sabato 19 aprile 2025

L'INGANNO DEL RIARMO E IL RICATTO DEL TERRORE

NO ALLA GUERRA PER LA PACE E IL DISARMO GLOBALE -Antonio Minaldi- 

Presentiamo la raccolta di tre articoli già pubblicati dall' Agenzia stanpa Internazionale"Pressenza", scritti dall'autore allo scopo di sviluppare una critica in netta contrapposizione a tutte quelle narrazioni che inneggiano alla necessità di un riarmo europeo: "una vera follia che in nome della deterrenza e del diritto alla difesa, spinge invece inevitabilmente verso la guerra"



L'INGANNO DEL RIARMO EUROPEO


parte prima: l’impossibile deterrenza

Da quando i ministeri della guerra dei singoli Paesi sono diventati, con buona dose di ipocrisia, “ministeri della difesa”, il riarmo e la crescita delle spese militari vengono mistificati come necessità per opporsi al “cattivo” che ovviamente è sempre “l’altro”. Questa è anche la logica della UE che vuole riarmarsi per opporsi al presunto pericolo che viene dalla Russia.

Va detto che purtroppo questa ipotesi, dichiarata come “deterrenza”, gode di una certa credibilità nell’opinione pubblica, forse perché richiama il vecchio “equilibrio del terrore” che si determinò all’epoca della guerra fredda.

Noi, al contrario, restiamo fedeli alla pace incondizionata e all’idea del disarmo unilaterale, come unica condizione di umanità e progresso civile. E se un nemico più forte attacca si reagisce con la forza della resistenza popolare che può essere strategicamente vincente contro qualunque nemico, come dimostrano il Vietnam e l’Afghanistan che hanno rispedito a casa gli Usa, vale a dire l’esercito di gran lunga più attrezzato e più forte del mondo.

Mi rendo conto, tuttavia, che la mia è una posizione etica e di principio che sicuramente non avrà convinto i “pragmatici” sostenitori della “deterrenza”. A questo punto, allora, con una “finzione retorica”, assumiamo (senza credervi) il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi per mostrare che anche in questo caso, si giunge a conclusioni assurde sul piano logico e irreali sul piano pratico. La deterrenza europea è in sostanza, e innanzitutto, un inganno propagandistico.

Partiamo intanto da un paio di premesse.
Innanzitutto non si capisce che senso ha parlare di riarmo del nostro continente se si considera il fatto che l’UE, più i paesi europei della NATO, