domenica 13 aprile 2025

LA SFIDA AL FUTURO DELLA COSMOPOLITICA

- Roberto Ciccarelli -

INTERVISTA A CHRISTIAN LAVAL

Pubbliciamo l'intervista rilasciata al Manifesto dall'autore di «Instituer les mondes» per La Découverte. Nel libro scritto con Pierre Dardot, il sociologo francese riflette sul nuovo internazionalismo dei beni comuni



Christian Laval

Con Pierre Dardot, il sociologo Christian Laval ha appena pubblicato in Francia un nuovo libro. Instituer les mondes. Pour une cosmopolitique des communs (La Découverte) propone una nuova strategia politica internazionalista nel momento della rivoluzione reazionaria di Trump. Lo abbiamo intervistato alla Librairie Stendhal di Roma, dove ha presentato anche il suo primo romanzo Marx en Amérique (Champ Vallon). «Istituire i mondi» fa parte di un dittico composto da un altro importante libro, non ancora tradotto in italiano: Dominer. Enquête sur la souveraineté de l’État (La Découverte). Autore con Pierre Dardot di volumi come La nuova ragione del mondo (DeriveApprodi), ovvero il neoliberismo, Laval ha evidenziato che la nuova ricerca «è iniziata con una reazione».

Una reazione a cosa?
Alla tesi di chi ha sostenuto che lo Stato è finito. L’idea che la globalizzazione avrebbe appiattito il mondo e lo avrebbe ridotto a un’unità omogenea, mentre le sovranità tenderebbero a scomparire gradualmente. Quello che volevamo evidenziare, al contrario, è che lo Stato ha una dimensione politica specifica nel neoliberismo e che la sovranità che critichiamo è sempre presente in forme diverse. Oggi assistiamo a un ritorno violento dello Stato e del suo principio organizzativo: la sovranità.

In che modo si è trasformato lo Stato?
Nel neoliberalismo che ha prevalso dagli anni ’70, e che nel frattempo ha subito varie trasformazioni, lo Stato non è mai stato «minimo», ma molto attivo. Ne abbiamo parlato in un libro come La scelta della guerra civile (Meltemi): lo Stato neoliberale ha sviluppato una strategia di conquista e ha imposto un ordine del mercato. Negli ultimi 25 anni, Pierre Dardot e io, ci siamo battuti contro l’opposizione troppo semplicistica, diffusa anche a sinistra, tra Stato e mercato. Nel libro da poco pubblicato in Italia, La nuova scuola capitalista (con F. Vergne, P. Clement e G. Dreux, Suor Orsola Benincasa Press) abbiamo dimostrato che coesistono in uno Stato estremamente attivo e in un mercato che trasforma le istituzioni educative.

Parliamo di lotte globali non perché il capitale spiana il mondo, ma perché sono radicate nelle realtà terrestri, nella dimensione del vivente

Perché in «Istituire i mondi» criticate una parte della sinistra «radicale»?
Per la mancanza di un pensiero strategico. Tra il XIX e il XX secolo, le forze alternative si sono lasciate confinare nel quadro dello Stato nazionale, abbandonando la dimensione transnazionale dell’azione politica. Abbiamo assistito alla nazionalizzazione del socialismo e persino alla sua statalizzazione. Oggi, il paradosso è che l’unica internazionale di cui si parla è quella dei nazionalisti e dei neofascisti. Dall’altra parte non esiste un’organizzazione internazionale di sinistra.

Come possiamo pensarla?
Dobbiamo partire da ciò che sta accadendo sul terreno dell’azione transnazionale. All’inizio del XXI secolo è emerso il movimento altermondialista, seguito dal movimento delle occupazioni delle piazze, raddoppiato dal movimento a sostegno dei beni comuni. Il movimento femminista, il movimento ambientalista, il movimento contadino, il movimento studentesco sono tutti movimenti transfrontalieri. Questo è il punto di partenza della cosmopolitica che discutiamo nel libro. È la strategia da opporre all’internazionale neofascista e allo Stato neoliberale.

In che modo avete ricostruito la storia dell’internazionalismo?
Pensiamo in maniera strategica, ma siamo partiti da una genealogia. Lo Stato nazionale ha imposto il suo quadro alle lotte democratiche ed egualitarie fin dal XVIII secolo. L’internazionalismo operaio ha fatto un tentativo eroico di trascenderlo anche perché si basava essenzialmente sull’analisi liberale del commercio come nuova realtà globale. Montesquieu, i fisiocratici, gli economisti scozzesi avevano capito che al di sopra delle nazioni esisteva una «repubblica commerciale», un cosmopolitismo mercantile. Il commercio era il principale fattore di unione dei popoli. È stato il fondamento dottrinale del socialismo del secolo successivo.

