di Ugo Mattei
Sia in Europa che negli Stati Uniti il principio della «legge uguale per tutti» viene messo in discussione attraverso l'istituzione di norme e assetti legislativi che istituiscono stati d'eccezione per le imprese e il mondo degli affari. Un percorso di lettura sulle tradizioni della civil law e della common law
Diverse fra le «novità giuridiche» del Decreto Crescitalia sono informate alla polemica nei confronti del formalismo, uno «stile giuridico» dal quale liberarsi al più presto perché esso avrebbe come unico effetto il rallentamento della crescita. La polemica non è nuova, anzi costituisce un leit motiv ripetuto nei piani di aggiustamento strutturale di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale che nei loro rapporti doing business classificano gli ordinamenti dal più virtuoso al più vizioso proprio in proporzione inversa al tasso di «formalismo giuridico», ossia dei passaggi e dei controlli che il diritto dei vari Stati impone per aprire una attività di impresa. La novità del Decreto Crescitalia, per ora poco discussa, sta nella introduzione di speciali giurisdizioni per l'impresa, vere e proprie corti speciali competenti a conoscere in materia di diritto commerciale. In tal modo il governo tecnico, probabilmente senza particolare consapevolezza, introduce una radicale soluzione di continuità rispetto ad una tendenza, non soltanto italiana, che ha visto nel corso del novecento, il progressivo imporsi di regole sostanziali e di giurisdizione unitarie nella materia del diritto privato (di cui è parte il diritto dell' impresa) proprio al fine di trovare il giusto bilanciamento fra formalismo e libertà economica.
Il dogma dei mercanti
In effetti, sia nella tradizione di civil law (cui appartiene anche il diritto italiano) che in quella di common law (tradizione anglo-americana) il principio di uguaglianza di fronte alla legge, (La legge è uguale per tutti sta affisso sulle pareti delle aule giudiziarie) nel senso di un unico ordine giuridico che vincola ogni individuo in un determinato territorio a prescindere dallo status o dall'estrazione sociale, può essere considerato un'acquisizione recente. Infatti, il «principio della personalità», secondo cui ogni individuo in una data società è vincolato dalle leggi del proprio gruppo e non da un comune sistema giuridico su base territoriale è una soluzione istituzionale molto più comune ed antica. Anche nei postumi della Rivoluzione Francese, quando egalité era intesa dai Giacobini come sinonimo di un ordine giuridico unico, gerarchico, e centralizzato, sopravviveva un certo grado di pluralismo. All'interno di esso, il più eclatante esempio di regime giuridico basato sulle differenze di status era quello dei mercanti. Perciò l'idea che non tutti gli individui sono uguali e che alcuni di essi meritano un status giuridico speciale, può essere rintracciata all'interno della classica distinzione tra il diritto per i mercanti e quella per il quivis de populo, distinzione centrale sia nella tradizione di civil law che in quella di common law, che il Governo Monti ripropone.
In Inghilterra il diritto commerciale è stato per secoli riservato ad una speciale giurisdizione, dotata di regole e avvocatura propria, ed è stato solo dopo la tempestosa presidenza di Lord della più alta Corte ordinaria sul finire del diciottesimo secolo che le corti di common law hanno potuto occuparsi della giurisdizione commerciale letteralmente strappandola alle corti che nei secoli si erano specializzate in questa materia. In Francia e Germania il diritto commerciale è stato incorporato in codici speciali ed amministrato in corti speciali fino ad oggi. Anche negli Stati Uniti, dove il principio dell'uguaglianza di fronte alla legge può essere considerato alla stessa stregua di un dogma religioso, le diverse esigenze della classe mercantile sono state alla base dell'impianto del Codice Commerciale Uniforme oggi sostanzialmente vigente. (Anche se la proposta autorevole di una giuria di mercanti non è stata adottata).
