La critica sollevata da Ferrari Bravo
al saggio
di Agamben
[Luigi Emilio Pischedda]
[Luigi Emilio Pischedda]
La recensione di Ferrari Bravo – uscita originariamente per Futuro anteriore (1996) e poi ripubblicata nella raccolta Dal fordismo alla globalizzazione. Cristalli di tempo politico (Manifestolibri, 2001) – è, infatti, il tassello di un’indagine più ampia che lo coinvolge in quegli anni: la comprensione del salto di paradigma che la globalizzazione impone da un lato, alle forme della rappresentanza politica, dall’altro, alla forma Stato. Per questa ragione sarebbe opportuno leggere il presente testo avendo sottomano altri due scritti, reperibili nella raccolta sopracitata (il secondo è disponibile anche sul sito dell’Archivio): Costituzione e movimento sociali (Manifestolibri, 1996) e Sovranità (comparso per la prima volta in Posse, 2000). Non solo perché ciò mostra con quale tensione Ferrari Bravo legge Homo sacer, ma perché permette anche di mettere a fuoco la direzione verso cui si aprono alcune delle riflessioni proposte
Quali sono gli interrogativi che Ferrari Bravo
solleva alla lettura del testo di Agamben? Il punto di partenza è costituito
dall’analisi del concetto di «nuda vita». Ferrari Bravo riflette sul fatto che
sebbene questo concetto voglia sgombrare il campo dalle ambiguità del paradigma
politico moderno – il problema delle forme di esercizio del potere e delle
effettive potenzialità della rappresentatività politica – esso corre invece il
rischio di rafforzarle. Questo perché la diade agambeniana approfondisce e
sviluppa solo uno dei due termini, ovvero quello di «vita». Appropriandosi e
rielaborando in veste metafisica il concetto foucaultiano di biopolitica,
Agamben finisce infatti per lasciare nell’ombra la problematica
storico-materiale dell’articolarsi politico della soggettività: per restare
nelle metafore dell’autore di Homo Sacer, ci si dimentica
insomma la possibile “investitura” o “spoliazione” di cui la nudità è fatta
oggetto. Viene quindi a mancare, in sostanza, una riflessione che si assuma, in
termini materialistici, il compito di pensare «la relazione tra le varie forme
di potere sociale e la forma del Politico». È invece tenendo ben presente
questa urgenza che l’interrogazione di Ferrari Bravo si dipana, rileggendo gli
snodi argomentativi proposti da Agamben.
Ecco che viene spontaneo, quindi, sollevare il dubbio se i caratteri di «uccidibilità e non sacrificabilità» che definiscono la figura dell’homo sacer, non siano piuttosto da attribuire prima e più specificamente allo schiavo, «cioè all’incontestabile colonna portante dell’intera civiltà greco-romana». E ancora, seguendo le metamorfosi dell’homo sacer nelle figure del wargus e del friedlos, se non abbia più senso leggere la ban-lieu, non come luogo a-topico di produzione della nuda vita, bensì come «spazio quanto mai concreto entro il quale fa la prima apparizione una figura protomoderna di proletariato».
Ecco che viene spontaneo, quindi, sollevare il dubbio se i caratteri di «uccidibilità e non sacrificabilità» che definiscono la figura dell’homo sacer, non siano piuttosto da attribuire prima e più specificamente allo schiavo, «cioè all’incontestabile colonna portante dell’intera civiltà greco-romana». E ancora, seguendo le metamorfosi dell’homo sacer nelle figure del wargus e del friedlos, se non abbia più senso leggere la ban-lieu, non come luogo a-topico di produzione della nuda vita, bensì come «spazio quanto mai concreto entro il quale fa la prima apparizione una figura protomoderna di proletariato».
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