-Toni Casano -
Il 25 Aprile a Palermo, iniziamo col dire che questa celebrazione dell’ottantesimo non è stata soltanto la solita rituale commemorazione della
Liberazione dal nazifascismo

Come sempre l’apertura della
giornata è stata fissata già nella prima mattinata, all’interno dello storico
Giardino Inglese, alla presenza delle autorità pubbliche e dell’ANPI, con la tradizionale deposizione di corone di alloro e fiori
alla lapide dei caduti di Cefalonia e al cippo in memoria di Pompeo Colajanni,
il mitico comandante Barbato fra i protagonisti della lotta partigiana nel
Monferrato, distintosi nel corso della liberazione della città di Torino dai
nazifascisti.
Subito dopo il
cerimoniale istituzionale, a pochi centinaia di metri, cominciano sempre più
copiosi ad affluire, nel piazzale di via delle Croci, gruppi di cittadini – più
o meno organizzati con striscioni e bandiere o semplici cartelli
autopennellati, moltissimi con avvolta attorno al collo o adagiata sulle
spalle la kefiah, diventata simbolo distintivo unificante
delle lotte popolari per l’autodeterminazione – per prendere parte al corteo,
il quale da lì a poco si sarebbe snodato lungo la carreggiata centrale del
Viale della Libertà per giungere fino a piazza Verdi ed essere accolto – a
cancellate aperte – nello spazio esterno del tempio basilesco, dove
la scalinata imperiosa del Teatro Massimo si trasformerà in una meravigliosa
scenografia, con tantissimi striscioni orizzontalmente esposti a
bellavista e, soprattutto, con al centro della scena la grande bandiera
palestinese distesa in verticale sugli scalini, per sancirne il legame
ideal-simbolico tra le passate e le insorgenti lotte di liberazione contro gli
spettri dei nuovi fascismi che si aggirano nel nostro presente.
Si percepisce a pelle, oggi più che mai, la voglia generale che anima la piazza nel voler esserci, accomunata dal desiderio di raccogliere e innalzare ancora in alto la bandiera dell’antifascismo, anche contro i tentativi di revisionismo storico che le nuove vecchie destre nostrane stanno tentando artatamente di montare, al fine di marginalizzare la valenza sociale della Resistenza partigiana, sia nel ruolo avuto nella cacciata dell’esercito nazista sia nel processo di costituzionalizzazione repubblicana sorretto dalle fondamenta antifasciste. Si tratta di un revisionismo volto a ridurre la consistenza delle brigate partigiane ad una “sparuta” organizzazione, utilizzata come semplice grimaldello dal comando angloamericano, alle cui forze schierate in campo (riscoprendo perfino una pseudo eroica partecipazione resistenziale - mai documentata - della Brigata ebraica ch’era, invece, organicamente incardinata nell’esercito britannico) si dovrebbe prevalentemente riconoscere il merito della cacciata dal suolo italico, con la sonora sconfitta inflitta al principale nemico combattuto nel fronte del teatro di guerra del vecchio continente.
In altri termini, per il revisionismo storico della neodestra postmissina, quella della Liberazione è una pagina da ascrivere in realtà esclusivamente all'abilità del comando alleato, capace di condurre in porto una vincente operazione militare tattico-strategica, della quale la sinistra italiana si sarebbe impossessata, mistificandone i fatti - per tornaconto ideologico - ed attribuendosene il successo con l'enfatizzazione di una lotta insurrezionale, accreditandosi - così - come parte egemone nella ricostruzione postbellica, ma - soprattutto - qualificandosi come unico soggetto legittimato a detenere la chiave esegetica della Carta costituzionale. Orbene, secondo queste ultradestre neoconservatrici – sia di derivazione missina che di derivazione “liberalclericorazzista” - sarebbe venuta l’ora di “ristabilire la verità storica” sulla II^ Guerra mondiale, legittimando con pari dignità tutti i combattenti delle parti avverse, come atto conclusivo di una pacificazione postuma, andando oltre il clichè fascismo/antifascismo.
