la “politica delle operazioni”
e le nuove prospettive della forma-Stato
Non c’è uno svanire dello Stato, quanto una sua
radicale riqualificazione/riorganizzazione
in ordine alle operazioni di capitale
>due punti essenziali e nell’elaborazione della critica del
sistema capitalista contemporaneo nella società post-industriale e post-nazionale
>fra mercato globale e Stato globale, si riorientano le
forme dello Stato: “Un ‘mondo’ di Stati (Staaten-Welt) si costruisce in
relazione alle mutazioni del mercato mondiale”
>siamo dinnanzi a forme espansive del potere moltitudinario
e che la politica capitalista delle operazioni finisce col determinare
l’emergenza di forti scontri di soggettivazione
Che
cos’è una politica di operazioni? Essa prende inizio dal considerare
“estrazione-logistica-finanziarizzazione” (i tre paliers dello sfruttamento e
dell’accumulazione capitalista oggi) come un set di operazioni e pratiche
congiunte nel costruire un nuovo quadro di razionalità e di logica esecutiva
per il capitalismo contemporaneo. Viene così elaborata una batteria di
categorie da tener presente nell’avanzare della ricerca. Se è possibile qui
dare una caratteristica fondamentale e comune ai concetti che vengono proposti
per reggere il metodo dell’inchiesta, cioè dell’analisi a partire dalle
operazioni, si dica che essi aprono tutti alla spazialità dell’approccio.
La politica delle operazioni si basa dunque non solo sulle dimensioni classiche
dell’approccio analitico marxista ma su un’integrazione spaziale di questo.
Lo sforzo teorico è quello di dare spazio alle categorie marxiane. In questa luce, il rapporto di capitale non è dato solo nella sua consistenza o intensità generiche, ma va sempre esteso oltre la sua dimensione specifica: dall’inizio è qui prevalente l’idea di accumulazione di Rosa Luxemburg (e la sottolineatura delle esternità allo/dello sviluppo, tipica di quella lettura marxista). Quindi: “operazione” di capitale non è mai solo una macchinazione tecnica o tecnologica, è piuttosto un dispositivo politico che si determina su una base specifica, su un aggancio aggressivo ad un territorio (di nuovo un’insistenza molto importante sulla “spazialità”), e sull’intersezione di figure antropologiche e di movimenti che si stendono fra passato e futuro. “Scavando e descrivendo analiticamente gli arrangiamenti spazio-temporali, interroghiamo le operazioni di capitale e ne delineiamo le relazioni cangianti con le pratiche soggettive e istituzionali”, cogliendo le turbolenze che in ogni momento in questo quadro si danno: così descrivono gli autori il loro approccio. La politica delle operazioni è dunque “un’analisi delle complessità spaziali e temporali della globalizzazione, unite ad un’analisi della circolazione di capitale e della colonizzazione della vita sociale”.
Lo sforzo teorico è quello di dare spazio alle categorie marxiane. In questa luce, il rapporto di capitale non è dato solo nella sua consistenza o intensità generiche, ma va sempre esteso oltre la sua dimensione specifica: dall’inizio è qui prevalente l’idea di accumulazione di Rosa Luxemburg (e la sottolineatura delle esternità allo/dello sviluppo, tipica di quella lettura marxista). Quindi: “operazione” di capitale non è mai solo una macchinazione tecnica o tecnologica, è piuttosto un dispositivo politico che si determina su una base specifica, su un aggancio aggressivo ad un territorio (di nuovo un’insistenza molto importante sulla “spazialità”), e sull’intersezione di figure antropologiche e di movimenti che si stendono fra passato e futuro. “Scavando e descrivendo analiticamente gli arrangiamenti spazio-temporali, interroghiamo le operazioni di capitale e ne delineiamo le relazioni cangianti con le pratiche soggettive e istituzionali”, cogliendo le turbolenze che in ogni momento in questo quadro si danno: così descrivono gli autori il loro approccio. La politica delle operazioni è dunque “un’analisi delle complessità spaziali e temporali della globalizzazione, unite ad un’analisi della circolazione di capitale e della colonizzazione della vita sociale”.
Ne viene
una ridefinizione del concetto stesso di capitale, di quell’unità in cui esso è
stato configurato nell’analisi marxista, riprendendo piuttosto, a questo punto,
di nuovo i suggerimenti di Rosa Luxemburg. Gesamtkapital va letto non come
“capitale totale” ma come “capitale aggregato”. Come
un aggregato di operazioni dove ogni elemento (di capitale) diviene, si
svolge in maniera distinta ed articolata.
È chiaro che qui un intero pane di storia del XIX e XX secolo viene inserito nella definizione di capitale ed in particolare, dopo le definizioni classiche di Marx-Engels, vengono percorse le vicende che portano, dalla prima guerra mondiale in poi, alla compenetrazione prima di economia e di Stato, poi – man mano – al “gioco globale del tasso di profitto”, e cioè all’allargarsi globale del mercato e del complesso confronto delle politiche sovrane e delle operazioni di capitale nella globalizzazione – meglio, possiamo definirla, una intera spazializzazione dello sviluppo e dell’accumulazione di capitale. Il capitale dunque si sviluppa su molti fronti, davanti a molteplici outsides, occasioni, evenienze esterne. E bisogna sempre starci sempre dentro a questo quadro spaziale, alla sua variabilità. “Operazioni di capitale”: non vanno dunque prese come espressioni di un linguaggio performativo, e neppure semplicemente effettuale o causale, ma per descrivere piuttosto le dinamiche variabili dell’azione, i concatenamenti, gli intervalli del fare. “Questa nozione di operazioni del capitale apre sempre nuovi angoli della questione dei rapporti di capitale con i suoi molteplici outsides”.
È chiaro che qui un intero pane di storia del XIX e XX secolo viene inserito nella definizione di capitale ed in particolare, dopo le definizioni classiche di Marx-Engels, vengono percorse le vicende che portano, dalla prima guerra mondiale in poi, alla compenetrazione prima di economia e di Stato, poi – man mano – al “gioco globale del tasso di profitto”, e cioè all’allargarsi globale del mercato e del complesso confronto delle politiche sovrane e delle operazioni di capitale nella globalizzazione – meglio, possiamo definirla, una intera spazializzazione dello sviluppo e dell’accumulazione di capitale. Il capitale dunque si sviluppa su molti fronti, davanti a molteplici outsides, occasioni, evenienze esterne. E bisogna sempre starci sempre dentro a questo quadro spaziale, alla sua variabilità. “Operazioni di capitale”: non vanno dunque prese come espressioni di un linguaggio performativo, e neppure semplicemente effettuale o causale, ma per descrivere piuttosto le dinamiche variabili dell’azione, i concatenamenti, gli intervalli del fare. “Questa nozione di operazioni del capitale apre sempre nuovi angoli della questione dei rapporti di capitale con i suoi molteplici outsides”.
Non
procedo qui nell’approfondire questo punto, pur fondamentale, seguendo le
indicazioni di Mezzadra-Neilson, perché lo spazio che si apre è immenso: con
loro bisognerebbe ripartire, da un lato, dalla genealogia del concetto di
“operazione” (visto nascere dalla Arendt ma molto meglio, molto di più da
Deleuze), per arrivare, d’altro lato, alle logiche operazionali della
digitalizzazione, alle macchine dell’immateriale, e cioè appunto all’immensa
topologia sulla quale si conclude la riflessione dell’attualità.
Sandro Mezzadra e Brett Neilson,The Politics of Operations. Excavating contemporary capitalism, Duke University Press, 2019
tratto da Toni Negri Sulle “operations” di Mezzadra-Neilson