\CICLO RIFIUTI e Programmazione Ambientale di Sergio Riggio




Abbiamo la consapevolezza che ci troviamo di fronte ad una questione di grandissimo rilievo, emblematica questione di civiltà che coinvolge aspetti economici, politici e morali. Credo che noi dobbiamo assumere con chiarezza un dato: se la situazione va avanti così, se procede questo modello di sviluppo, se insistiamo in questa concezione dell’usa e getta e del consumismo esasperato, che è l’altra faccia della povertà e dell’abbandono che colpiscono vaste parti del nostro territorio e del mondo in genere, allora non c’è soluzione tecnologica, politica o di economia più o meno verde che regga: non c’è discarica, non c’è riciclaggio, non c’è raccolta differenziata, non c’è incenerimento che permettano di affrontare una tale crescita esponenziale della produzione delle merci e dei rifiuti.
Non è questione meramente ideologica ma la necessità di misurarsi con un problema che investe complessivamente la nostra capacità di soggettività critica e antagonista.
Già adesso in Italia abbiamo uno standard di vita che non è di molto inferiore a quello degli USA, eppure produciamo una quantità di rifiuti media che è circa la metà di quella che producono pro capite negli States. Così come nei consumi elettrici, a parità di standard di vita abbiamo, nell’uso civile domestico, un consumo pari a circa la metà di quello USA. Se il trend dovesse essere quello di omologarsi verso l’alto, appare chiaro che siamo di fronte ad un problema insolubile, ed è questo l’aspetto che dobbiamo cogliere. Io credo che non sia un caso che questa grande sensibilità da anni presente nell’opinione pubblica oggi, nel pieno di una crisi epocale di un modello di sviluppo e di consumo, si concretizzi, in particolare nella provincia di Napoli, e nel meridione, in movimenti di vera e propria rivolta sociale.
E’ vero che ci sono anche persone che: “…dappertutto ma non sotto casa mia” ma questo è solo un elemento di difesa del proprio territorio, sintomo della difficoltà ad affrontare un problema così grande; ed è appunto per la percezione diffusa dell’insostenibilità di un modello di sviluppo che nella questione dei rifiuti precipitano elementi apparentemente contraddittori.
Credo che questo elemento di critica, inconsapevole e a tratti schizoide, perché unisce alle sirene di un modello consumistico l'assunzione di costi individuali e devastazioni ambientali, debba essere ancora colto e valorizzato fino in fondo.
Negli ultimi anni da diverse componenti dei movimenti è riecheggiata molto la concezione dell’eco-businnes amplificata anche dall’elezione di Obama e dal conseguente battage sull’economia verde, insomma i rifiuti visti prioritariamente come possibilità di una nuova occasione economica. Il rifiuto “materia seconda”, “risorsa”, “l’oro dei rifiuti”: tutti termini riecheggiati nel corso di questi anni. Ci si è così dimenticati dell'esigenza di fornire un servizio ai cittadini, per la tutela della qualità della vita, prima e oltre ogni interesse economico.
Per questo è necessario un salto di qualità, affrontando il problema fondamentale di ridurre questa produzione di rifiuti, imponendo un controllo merceologico dei rifiuti, particolarmente di quelli industriali.
Ci sono circa mille composti chimici nuovi che ogni anno vengono introdotti nelle nostre produzioni e nelle merci che vengono vendute di cui è difficile conoscere l’effettivo impatto con l’ambiente: evidente che il controllo merceologico pubblico non può essere un optional.
La riduzione dei rifiuti è quindi questione fondamentale e va ricostruito un rapporto forte con la produzione; questo significa che non basta una cultura della programmazione dell’intervento sui rifiuti senza una cultura e una politica di programmazione economica e di controllo democratico: il cosa, il come e il per chi produrre deve incorporare con forza, proprio a partire dal rifiuto il dato della qualità ambientale e della qualità della vita. Forse non basta più neanche il piano sui rifiuti,serve intrecciare il piano di sviluppo economico di un territorio rispetto al piano dei rifiuti, perché è lì che si inserisce l’elemento di programmazione su cosa e come riciclare smaltire e così via.
E’ duro parlare di programmazione, intervento pubblico, controllo democratico in una fase in cui una crisi devastante e non congiunturale del capitale globalizzato assume come soluzioni ulteriori liberalizzazioni e deregulation, ma oggi questi temi tornano ad essere esigenza primaria di mantenimento di una vita non solo sociale ma anche biologica rispetto alle condizioni a cui uno “sviluppo” insensato ci ha costretti.
E’ insomma necessario, e in molti paesi europei già accade, ricondurre costantemente alla produzione la responsabilità anche del prodotto che è immesso in un mercato e cioè il ciclo delle merci non finisce al consumo ma deve essere riconsegnato costantemente a chi ha prodotto quella merce che deve essere corresponsabilizzato nella capacità di poter riutilizzare le merci che ha messo in circolazione. Non può esserci un sistema produttivo che si disinteressa di ciò che produce, e che persino tutela una sorta di segretezza. Noi siamo ancora in presenza di un segreto industriale che rende praticamente impossibile addirittura la vigilanza sulla sicurezza degli impianti che viene, in nome della logica di mercato difeso come acquisizione insormontabile. C’è necessità di una svolta radicale rispetto all’esistente, nel senso che c’è un esistente intollerabile.