Insomma, dato questo clima, s’era capito da giorni che la manifestazione dell’ottantesimo
non sarebbe stata come le tante celebrate negli ultimi anni, inchiodata com’era
– de facto – ad un momento rievocativo istituzionale della
storia patria, la giornata in cui si apriva il lungo ponte festaiolo che si
chiudeva al primo maggio. La novità stavolta è stata la massiccia presenza
delle ultime generazioni politiche dei movimenti – di cui la maggior parte non
è strutturata nella militanza dei grandi partiti tradizionali – e che, in
questi anni di atrocità belliciste, li ha visti a sostegno (così come i
tantissimi altri giovani nelle piazze delle maggiori capitali e nelle acampadas universitarie
del mondo) della campagna di mobilitazione solidale in favore della popolazione
palestinese, contro il genocidio sistematico praticato dall’esercito sionista
sotto il comando del governo della destra ultraconservatrice.
In sostanza, più di
cinquemila (con qualche stima anche raddoppiata) le presenze del corteo
del 25 Aprile panormita, caratterizzatosi sul tema della Pace
e del Disamo, dentro cui abbiamo visto convergere – così come scrive nella
cronaca di ieri Daniela Musumeci su Pressenza.com –
“per la prima volta insieme tre generazioni” di attiviste e attivisti: figli
dei partigiani e dei deportati, sessantottini che non si sono mai fermati
e moltitudini soggettive cresciute tra l’associazionismo solidale e i centri
sociali autogestiti. Questa convergenza – pur non alludendo ad alcuna
vera e propria pianificazione organizzativa – non è stata del tutto casuale.
Infatti, nei giorni precedenti si sono tenuti diversi incontri incrociati, ci
si è confrontati – sia pure a distanza – sulla necessità di
partecipare in massa all’iniziativa, con l’obiettivo di farla diventare una
straordinaria occasione di mobilitazione sociale al di fuori dai canoni
istituzionali, riappropriandosi di una lotta contro quel potere che allora era
l’espressione più feroce delle sue concrezioni conosciute e di cui molti tratti
oggi riaffiorano impunemente: una destra che non fa mistero nel voler far
prevalere la sua recrudescenza, legittimata da un populismo
democraturale che specula sul disagio dei subalterni del pianeta, per
mantenere i privilegi delle oligarchie capitalistiche.
Stiamo
parlando dell’avanzata di un blocco reazionario che coniuga “ordine e
disciplina” del passato con la dittatura algoritmica delle piattaforme della
sorveglianza. Una destra mondiale che mentre espande il dominio sui flussi
comunicativi della rete, intanto innalza muri e lascia annegare in mare i
dannati della terra – che fuggono dalla miseria e dalle guerre neocoloniali – ,
continuando a finanziare i lager di tortura e creandone altri ancora ai margini
dei confini dell’occidente scristianizzato, senza più bisogno
d’indossare la maschera dell’ipocrisia dei cd. “governi progressisti”.
Ma anche all’interno
stesso della fortezza-Europa i diritti umani sono diventati un optional. Nel
suo avamposto italico-mediterraneo già da tempo hanno subito il totale
affievolimento e con il varo dell’ultimo “decreto sicurezza” si mette in
dubbio l’esistenza stessa dello Stato di diritto nel nostro paese, tanto che
gli esperti dell’ONU hanno chiesto al governo italiano di ritirare il
Decreto-Legge 11 aprile 2025, n. 48 prima ancora della conversione
parlamentare: in nome della sicurezza nazionale – in particolare –
l’emergenza emigrazione viene gestita tramite la rete dei CPR, veri e propri
strumenti di annichilimento (oggi legittimati e rafforzati dall’impunità
garantita dal DL citato), adoperati da un sistema di detenzione brutalizzante,
come nel caso del CPR di Milo, portato alla luce da Ilaria Salis e Leoluca
Orlando che abbiamo incontrato qualche settimana fa, in conferenza stampa presso la sede dell’Arci
palermitana. Una visita ispettiva effettuata
dai due parlamentari europei, a conclusione della quale – date le condizioni
disumane riscontrate – essi si sono impegnati affinché l’assise di Strasburgo
possa intervenire per richiederne la chiusura immediata.
Tutto
ciò di cui abbiamo trattato sopra era dentro i contenuti emersi dal lungo
serpentone che ha attraversato l’asse viario fuori le mura del centro storico
cittadino. Per la verità nell’intervento del rappresentate della comunità
palestinese – tra l’altro il più seguito e il più applaudito dalla piazza,
tanto da fermare i canti di lotta partigiana che venivano intonati nel mezzo
della marea di partecipanti – i temi trattati in questo nostro articolo sono
stati ben esplicitati ed esposti con estrema chiarezza e profondità di analisi,
molto più di quanto abbiamo tentato noi di scriverne.
pubblicato anche su Pressenza “Il 25Aprile a Palermo”