A Bruxelles l’ “altro” Consiglio Europeo Proposte alternative e la questione del “come fare” per movimenti, sindacati, associazioni, intellettuali e partiti al Forum organizzato da Sbilanciamoci! e il manifesto.
Centocinquanta persone provenienti da differenti Paesi di tutto il Continente hanno partecipato giovedì 28 giugno a Bruxelles, in un’aula del Parlamento Europeo, al Forum “Another Road for Europe” (in appendice l’elenco delle realtà presenti). Data e luogo scelti non a caso: il giorno d’avvio del decisivo vertice del Consiglio d’Europa, a meno di trecento metri dall’edificio dove sono in riunione i Capi di governo degli stati dell’Unione per discutere di crisi dell’Eurozona
Il Forum, nato dall’omonimo appello e introdotto dagli interventi dei promotori Rossana Rossanda e Mario Pianta, ha visto un confronto a tutto campo tra economisti, sociologi e politologi insieme ad esponenti dei movimenti sociali, delle organizzazioni sindacali, della società civile, con partiti e parlamentari europei (Verdi e Sinistra, ma anche Socialisti e democratici, compreso qualche nostrano PD). E’ impossibile dare qui conto per intero della ricchezza della discussione, prolungatasi per quasi dieci ore, ma cercheremo di segnalarne gli spunti più significativi.
DOMARE
LA FINANZA
Il Forum si è articolato in tre sessioni di
lavoro. La prima, dedicata a moneta unica, mercati finanziari, debito e
politiche fiscali, è stata introdotta da Trevor Evans (della rete di economisti
che redigono periodicamente il rapporto Euromemorandum) con un intervento che
ha denunciato la condizione di “democrazia sospesa” a fronte dello strapotere
della finanza e sottolineato come il dibattito ufficiale sia condizionato a
monte da un’ “analisi fuorviante del problema”, in cui viene rimosso come
l’origine della crisi del debito sovrano europeo sia da collocare nella crisi
dei mutui statunitensi del biennio 2007-2008. Le banche europee sono state
“affogate dai sub-prime” che avevano cartolarizzato, gli Stati europei sono
corsi in loro soccorso facendo lievitare il debito pubblico e le minori entrate
fiscali, in conseguenza della recessione di produzione e consumi, hanno fatto
il resto.A partire da questa lettura, Evans ha presentato una serie di proposte, poi in parte riprese e sintetizzate nel comunicato finale, tra le quali l’introduzione della settimana lavorativa di trenta ore, strumenti di “controllo sociale delle multinazionali” (l’attenzione critica è stata soprattutto puntata sulle centrali finanziarie – ha sostenuto – ma gli attori principali, anche delle dinamiche speculative, sono prevalentemente le grandi corporation), la ridefinizione della “posizione dell’Unione Europea nel mondo”, in particolare nel rapporto con il suo Sud, e la riduzione del consumo delle materie prime, anche per tagliare le emissioni di gas serra.
Ne è seguito un dibattito ampio: per Antonio Tricarico (re:common) bisogna capire “come riappropriarsi a livello europeo della finanza pubblica e sganciarla dalla speculazione finanziaria privata”, ad esempio – ha suggerito – rilanciando il ruolo delle banche d’investimento pubbliche, oggi dipendenti dal mercato finanziario. Per Jorgos Vassilikos, con il controllo dell’Eurogruppo, cioè della riunione dei ministri economici, sui bilanci nazionali si avvera il “sogno antidemocratico” descritto dal rapporto della Trilateral del 1975. Mentre sono impressionanti le cifre fornite da Andrea Banares (Fondazione Responsabilità Etica): il debito pubblico italiano corrisponde a meno dell’un per cento delle migliaia di miliardi di dollari in prodotti derivati, controllati dalle quattro più importanti banche d’affari di Wall Street. E solo in Italia il peso dei derivati è cresciuto negli ultimi vent’anni del 642 %, venticinque volte più del Pil. E’ la temporalità dei mercati finanziari, e della loro crisi in rapporto a quella della politica a risultare drammaticamente asimmetrica: per Banares, con la risoluzione del Parlamento Europeo a favore dell’introduzione della Tobin Tax, ovvero della tassazione delle transazioni finanziarie (TTF), si apre “uno spiraglio”, ma ci sono voluti vent’anni di campagne (e la portata della crisi) per arrivare a questa decisione politica, peraltro non ancora esecutiva, mentre bastano pochi millesimi di secondo per una decisione finanziaria dagli “effetti nocivi” devastanti.
Problematico, a mio avviso, l’intervento di Klaus Suehl (Rosa Luxemburg Stiftung): la sua insistenza, al ritorno da un viaggio ad Atene, sulla “necessaria solidarietà” da portare ai “popoli vittime della crisi” non può essere considerato solo un retaggio da cultura terzomondista anni Sessanta, ma è molto più rilevatore di un atteggiamento diffuso nella sinistra tedesca, che rischia di inibire invece la ricerca di una pratica sociale e politica comune del comune spazio europeo.
Sono seguiti gli interventi dei parlamentari europei: il ritorno rispetto alle questioni poste, e riassumibili nell’urgenza di stabilire forme di controllo sociale e democratico sulle dinamiche dei mercati finanziari, è stato senza alcun dubbio positivo, ma è difficile nascondere la sorpresa per il fatto che pure gli eurodeputati del Partito Democratico italiano, con alcuni tratti di involontaria comicità, quando “giocano in trasferta” appaiano quasi “estremisti”, dimentichi del sostegno generosamente offerto al Governo Monti e alle sue politiche.
A chiudere la sessione poche, ficcanti parole di Rossana Rossanda: a ricordare, dopo gli interventi di esponenti della CES (la Confederazione europea dei sindacati), come di fronte al quadro descritto non solo nessuno immagini l’indizione di uno sciopero generale continentale, ma addirittura i sindacati in Europa non si facciano “neppure una telefonata fra di loro”. Certo, le organizzazioni sindacali – ha aggiunto – non hanno più “alcun effettivo potere, ma sono troppo tranquilli per questo”. Insomma, la sinistra che lei ha conosciuto è stata sconfitta, negli ultimi trent’anni in Europa, ma “almeno, cominciate a parlarvi tra di voi.”