Roma in piazza per il secondo sabato
consecutivo corteo di migliaia di persone ha attraversato ieri l'altro Roma per chiedere che oltre alla sicurezza sanitaria ci siano anche tutele economiche e abitative. Lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, movimenti per il diritto alla casa e tantissimi studenti medi insieme nella protesta. Applauso finale a medici e infermieri davanti al policlinico Umberto I
Nonostante il corteo stia sfilando oltre 50 metri più in là, lungo il lato del cinema multisala a piazza Barberini, una camionetta antisommossa e decine di poliziotti con gli scudi si schierano a bloccare l’imbocco di via Veneto, l’ampia strada della capitale che si inerpica fino a Villa Borghese in un’infilata quasi unica di alberghi di lusso. Potrebbe essere la fotografia perfetta di una giornata di mobilitazione per salute, reddito e dignità, iniziata un paio di ore prima e che fin da subito ha provato a marcare delle differenze nette in termini politici e di classe sociale.
«A noi i fascisti e i “negazionisti del virus” fanno schifo – dicono dal microfono durante il presidio dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo e prima di iniziare a marciare – Ma dobbiamo anche dire che la pandemia non colpisce tutti allo stesso modo, è diverso se sei ricco e povero. Non è facile restare chiuso in casa senza lavoro, se vivi in una periferia come San Basilio, Tufello o Quarticciolo». Sotto il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (Mibact) si è radunata una piccola folla che lo cinge d’assedio per solidarizzare con le richieste dei lavoratori del mondo della cultura. Vogliono un reddito universale per superare la crisi e chiedono una riforma strutturale del settore per risolvere le storiche problematiche che lo affliggono: precarietà, mancanza di diritti, invisibilità professionale di numerose figure, differenze salariali profonde dettate dal genere e dall’età.
Il loro percorso di auto-organizzazione, assieme a sindacati indipendenti come le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (Clap) e vari movimenti della sinistra, è partito con forza già in primavera, durante la prima ondata. Al ritmo di cori che chiedono una differente gestione economica della crisi («Tu ci chiudi / tu ci paghi, tu ci chiudi / tu ci paghi», «Pa-tri-mo-nia-le», «Precarietà, miseria e lutto / pagherete caro / pagherete tutto») e del tamburellare di dita sulle scatole di cartone che formano la scritta «Franceschini, dimettiti», il presidio si trasforma in corteo e serpeggia per i vicoli adiacenti a via del Corso, fra le vie dell’Umiltà e delle Vergini. Sfocia in via Barberini e poi risale in direzione Termini. L’obiettivo è raggiungere il secondo appuntamento della giornata di mobilitazione, convocato alle 18 nel piazzale di Porta Pia. Lì, ad attendere, ci sono movimenti per il diritto all’abitare, occupanti dello stabile in viale del Caravaggio, reti degli studenti medi e delle scuole secondarie.
«Ci dicono state a casa, ma intanto presso il Tribunale di Roma sono depositate centinaia e centinaia di istanze di sfratto», urlano dai microfoni, sollevando le rivendicazioni di chi conduce un’esistenza precaria non solo dal punto di vista lavorativo ma anche abitativo. «La situazione è sempre la stessa: le lotte giuste e sacrosante sono trattate come un problema di ordine pubblico».
Il nodo politico della giornata è che se la situazione sanitaria impone la messa in campo di una tutela di massimo livello (mentre sfila la protesta i dati dell’Istituto Superiore della Sanità portano il totale di contagi e decessi a 902.490 e 41.063 persone), la tutela deve essere a 360 gradi e comprendere la sfera dei diritti, del reddito, del lavoro.
Per sostenere queste rivendicazioni nel secondo sabato consecutivo confluiscono realtà numerose ed eterogene. Era già successo una settimana prima, il 31 ottobre, per il corteo che si è snodato da piazza Indipendenza sino al quartiere San Lorenzo.
In testa si posizionano gli studenti medi. Il loro protagonismo è il vero elemento di novità della mobilitazione. Sono almeno la metà di tutti i manifestanti, rompono gli spezzoni consolidati delle strutture di movimento, cantano, ballano, fanno cori senza sosta. Non ci stanno a essere “sacrificati” senza che nessuno si assuma la responsabilità di mettere in atto il benché minimo cambiamento. «La scuola e la sanità devono essere rimesse al centro del dibattito pubblico – afferma Giacomo del liceo Aristotele – Ora siamo tutti e tutte a casa e non per colpa nostra, ma di un governo che non ha investito adeguatamente su trasporti pubblici e mobilità alternativa. Restando a distanza risulta più difficile organizzarsi politicamente, ma speriamo che momenti come quello di oggi possano essere un’occasione per tornare ad aggregarsi e discutere». Intanto, dal carro che guida il corteo risuona Cattivi maestri degli Assalti Frontali: «È stato bello? Avoja! E lo rifamo? Avoja!».
La fine della manifestazione è ad alto contenuto simbolico: il policlinico Umberto I. «A medici e infermieri che ogni giorno combattono in prima linea contro il virus per proteggere la salute di tutte e tutti vogliamo dire un grande grazie», dice dal camion Luca Blasi, attivista del centro sociale Astra. Immediatamente parte un applauso lungo e corale. Da dentro l’ospedale qualcuno si affaccia e saluta. Il solco con i gruppi che provano a negare il problema sanitario della Covid-19 è netto.
«Questa struttura aveva duemila e più posti letto e adesso sono meno di mille – racconta un ex-operatore sanitario ripercorrendo la storia dell’ospedale – Decenni di amministrazione universitaria hanno favorito solo gli interessi dei vari baroni e il risultato è che ci si è potuti preparare per l’attuale emergenza al massimo delle possibilità. Nella battaglia per la sanità ci giochiamo tutto».
Salute, reddito, dignità: sembra davvero non mancare nulla all’appello.