Un paternalismo illuminato
Questa antica posizione privilegiata dei mercanti, come classe in grado non solo di essere governata da un corpo speciale di disposizioni, ma anche da un sistema giuridico «migliore» in quanto maggiormente informale e più corrispondente ai loro bisogni, non è rimasta intatta nella tradizione giuridica occidentale. Oltre alla già menzionata Inghilterra, tutte le codificazioni più recenti e significative, dalla Svizzera all'Italia, ai Paesi Bassi, si sono rifiutate di offrire ai mercanti codici propri, ed hanno adottato un approccio unitario.
La sfida ad un diritto commerciale privilegiato è stata di carattere sia ideologico che tecnico. Eugen Huber, il padre della codificazione svizzera all'inizio del secolo scorso, è stato il primo, sulla base delle sue idee socialdemocratiche, a evidenziare che uno status particolare per i mercanti sarebbe stato incompatibile con il principio di uguaglianza di fronte alla legge. In virtù di questo fondamentale principio democratico nessuna categoria può reclamare un trattamento privilegiato (etimologicamente avere una legge privata). Dopo tutto, la Rivoluzione Francese si era scagliata proprio contro i privilegi che l'ancién régime assicurava ai proprietari terrieri. Con il trasferirsi del potere economico dai nobili alla borghesia mercantile, risultava nuovamente inaccettabile per la classe al potere d'essere «più eguale» delle altre.
Da un punto di vista tecnico, la critica si basò sul progressivo venir meno delle ragioni che avevano precedentemente giustificato la distinzione tra i codici civile e commerciale. Mentre il diritto civile poteva considerarsi ispirato ad un «formalismo» volto alla protezione del debole (spesso analfabeta) e richiedeva una buona dose di paternalismo illuminato, il diritto commerciale costituiva il terreno dell'informalità, della responsabilità personale e dell'assunzione del rischio. I costi e le lentezze introdotti dal formalismo non si giustificavano fra mercanti. Essi rappresentavano la classe sociale più sofisticata, capace di leggere, scrivere e comprendere le conseguenze dei loro affari. Per questi motivi, il diritto poteva permettere loro d'introdurre nei contratti clausole penali che non potevano essere modificate dalle corti, rilasciare titoli di credito capaci di circolare al portatore, e garantire al silenzio il carattere d'accettazione dell'offerta contrattuale. Il codice commerciale tedesco offre altri esempi come quello del caveat emptor, per proteggere i mercanti da qualsiasi questione basata su difetti riconoscibili della merce non dichiarati subito dopo la consegna, o la previsione di tassi di interesse legale più alti e capaci di riflettere la realtà del mondo degli affari.
Un pluralismo di troppo
In seguito al miglioramento ed allo sviluppo sociale delle società occidentali, l'analfabetismo non era più così diffuso e per questo il formalismo protettivo risultava meno giustificato. Si è dovuto osservare inoltre che i mercanti non trattano solamente con altri mercanti. È problematico basare la distinzione tra attori del mercato bisognosi della protezione del diritto, in contrapposizione ad altri protagonisti del mercato che non necessitano di una simile protezione, su una classificazione schematica come quella tra mercanti e non. Vari sistemi giuridici hanno utilizzato criteri diversi per stabilire il carattere «commerciale» delle transazioni. Quale diritto dovrebbe essere applicato quando un membro di una classe tratta con un membro di un'altra? Anche qui sistemi giuridici diversi non sono d'accordo in riferimento a questo problema.
