-Andrea Rinaldi - Intervista a Rita di Leo
Hai affrontato spesso il suo passato come una questione determinante per capire le scelte politiche del Putin attuale. Anche nel tuo ultimo libro (L’età dei torbidi. Il ritorno delle trincee tra Stati Uniti, Europa e Russia, DeriveApprodi 2023) fai riferimento al suo legame con personaggi come Yuri Andropov, prima capo del Kgb e poi segretario generale del Pcus. Putin è ancora oggi un uomo dell’apparato sovietico?
Putin ha scelto di far parte del KGB perché il Comitato per la Sicurezza
dello Stato non era in crisi di credibilità come il partito. Inoltre, questo
gli permetteva di uscire dal paese e vedere il resto del mondo – mi permetto
inoltre di ricordare che Bush senior è stato capo della CIA e presidente degli
Stati Uniti, proprio come Yuri Andropov, oltre che magister della
prima guerra del Golfo, quindi la commistione tra politica e intelligence non è
un'esclusiva russa.
Putin, uomo del KGB a Dresda per sette anni con una certa padronanza del
tedesco e con una moglie già insegnante di inglese e francese, ha avuto la
possibilità di mettere a confronto l’universo sovietico e il corrispettivo
non-sovietico.
Il Putin di oggi si è convinto di avere un’alternativa ad ambedue gli
universi, che critica con pari asprezza.
Il periodo a cavallo tra anni Ottanta e Novanta vede la decadenza del partito che era stato prima di Lenin e poi di Stalin, la dissoluzione dell’esperimento sovietico, e la fine quindi dell’URSS. Come è riuscito Putin ad evitare l’emarginazione toccata a tanti altri uomini del passato sovietico?
Dopo il 1989 Putin è entrato in politica quasi immediatamente, entrando nel
cerchio creato dal giurista Anatoly Sobciak, il quale divenne sindaco di
Pietroburgo ed ebbe poi una controversa carriera politica, tipica dell’epoca.
Putin gli rimase fedele, imparò molto dal suo mentore, e lo aiutò a districarsi
nel primissimo ambiente politico post-sovietico. Il suo distacco
dall’esperimento sovietico si consolida nelle traversie del decennio che vive
non da protagonista. Nel caos del periodo assistette alla privatizzazione
dell’economia e della politica e, in contemporanea, al lievitare di un rapporto
non più alla pari con gli Usa. All’epoca economisti, uomini d’affari, semplici
studiosi americani ed europei erano presenti sul suolo russo con l’intenzione
di «vendere l’ "American way of life"» mentre intessevano relazioni
«opache» con il governo di Eltsin.
In occasione delle elezioni del 1996 quando la riconferma del presidente
Eltsin risultò a rischio rispetto al candidato avversario, intervenne il FMI
con un finanziamento risolutore. Eltsin è stato capace di far sparare sul
parlamento dove s’erano raccolti i deputati «democratici», e di scegliere come
suo successore Putin, un politico minore, non di Mosca, aspettandosi che egli
non avrebbe causato problemi a sé e ai suoi clientes.
Putin prima è diventato primo ministro e poi nel 2000 Presidente della
Federazione Russa, e ha dato subito prova di essere un leader autonomo dai
clientes e dalla nomenklatura economica, nonostante sia arrivato in quella
posizione grazie a Eltsin, impostando una propria politica interna.
In politica interna si è imposto con la forza sulla gran forza che l’élite
economica aveva acquistato con la privatizzazione degli enormi asset
industriali statali. Ha fatto nascere una struttura finanziaria di controllo.
Con l’uso della forza si è imposto sull’élite economica, creando divisioni tra
coloro che accettavano limiti e regole e coloro che rifiutandole dovevano
scegliere se essere incriminati e andare in galera oppure espatriare. Ha dato
certezza al pagamento delle pensioni, delle retribuzioni, rimaste per dieci
anni in balia di un’economia nelle mani di coloro che la gestivano senza
regole. Con l’uso rilegittimato della religione ha rotto con la laicità
sovietica, ricavandone vantaggi poiché i preti ortodossi possono essere utili
per un controllo capillare del consenso popolare.
Come definiresti questo nuovo tipo di leadership mostrata da Vladimir Putin all’inizio del nuovo millennio? Si può dire che abbia reimpostato con la forza un nuovo spazio politico sopra l’economia?
