domenica 22 marzo 2020

L’URGENZA DI BENI COMUNI GLOBALI. SOVRANITÀ DELLO STATO O SERVIZI PUBBLICI?

- Pierre Dardot, Christian Laval -             La sfida politica della pandemia         




Per gli autori di «Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo» (DeriveApprodi, 2015), la pandemia Covid-19 mette alla prova la capacità delle strategie politico-economiche che dovrebbero fronteggiarla:
«Quello che stiamo vivendo lascia intravedere quello che, con la crisi ambientale in atto, ci attende nei prossimi decenni se la struttura economico - politica globale non dovesse cambiare»


Sovranità dello Stato o servizi pubblici?

Il fallimento del paternalismo liberale ha portato le autorità politiche a una svolta che si cominciava a percepire fin dal primo discorso presidenziale del 12 marzo con l’appello all’unità nazionale, all’unione sacra, alla «forza d’animo» del popolo francese. Il secondo discorso di Macron del 16 marzo è stato ancora più esplicito nella scelta della postura e della retorica marziale: l’ora della mobilitazione generale, l’«abnegazione patriottica», poiché «siamo in guerra». Ormai è la figura dello Stato sovrano che si manifesta nel modo più estremo ma anche più classico, quella della spada che colpirà un nemico «che è là, invisibile, inafferrabile, che progredisce».
Ma c’era un’altra dimensione nel suo discorso del 12 marzo, che non ha mancato di sorprendere. Emmanuel Macron si è improvvisamente, e quasi miracolosamente, trasformato in difensore dello Stato-provvidenza e della sanità pubblica, giungendo ad affermare l’impossibilità di ridurre tutto alla logica del mercato. Numerosi commentatori e politici, alcuni dei quali di sinistra, si sono affrettati a riconoscere in questa presa di posizione una ammissione della funzione insostituibile dei servizi pubblici. Tutto sommato, si avrebbe qui una forma di reazione differita alla domanda scaturita dalla visita alla Salpêtrière del 27 febbraio scorso: al professore di neurologia che reclamava da parte del presidente un qualche intervento a favore degli ospedali, Macron avrebbe finito per dare una risposta positiva, almeno in linea di principio. Il fatto che gli annunci fatti in questa occasione siano largamente fuorvianti e non rimettano in discussione le politiche neoliberali metodicamente perseguite da anni, è stato fin dall’inizio riconosciuto.
Ma c’è di più. Nel corso della conferenza, il Presidente ha riconosciuto che «delegare la nostra alimentazione, la nostra protezione, la nostra capacità di cura, il nostro ambiente di vita insieme agli altri» sarebbe «una follia», e che diventa necessario «riacquistarne il controllo». Questa invocazione alla sovranità dello Stato-nazione è stato salutato da diversi fronti, compreso quello dei neofascisti di RN. La difesa dei servizi pubblici si confonderebbe con le prerogative dello Stato: sottrarre la sanità pubblica alla logica del mercato rivelerebbe un’azione di sovranità, attraverso la quale correggere le fin troppo numerose deleghe consentite dal passaggio all’Unione europea. Ma è così evidente che la nozione di servizi pubblici richiama quella della sovranità dello Stato, come se la prima fosse fondata sulla seconda e le due nozioni indissociabili l’una dall’altra? La questione merita un esame tanto più serio in quanto si tratta di un argomento centrale dei sostenitori della sovranità dello Stato.
Cominciamo con la questione della natura della sovranità dello Stato. Sovranità significa propriamente «superiorità» (del latino superanus), ma nei confronti di che cosa? Rispetto alle leggi e agli obblighi di ogni genere che possono limitare la potenza dello Stato, sia nei suoi rapporti con gli altri Stati che nei suoi rapporti con i propri cittadini. Lo Stato sovrano si pone al di sopra degli impegni e degli obblighi che è libero di contrarre e revocare a suo piacimento. Ma lo Stato, considerato come persona pubblica, può agire solo attraverso i suoi rappresentanti, che dovrebbero incarnarne la continuità al di là della durata dell’esercizio delle loro funzioni. La superiorità dello Stato significa dunque di fatto la superiorità dei suoi rappresentanti nei confronti delle leggi, degli obblighi e degli impegni che possono vincolarlo durevolmente. Ed è questa superiorità che è elevata al rango di principio da parte di tutti i sovranisti. Tuttavia, per quanto sgradevole possa essere questa verità per loro, questo principio vale indipendentemente dall’orientamento politico dei governanti. L’essenziale è che essi agiscano in qualità di rappresentanti dello Stato, qualunque sia l’idea che si fanno della sovranità dello Stato.
Le deleghe successivamente accordate dai rappresentanti dello Stato francese a favore dell’UE lo sono state sovranamente, poiché la costruzione dell’UE ha proceduto sin dai primi passi dell’attuazione del principio della sovranità dello Stato. Allo stesso modo, il fatto che lo Stato francese, come tanti altri in Europa, si sia sottratto ai suoi obblighi internazionali in materia di difesa dei diritti umani, rientra in una logica di sovranità: la dichiarazione dei difensori dei diritti umani impone agli Stati di creare un ambiente sano e protettivo, ma le leggi e le pratiche degli Stati firmatari, in particolare quelle della Francia alla frontiera che condivide con l’Italia, impone violare tali obblighi internazionali. Lo stesso vale per gli obblighi in materia di clima, per i quali gli Stati si comportano allegramente secondo i loro interessi attuali. Anche in materia di diritto pubblico, lo Stato non è rimasto indietro. Così, per attenerci al caso francese, i diritti dei nativi americani della Guyana vengono negati in nome del principio della «repubblica una e indivisibile», espressione che ci rinvia ancora una volta alla sacrosanta sovranità dello Stato. In definitiva, quest’ultima è l’alibi che consente ai rappresentanti dello Stato di esonerarsi da qualsiasi obbligo che legittima un controllo da parte dei cittadini. Tenendo presente questo punto, esso ci aiuterà a esplicitare il carattere pubblico dei servizi cosiddetti «pubblici».
È il senso della parola «pubblico» che deve richiamare qui tutta la nostra attenzione. Troppo spesso ci si accorge che, in questa espressione, «pubblico» è assolutamente irriducibile a «statale». Perché il publicum qui designato rinvia non alla sola amministrazione statale, ma all’intera collettività in quanto essa è costituita dall’insieme dei cittadini: i servizi pubblici non sono i servizi dello Stato nel senso che lo Stato potrebbe disporne a suo piacimento, non sono neppure una proiezione dello Stato, sono pubblici in quanto sono «al servizio del pubblico». Essi rientrano in questo senso in un obbligo positivo dello Stato nei confronti dei cittadini. In altre parole, sono dovuti dallo Stato e dai governanti ai governati, lungi dall’essere un favore che lo Stato farebbe ai governati, come la formula di «Stato-provvidenza», polemica perché di ispirazione liberale, dà a sentirla. Il giurista Léon Duguit, grande teorico dei servizi pubblici, lo aveva fatto notare fin dall’inizio del XX secolo: è il primato dei doveri dei governanti verso i governati che costituisce il fondamento di quello che si chiama il «servizio pubblico». A suo avviso, i servizi pubblici non costituiscono una manifestazione della potenza dello Stato, ma un limite del potere governativo. Essi sono ciò per cui i governanti sono i servi dei governati. Questi obblighi che si impongono ai governanti, si impongono anche agli agenti dei governanti e sono loro che fondano la «responsabilità pubblica».
Per questo motivo i servizi pubblici rientrano nel principio della solidarietà sociale, che si impone a tutti, e non nel principio della sovranità che è incompatibile con quello della responsabilità pubblica. Questa concezione dei servizi pubblici è stata certamente repressa dalla finzione della sovranità dello Stato. Ma è lei che continua a farsi sentire attraverso il fortissimo rapporto che i cittadini intrattengono con ciò che ritengono un diritto fondamentale. Il fatto è che il diritto dei cittadini ai servizi pubblici è la stretta contropartita della garanzia dei servizi pubblici spetta ai rappresentanti dello Stato. Ecco perché i cittadini dei vari paesi europei colpiti dalla crisi hanno voluto manifestare in varie forme il loro attaccamento a questi servizi impegnati nella lotta quotidiana contro il coronavirus: i cittadini di numerose città spagnole hanno così applaudito dai i loro balconi le équipe dei servizi sanitari, indipendentemente dal loro atteggiamento nei confronti dello Stato unitario centralizzato. Le due cose devono essere distinte con cura. L’attaccamento dei cittadini ai servizi pubblici, in particolare ai servizi ospedalieri, non è affatto un’adesione all’autorità o al potere pubblico nelle sue varie forme, ma un attaccamento a servizi che hanno come finalità essenziale quella di soddisfare le esigenze del pubblico. Lungi dal manifestare un ripiegamento identitario sulla nazione, questo attaccamento testimonia un senso dell’universale che attraversa le frontiere e ci rende tanto sensibili alle prove vissute dai nostri «concittadini in pandemia», siano essi italiani, spagnoli e, infine, europei e non.