Esiste una tensione fondamentale che spiega perché questo problema non sia facilmente risolvibile, e certo non lo sia a costo zero, soprattutto se si opta per giurisdizioni separate. Quando il diritto risulta offrire un regime giuridico «migliore» per un gruppo, è spesso perché questo gruppo è abbastanza forte per far pressione sul processo politico che porta alla formulazione del regime giuridico stesso. Se così è, il gruppo che è stato capace di ottenere un regime giuridico speciale lo custodirà gelosamente. Di conseguenza, quando i mercanti interagiscono con i non-mercanti, i primi pretenderanno l'applicazione del loro regime (avendo abbastanza potere per farlo). I cittadini comuni tuttavia, necessitano di protezione, con la conseguenza che quando nasce un conflitto tra le categorie, c'è il bisogno di protezione attraverso norme imperative che valgano per tutti. Una simile scelta, chiaramente, avviene ad opera delle corti, ma avvenendo ex post accresce il tasso di incertezza. Questo problema è stato, ed è tuttora, molto difficile da risolvere nei sistemi giuridici che accettano la distinzione tra diritto civile e commerciale come base per regimi giuridici essenzialmente diversi o, a volte, addirittura per competenze giurisdizionali e tecniche decisorie completamente diverse. Se i giudizi per i mercanti avvengono in corti diverse con regimi diversi rispetto a quelli per i non-mercanti, la scelta diventa cruciale ed è, in se stessa, una importante fonte di costi. Risorse che si pensava di mettere a profitto limitando il formalismo vengono dirottate sulla scelta di quale corte decida ed applicando quale diritto. Una tale scelta incide spesso sulla decisione di merito, che risulterà diversa a seconda del sistema di norme che viene applicato. Chiaramente, questo uso delle risorse è talora inevitabile (vedi ad esempio i giudizi internazionali), ma la sua introduzione quando non risulti necessaria, costituisce comunque uno spreco.
In cerca di governance
Come conseguenza di questo insieme di obiezioni, le più recenti codificazioni di diritto privato hanno unito il diritto civile ed il diritto commerciale. I due corpi di disposizioni si sono influenzati a vicenda e, mentre l'inutile formalismo è stato in via di principio abbandonato, le clausole vessatorie dovute al disequilibrio del potere economico non vengono ammesse nemmeno quando ricorrono tra «mercanti». Tale più avanzato modello unitario riflette il fatto che le transazioni tra mercanti non coinvolgono solo i mercanti. Gli accordi privati fra uomini d' affari producono effetti esterni che essi ben volentieri scaricano sui terzi. Ed infatti, la gran parte del diritto commerciale sviluppatosi in Italia tra il tredicesimo ed il quattordicesimo secolo, e riprodotto in tutto il mondo, ha una natura imperativa, cioè non può essere derogato pattiziamente dai mercanti proprio perché coinvolge altri. Esempi si possono rinvenire nel diritto delle società, ivi inclusi la corporate governance, il diritto fallimentare, ed il diritto dei titoli di credito.
La presenza o l'assenza di una norma limitante la libertà di contrarre (per esempio introdurre o meno la forma notarile per costituire una s.r.l.) è un problema che non ha nulla a che vedere con le esigenze di chi contrae ma riguarda l'impatto di tale contrarre sulla sicurezza del mondo esterno. I giuristi, hanno avuto da tempo familiarità con la distinzione tra previsioni imperative (protettive dei terzi) e dispositive (ossia che le parti possono liberamente derogare) e gli artefici dei codici più moderni si sono sforzati di individuare una soluzione interpretativa al problema della distinzione fra le une e le altre. Il Codice tedesco, per esempio, giunge ad una distinzione linguistica piuttosto precisa, utilizzando il termine «può», anziché «deve», in relazione alle previsioni dispositive. Il bilanciamento fra esigenze degli imprenditori e quelle dei non mercanti è uno sforzo estremamente complesso che spetta alla dottrina e alla giurisprudenza e che solo degli sprovveduti possono pensare di operare per decreto legge. Se un regime giuridico fornisce errati incentivi all'attività economica desiderabile, lo fa indipendentemente dallo status sociale degli individui che sono coinvolti. Restituire un foro speciale ai mercanti altro non è che un ennesima operazione ideologica destinata a produrre più costi che benefici.
da il manifesto 17.02.2012