Mi pare un salto di qualità necessario, dobbiamo costruire la capacità di legare costantemente i temi dell’emergenza con quelli della prospettiva. Ciò significa che i temi della programmazione e della partecipazione democratica sono due elementi imprescindibili e che è centrale il terreno del piano; serve una politica nazionale, forse internazionale, ma il piano regionale è assolutamente un elemento decisivo. Per fare un piano dei rifiuti anche dal punto di vista degli esiti terminali, da una strutturazione dei servizi tecnico-scientifici, da un impianto di valutazione di impatto ambientale che sia serio e così si può costruire una partecipazione democratica. Ma le finalità del piano devono essere le priorità legate alle normative, allargate a questa ricollocazione della responsabilità nei settori diretti della produzione. Certo c’è anche un dibattito sulle questioni terminali dello smaltimento, sui problemi grandi delle discariche e dell’incenerimento ed esiste il rischio che si apra una filiera di intervento che traini dietro di sé i finanziamenti sull’asse dell’incenerimento; su questo è bene ripetere un paio di cose.
La combustione dei rifiuti non è un processo pulito; si producono infatti tonnellate di ceneri tossiche e si determina inquinamento dell’aria e dell’acqua. La combustione, a temperatura elevata, spezza i legami chimici tra i metalli ed alcuni sostanze che rendono inerti i metalli tossici ed essi (i metalli) possono così percolare dalle ceneri stratificate nello scarico fino alle falde acquifere.
La maggior fonte di inquinamento provocato dagli inceneritori è determinata dai fumi di combustione, che trascinano nell’atmosfera metalli pesanti (piom-bo, cadmio, mercurio), acidi e sostanze organiche di varia natura. Tra queste, le diossine sono le sostanze più tossiche. La tetra - cloro - para - dibenzo - diossina (Seveso) è la più pericolosa. Tali sostanze possono provocare tumori e malformazioni al feto . Il cloro ed alcune sostanze organiche aromatiche sono i responsabili della formazione di alcune diossine, durante il processo di combustione. Le quantità prodotte dipendono sia dalla loro concentrazione che dalla temperatura del procedimento. Il cloro contenuto nei rifiuti proviene per il 40 - 60% dalle plastiche organo clorurate (PVC). Si è constatato che la sola riduzione del cloro nei rifiuti determina un calo direttamente proporzionale delle emissioni di diossine.
L’incenerimento con recupero di energia è un’operazione piuttosto complessa. Può significare lo strumento per far bruciare rifiuti di ogni genere, con buona pace della differenziata e del riciclo costruiremo il totem del consumo insensato. Ma la termovalorizzazione non rappresenta, comunque, un processo di smaltimento asettico, nella più pulita delle ipotesi resterebbe il problema delle ceneri da smaltire prodotte nella misura del 30% del rifiuto bruciato e qualora si ritenesse indispensabile avviarla si dovrebbe tener conto di tutte le variabili socio economiche che caratterizzano il territorio. La costruzione, in Sicilia, di tali impianti porterebbe ad una serie di difficoltà non solo dal punto di vista politico, ma anche tecnico. I problemi sorgerebbero già a livello di pianificazione per le difficoltà a reperire i dati e le informazioni per gestire un piano regionale o provinciale deciso sulla carta, e trasformarlo poi in gare, capitolati d’appalto e finanziamenti necessari. Non bisogna nemmeno trascurare i tempi (almeno tre anni), i costi di insediamento e manutenzione e l’esiguo numero dei lavoratori impegnati nel funzionamento. Un impianto con capacità di smaltimento di 400 tonnellate al giorno (Palermo ne produce 1100) costerebbe almeno 300 milioni e consentirebbe un ritorno occupazionale di appena 25 unità. A ciò aggiungiamo che in Germania, nel Nord Reno Westfalia, dove si ricicla l’80% dei rifiuti soltanto uno dei 13 impianti presenti funziona a pieno regime poiché la spazzatura non riciclabile non è sufficiente a farli funzionare, ma la tassa sui rifiuti è raddoppiata a causa degli enormi costi fissi di tali impianti che, praticamente bruciano il denaro dei contribuenti. Visto che parliamo di energia utile all’illuminazione è il caso di chiedersi se il gioco valga la candela.
La questione delle tariffe è diventata sempre più incalzante. Infatti, a causa delle ultime finanziarie sta di fatto avvenendo una vera e propria aggressione agli enti locali e ai cittadini, che determina un incremento mostruoso di queste tariffe che spinge forzatamente alle privatizzazioni. È necessario farne elemento di battaglia politica affinché il sistema tariffario debba invece corrispondere, insieme alla tutela dei ceti più deboli, all’orientamento di una capacità di innovazione politica programmatica su questo settore.