscire dalla morsa tedesca sostenuta dalla troika liberoscambista”.In questa chiave di lettura si potrebbe avviare una discussione per verificare la possibilità affinché sia superata la diatriba tra quanti a sinistra sostengono la necessità dell’eurozona e quanti auspicano invece un ritorno alla moneta sovrana originaria. Assai interessante ci sembra l’ipotesi - prospettata da Marazzi - del passaggio dalla moneta unica attuale alla moneta (del) comune, rifuggendo dalle tentazioni “sovraniste”. Questo sarà un tema su cui tornare e concentrare gli sforzi dell’elaborazione critica dell’esistente per un’alternativa non regolata in funzione dei mercati finanziari.

3. Infine vogliamo chiudere questo temariando di mezz’estate volgendo lo sguardo a quello che sarà il dibattito politico sulle imminenti elezioni. Abbiamo anticipato, ospitando diversi interventi, la questione della competizione istituzionale. Sulla scia delle elezioni francesi e greche nel movimento ci si è interrogati su come rapportarsi col/nello “spazio della rappresentanza”. Partendo soprattutto dallo straordinario successo di Siryza, anche la residuale sinistra istituzionale italiana pensa di conseguire un risultato che la riconduca ad occupare qualche sezione dell’emiciclo degli scranni parlamentari. I proclami di un’alleanza con i movimenti non si risparmiano. Mettiamo pure da canto l’atteggiamento di supponenza dei loro leader che s’interessano al conflitto sociale con la pretesa di rappresentarlo, scegliendosi pure gli interlocutori ai quali è proposto qualche posticino in lista col solo intento di raccattare voti, così com’è stato praticato anche nelle recenti amministrative. Quel che è veramente intollerabile è il ruolo parassitario che questa sinistra istituzionale gioca dentro l’antagonismo sociale, facendosi garante di un controllo politico che non ha né potrà mai esercitare, essendo profondamente distante dalla storia dei movimenti e dai luoghi dove essi fondano la loro pratica politica. Essa non somiglia nemmeno lontanamente al vecchio-PCI che comunque uno spazio sociale di legittimazione l’aveva, esercitato direttamente o mediante le sue “cinghie di trasmissione” (sindacato, cooperative, associazionismo, etc.): l’idea di una ricomposizione politica sia pure contrassegnata dall’idealismo statalista e dal culto lavorista erano ben radicata nella dinamica del partito. A questa sinistra residuale e anacronistica manca proprio il presupposto della rappresentanza del legame sociale. Altro che Siryza ! Nel caso dell’alleanza greca si tratta di un prodotto nato sotto la crisi e costruito nelle lotte resistenziali, dentro cui le formazioni politiche anticapitalistiche si sono piegate stando in rapporto paritario con le realtà conflittuali, non a caso a rimanere fuori è stato il vecchio partito comunista sempre più fuori dalla storia. Ma in definitiva quale sarebbe poi il progetto elettorale? Quello di un “condizionamento da sinistra” di un’eventuale governo di centrosinistra allargato ai moderati “casinisti” per proseguire le politiche di risanamento finanziario, sulla scia di quanto posto in essere dal governo tecnocratico? Boh!