Come è nata l’idea socialista dell’internazionalismo?
L’internazionalismo è stato formulato per la prima volta dai Saint-Simoniani alla fine degli anni Venti del XIX secolo. La comunità mondiale non era più composta da commercianti, ma da produttori. Così concepirono il progetto di una «associazione universale di produttori». Il progetto fu ripreso da Marx e Engels, che li conoscevano bene. Il terreno di lotta del proletariato era quindi determinato dal movimento del capitale e trascendeva i quadri giuridici degli Stati nazionali. Da qui lìidea che la presa del potere in un paese non sia fine a se stessa, ma un passo verso la realizzazione di una repubblica operaia universale. Gradualmente, però, questa logica si è invertita. Il nazionale ha prevalso sull’internazionale. Il nostro libro racconta il fallimento storico di questo internazionalismo che si è infranto contro il muro dello Stato nazionale.

Qual è la differenza tra questo tipo di internazionalismo, i cosmopolitismi filosofici e la cosmopolitica che state sviluppando?
L’era dell’internazionalismo organizzato e centralizzato è finita, ma noi non crediamo che l’«ideale» di un mondo comune sviluppato dalle filosofie antiche o moderne sia sufficiente per pensare strategicamente all’azione politica trans-frontiera. Il metodo che sottoscriviamo è quello di Marx, Foucault e Guattari. La cosmopolitica nasce dal basso, forgiata nelle lotte transnazionali. E le lotte transnazionali non nascono da un’idea presupposta del mondo, ma dalla connessione tra una molteplicità di movimenti, esperienze e ambienti di vita che si autogovernano. Le lotte di oggi sono globali non perché il capitale spiana il mondo, ma perché sono radicate nelle realtà terrestri, nella dimensione del vivente. Il quadro di riferimento per la cosmopolitica non è né la nazione, né lo Stato né il mondo del capitale, ma l’ambiente di vita.

Parlate della pratica della «trasversalità» teorizzata da Félix Guattari. Oggi ha molte applicazioni, dall’America Latina all’Europa. In cosa consiste e cosa la distingue dall’intersezionalità dei movimenti femministi?
La trasversalità è l’altra faccia dell’intersezionalità. Se le forme di oppressione e sfruttamento sono cumulative, anche le lotte stesse si combinano e si intersecano. Essere ecologista oggi significa anche essere femminista e a favore della giustizia sociale. Viviamo in un’epoca di attraversamenti e di alterazione reciproca delle lotte. Lo stesso sindacalismo sta cambiando. Oggi è impossibile occuparsi solo dello sfruttamento del lavoro senza parlare della distruzione della natura. La trasversalizzazione è una rivoluzione delle pratiche e una trasformazione intellettuale che osserviamo ovunque. Il marxismo ne è stato profondamente influenzato. È anche il tema del mio romanzo Marx in America.

Cosa significa «istituire mondi»? E cosa significa «cosmopolitica dei beni comuni»?


La cosmopolitica dei beni comuni è il nome che diamo alle molteplici pratiche transnazionali. I beni comuni sono le istituzioni di base dei mondi in costruzione. Inizialmente il termine era utilizzato per indicare le cose che non dovevano essere privatizzate: l’acqua, l’aria, il mare e la terra. Poi è stato esteso all’istruzione, alla salute, alle città e a tutto ciò che ci permette di vivere. Gradualmente i beni comuni si sono diversificati ed estesi ad altre pratiche. Le numerose forme di autogoverno in tutto il mondo fanno parte di quello che abbiamo chiamato «principio politico dei beni comuni». Ovunque, e in forme diverse, assistiamo alla nascita di nuove istituzioni o alla rigenerazione di vecchie forme di comunità, spesso ispirate da una diversa filosofia della natura. Queste pratiche non sono solo ancorate al territorio, sono modi di fare mondo, contengono e creano mondi, sono i punti di resistenza allo Stato e al capitale.

Cosa rispondete a chi vi dice che tutto è inutile e che siamo sconfitti?
La disperazione non è un’opzione, dice Bernie Sanders. Ora dobbiamo pensare strategicamente alla mobilitazione anti-neo-fascista su scala globale. Il nostro libro non dà istruzioni su come farlo, ma formula domande che le lotte contemporanee non possono non porsi, a partire dalla questione dello Stato.

fonte: ilmanifesto