L’urgenza di beni comuni globali
Non si può prestare fede alla promessa di Macron secondo la quale lui sarà il primo a mettere in discussione «il nostro modello di sviluppo» dopo la crisi. Si può persino legittimamente pensare che le misure drastiche in materia economica ripeteranno quelle del 2008 e mireranno ad un «ritorno alla normalità», cioè alla distruzione del pianeta e alla crescente disuguaglianza delle condizioni sociali. Si deve piuttosto temere fin d’ora che il conto per «salvare l’economia» venga nuovamente presentato ai salariati e ai contribuenti più poveri. Eppure, grazie a questa emergenza, è cambiato qualcosa che fa sì che nulla possa più essere come prima. Il sovranismo di Stato, con il suo riflesso sicuro e il suo tropismo xenofobo, ha dato prova del suo fallimento. Lungi dal contenere il capitale globale, ne modifica l’azione esacerbando la concorrenza.
Due cose sono ormai chiare a milioni di persone. Da un lato, la necessità di trasformare i servizi pubblici in istituzioni del comune capaci di mettere in opera la solidarietà vitale tra esseri umani. D’altra parte, il bisogno politico più urgente dell’umanità, l’istituzione di beni comuni globali. Poiché i rischi sono globali, l’aiuto reciproco deve essere globale, le politiche devono essere coordinate, i mezzi e le conoscenze devono essere condivisi, la cooperazione deve essere la regola assoluta. Salute, clima, economia, istruzione, cultura non devono più essere considerate proprietà private o beni di Stato: devono essere considerati beni comuni mondiali ed essere istituiti politicamente come tali. Una cosa è ormai certa: la salvezza non verrà dall’alto. Solo le insurrezioni, le rivolte e le coalizioni internazionali di cittadini possono imporla agli Stati e al capitale.


Traduzione dal francese di Viviana Vacca
Immagine: Alfredo Jaar, Be Afraid of the Enormity of the Possible (2015)

lettura integrale del saggio La sfida politica della pandemia, Hopefulmonsters, OperaViva magazine