E via con le immagini della marcia, partita col vento in poppa dalla piana di Venaus e degenerata solo un paio di ore dopo nel solito “atto terroristico, non ci sono altri modi per definire quanto avvenuto ai danni delle forze dell’ordine” una volta arrivata alla destinazione di San Didero, per il sopralluogo al Fortino del Cantiere che non c’è mai stato, per dire NO alle odiose recinzioni di jersey, ferro, filo spinato, tutt’intorno ai 68.000 ettari che fino a un paio di anni fa erano l’unico polmone verde in bassa valle – come si può tollerare una simile militarizzazione in un paese che si definisce democratico!
Infatti, non si può. E la Val di Susa non perde occasione per ribadirlo. Il bilancio comunque diramato già ieri sera e più ancora stamattina dalla Mainstream Press, non è da poco: 12 feriti tra cui 10 operatori di reparto, 1 agente della Digos, un funzionario della Polizia. E immediata la richiesta di tolleranza zero: “quella cinquantina di persone che, nonostante le indagini già in corso per associazione a delinquere, continuano a rendere la Val di Susa il teatro di questi attentati, vanno individuati e sbattuti in galera.”
In particolare “l’azione violentissima” dei manifestanti avrebbe previsto l’uso di un aggeggio che ti viene da ridere solo a guardarlo: un rudimentale pendolo di cemento subito definito “ariete di sfondamento”, che appeso a un telaio di legno avrebbe avuto il solo scopo di amplificare la cacofonia delle battiture alle recinzioni… e invece via con le “immagini dello scandalo.” A divertirsi con quell’aggeggio così deliberatamente contundente, ecco ripetutamente ripreso un bambino, “istigato da un manipolo di facinorosi NoTav, alcuni anche di una certa età… e tutti prontamente contrastati dalle forze dell’ordine a suon di lacrimogeni e idranti…”. Il che non ha impedito però lo scoppio di un incendio “con ogni probabilità causato dagli artifizi lanciati contro le forze di Polizia”: tutto secondo copione.
“La cura è nella terra” recitava in coloratissime lettere quel murales che i giovani del Movimento NoTav avevano dipinto sulla facciata dell’ex autoporto di San Didero fin da subito, il giorno stesso in cui venne occupato. Un edificio che era rimasto in stato di abbandono da anni, ridotto ormai a fatiscente scheletro di cemento, veniva così riportato in vita e la data non poteva essere più propizia: 8 dicembre 2020, per commemorare la vittoriosa battaglia di Venaus di 15 anni prima. Nel corso dei mesi, nonostante la pandemia, era diventato il più straordinario incubatore di eventi, dibattiti, crocevia di antichi e nuovi saperi – fino a quella notte del 12 aprile 2021 quando sfruttando il coprifuoco imposto dal lockdown, arrivarono in forze le milizie da Torino, e anche la breve vita di quel Presidio ebbe fine.
“La cura è nella terra” è stato il leit motif di ogni evento che il Movimento NoTav ha inscenato da quel momento in poi, e più che mai per questo Festival dell’Alta Felicità 6ta edizione. Mai vista una distesa di tende così oceanica nei prati di Venaus, con comitive di giovani che in Val Susa ci venivano magari per la prima volta per semplice passa-parola “e se anche quest’anno abbiamo la possibilità di ritrovarci qui, se questi boschi possono di nuovo accogliere questa marea di ragazzi arrivati da ogni parte d’Italia, lo dobbiamo a tutti noi che diciassette anni fa abbiamo trovato la determinazione, la compattezza, la forza di opporci, in difesa del nostro territorio” ha ricordato il sindaco di Venaus Avernino Di Croce, all’inaugurazione di venerdì sera, con una convinzione davvero rara, di questi tempi.
