lunedì 29 agosto 2011

La Tunisia è la nostra università

Appunti e riflessioni dal Liberation Without Borders Tour

di ANNA CURCIO e GIGI ROGGERO


La Tunisia è, oggi, uno straordinario laboratorio politico. Distruggendo definitivamente ogni inveterata reminiscenza del rispecchiamento coloniale, secondo cui le "periferie" dovrebbero osservare il "centro" per vedervi riflessa l'immagine del proprio futuro, sono invece le lotte a determinare il punto avanzato dentro il capitalismo globale. Fare inchiesta in questo laboratorio significa la possibilità di trovare risposte e nodi politici insoluti.
Innanzitutto, emergono qui indicazioni fondamentali sulla temporalità della crisi. Tra il 2007 e il 2008, quando abbiamo cominciato a sviluppare la nostra analisi sulla crisi economica globale, non potevamo registrare il deflagrare di nuovi cicli di lotta, o meglio questi assumevano un carattere frammentario e non generalizzato. Oggi possiamo constatare come sia lo stesso concetto di ciclo che deve essere completamente ripensato: nel momento in cui la crisi diventa non più fase specifica ma elemento permanente e orizzonte insuperabile del capitalismo cognitivo, le lotte assumono una differente temporalità. Aspettano e attaccano il nemico dove è più debole, ovvero dove è più forte la composizione del lavoro vivo.
Quelle in Tunisia e in Egitto, allora, sono state le prime insurrezioni dentro la crisi economica globale. Ancora di più, hanno rimesso all'ordine del giorno le parole d'ordine dell'insurrezione e della rivoluzione, di cui molti, troppi pensavano di essersi liberati insieme ai ferri vecchi del Novecento. Ma queste parole d'ordine vengono imposte all'agenda dei movimenti in modo nuovo. L'insurrezione non è più, dunque, legata alla presa dello Stato, i perimetri dello spazio nazionale sono definitivamente ecceduti. Si insorge per distruggere i confini, per affermare il diritto alla fuga e alla mobilità del lavoro vivo.
Allora, è per i militanti tunisini chiara la percezione delle coordinate della sfida, che si disegnano su un piano immediatamente transnazionale. Anche qui, possiamo vedere come un altro elemento peculiare della crisi contemporanea, quello del contagio (si veda il decisivo contributo di Christian Marazzi nei suoi diari), viaggi in realtà all'inseguimento dei movimenti del lavoro vivo e delle sue pratiche di organizzazione. L'insurrezione tunisina è stata l'innesco per il movimento in Egitto e in tutto il mondo arabo. E ora dal Wisconsin alla Spagna alla Grecia la parola d'ordine diventa: fare come a piazza Tahrir. Il contagio dei conflitti avviene attraverso la rete, dai social network agli sms. Non si tratta, semplicemente, di strumenti che facilitano la circolazione delle informazioni e della comunicazione. La rete qui viene interamente riappropriata dal sapere vivo, diviene forma dell'organizzazione moltitudinaria, espressione e pratica dell'intelligenza collettiva. Che straordinaria esperienza vedere come, concretamente, i dimostranti si muovono nello spazio metropolitano: in un sabato qualsiasi l'appuntamento è alle 10 del sabato mattina davanti a un teatro della centrale Avenue Bourghiba, passano 40 minuti e non c'è nessuno, i poliziotti dietro al filo spinato sono tesi e non capiscono; in una manciata di secondi cento, duecento, trecento persone si radunano, urlano al governo di transizione che se ne deve andare, rivendicano la continuazione del processo rivoluzionario. Quando la manifestazione viene attaccata con bastoni e coltelli da poliziotti in borghese, e/o loschi figuri al soldo dei commercianti preoccupati per i loro affari alla vigilia della stagione turistica, si disperde in modo apparentemente improvviso com'era comparsa. Ma pochi minuti dopo lo sciame si ricompone ancora più numeroso davanti al ministero degli affari sociali, e poi ancora sotto alla sede del sindacato per imporre la convocazione di uno sciopero generale.