Per Putin essere
russo significa essere forte e con una antropologia culturale che si deve
confrontare alla pari con quella di altri popoli forti. Dal 1999 al 2007 ha
cercato di far dimenticare l’acquiescenza di Eltsin e di fare accettare la
Russia come stato-nazione da rispettare nella sua peculiare identità da chi si
considerava vincitore della guerra fredda, da chi stava esercitando una
illimitata egemonia nelle organizzazioni internazionali. I suoi tentativi di
rilegittimare un ruolo per la Russia si sono scontrati con politiche che lo
negavano, in primo luogo favorendo l’allargamento della Nato e l’ingresso
nell’Unione Europea dei paesi dell’ex Patto di Varsavia, un vero e proprio
smacco per Putin. Il quale ha retto perché aveva una sua base politica, costituita
dal cerchio di Sobciak, dai suoi sostenitori nell’ex KGB e dal consenso del
paese, grato sia per la quiete dopo anni di caos interno e sia per le
iniziative di politica estera. Quando a Monaco nel 2007 Putin pronunciò il
famoso discorso contro il monopolitismo del potere nelle relazioni
internazionali, rese orgoglioso il russo, e si inimicò il resto del mondo (o
quasi).
Dal 2007 i contrasti da guerra fredda hanno avuto un crescendo con
modalità, da ambedue i ritrovati avversari, ripetitive rispetto ad un passato
che si era immaginato superato.
Le sue capacità di politico professionale contemporaneo e il suo orientamento ottocentesco di ricostruzione di un grande Stato-nazione, ne fanno una personalità piuttosto contraddittoria. Cosa ne pensi?
La contraddizione è emersa – nella sua tragicità – con la decisione di
reagire con la guerra a Kiev – all’attacco concentrico degli Stati Uniti,
dell’Unione Europea e dell’Inghilterra nei confronti della Russia, ritenuta
tornata «URSS». Nei venti anni del XXI secolo, il Cremlino si è sentito
accerchiato ai suoi confini da «covert actions» di antichi nemici e di riemersi
avversari, ed ha reagito.
Una reazione che al politico professionale conveniva evitare con iniziative
da politico esperto dell’universo avversario, e invece ha fatto con Kiev come
americani e inglesi fecero con Dresda, quando la rasero al suolo per castigare
la Germania a guerra ormai vinta. La sola differenza è che Putin sta
bombardando le industrie e le infrastrutture, create dai tre ucraini, segretari
generali del PCUS, dagli anni sessanta agli anni ottanta, così fieri di
aver reso la loro terra d’origine, una delle Repubbliche più ricche dell’Urss.
Nel sentire collettivo del paese Russia «con l’operazione speciale» si sta
reagendo ad un duplice tradimento da parte dell’Ucraina, sia per aver scelto il
campo avversario, e sia per voler ignorare che – dalla più grande fabbrica,
diga, ponte sino alle più piccole scuole rurali – è stato il Cremlino ha
deciderne la costruzione. Distruggere dopo aver costruito appare una reazione
quasi provocata dal «tradimento». Se l’opinione pubblica russa ne è convinta,
per Putin come politico professionale del secolo XXI, il suo isolamento nelle
relazioni internazionali è un nodo da sciogliere.
***
Rita di Leo è professore emerito di Relazioni Internazionali, Università Sapienza
di Roma. Protagonista della stagione dell’operaismo italiano, ha contribuito
alla nascita dei «Quaderni rossi» e di «classe operaia». Ha investito il suo
lavoro intellettuale da un lato sull’operaismo sovietico e sulle cause del suo
fallimento, dall’altro sull’apparente vittoria degli Stati Uniti e del
capitalismo occidentale. Tra i suoi numerosi libri segnaliamo Lo
strappo atlantico. America contro Europa (2004), L’esperimento
profano. Dal capitalismo al socialismo e viceversa (2012), Cento
anni dopo. Da Lenin a Zuckerberg (2017), L’età della moneta. I
suoi uomini, il suo spazio, il suo tempo (2018). Per DeriveApprodi ha
pubblicato: L'età dei torbidi. Il ritorno delle trincee tra Stati
Uniti, Europa e Russia (2023).
Andrea Rinaldi si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Bologna con
una tesi sul pensiero di Mario Tronti nei «Quaderni rossi» e in «classe
operaia». Per DeriveApprodi ha pubblicato Che fare con Lenin? Lezioni
sull'attualità della rivoluzione (DeriveApprodi, 2024).
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