Dopo di lui, ecco invitato a parlare lo scrittore/accademico/attivista Andreas Malm, docente dell’Università di Lund, considerato tra i pensatori più originali del momento dalla stessa Naomi Klein – e approdato a Venaus con la folta delegazione di attivisti che per tutta la scorsa settimana avevano animato il programma di eventi del Climat Social Camp, collateralmente all’incontro internazionale dei Frdays For Future – ne abbiamo riferito anche su Pressenza con varie uscite. E l’intervento di Andreas Malm non avrebbe potuto essere più ‘in sintonia’ con le parole che il sindaco di Venaus aveva appena pronunciato. “Non sapevo niente di questa resistenza, così simile a tante altre che affliggono ogni parte del pianeta. Così insensata, a tutti i costi imposta, così chiaramente foriera di danni irreversibili per l’ambiente. Di fronte a simili situazioni, è giusto opporsi, perché non si tratta di calamità ma di aggressioni e di fronte alle aggressioni è giusto opporre legittima difesa. Contro l’aggressione che il capitale non smette di perpetrare all’ambiente, l’unica risposta possibile è quella dal basso: ogni minimo intervento che potrà inceppare la macchina, ritardare i lavori, complicare i piani, sarà cosa buona e giusta. Un vero onore per me essere qui…”
Un Festival dell’Alta Felicità, insomma, in totale continuità con il Climate Social Camp che si concludeva a Torino lo stesso giorno, 29 luglio, della sua inaugurazione in alta valle: il modo migliore per dire che quella marcia che nella mattinata era sfilata dal Parco della Colletta fino al centro città, doveva per forza proseguire ben oltre la pianura – e quale miglior teatro per toccare con mano l’inaccettabilità della devastazione mascherata da Green Washing, della Val di Susa, da trent’anni alle prese con quella Grande Opera che nessuno ha mai voluto, che anche per la Francia non è mai stata una Priorità, e che più che mai adesso – con i costi lievitati su tutti i possibili fronti – sarebbe da cancellare! Per non dire del colossale spreco di acque denunciato ormai da mesi in quel di Chiomonte, volumi che giorno dopo giorno sarebbero equivalenti al fabbisogno annuale di una città di 600.000 abitanti, come se non bastasse la scarsità di precipitazioni degli ultimi mesi… Uno scandalo ben documentata dalla stessa TELT, di pubblico dominio ormai da mesi, di nuovo denunciato venerdì sera da vari interventi, in particolare quello di Emanuela Sarzotti del Comitato Acqua Pubblica Torino, e nonostante tutto … la Grande Opera deve andare avanti, a colpi di lacrimogeni e idranti se solo osi protestare, in tanti a battere a suon di sassi sul ferro delle recinzioni, dissenso che si manifesta così non trovando udienza in altro modo.
Sul ricco programma, sulla bella umanità, sul lavoro straordinario di accoglienza da parte della ‘ciurma’ di volontari che hanno reso davvero memorabile questa tre giorni di Venaus che si concluderà stasera, e che le cronache si limiteranno a raccontare però solo per i disordini di ieri a San Didero, ci sarebbe non poco da dire e ci torneremo senz’altro.
Stamattina è riuscita ad essere presente anche Nicoletta Dosio, per una sessione in tema di carceri allo spazio autogestito: oltre al suo “Fogli dal Carcere” (Il diario della prigionia di una militante NoTav recentemente uscito per i tipi di RedStarPress) si è parlato di “Carcere e Covid” con Sandra Berardi e di “Morti in una città silente” con Alice Migliori.
Nelle stesse ore, sulle pendici di quella montagna che diciassette anni fa vide l’inizio della lotta di popolo contro il TAV, in località Seghino (un momento che è stato rievocato con particolare emozione da alcuni attivisti del Comitato Susa-Mompantero), era in corso un’altra significativa passeggiata: non solo alla scoperta delle antiche incisioni rupestri in via di mappatura lungo i sentieri che da secoli conducono alla vetta della Sacra Roccia Melone, ma soprattutto per un particolareggiato sguardo dall’alto, sulla devastazione che questo tratto di valle si prepara a subire se – nonostante tutto – il progetto TAV dovesse andare avanti (perché in tanti anni di roboanti proclami l’unico scavo che esiste davvero, riguarda solo i sette metri di tunnel cosiddetto geognostico! dei 57 km di tratta previsti dalla Torino Lione non è stato scavato nemmeno un centimetro…).
Una cantierizzazione che senza interruzione di continuità, impatterà sulla piana di Susa fino e ben oltre Bussoleno per anni e anni, con una prospettiva di movimento terra, transito di veicoli e soprattutto colossale dispersione nell’ambiente del materiale che dovrà essere estratto dalla montagna (notoriamente ricco di uranio e amianto), che si stenta a credere pensabile, possibile, concepibile – e che invece nei piani della TELT, dei vari decisori, dei governi che da trent’anni si sono succeduti, non pone problemi di sorta, anzi offrirebbe l’occasione per una quantità di soluzioni ‘innovative’.
Particolarmente bella e sentita quindi, la cerimonia che ha concluso questo particolare momento extra-Festival: tutti in cerchio, al Presidio di San Giuliano, per la condivisione della manciata di terra “del cuore” che ciascuno si era portato da casa, con un breve racconto per spiegarne il significato. “Rinnovare il legame che abbiamo con il Pianeta Terra è importante” spiegava il volantino che comunicava l’evento. “Ricordare che siamo ospiti qui, che ‘siamo parte’, è quello che vorremmo ricordare in questo momento di energia collettiva. (…) Proponiamo un momento di spiritualità e di mobilitazione al tempo stesso, contro quel mortifero TAV cantiere e tutti i meccanismi repressivi che porta con sé.”
Per ribadire una volta di più che La Cura è nella Terra…
foto di Fabrizio Maffioletti
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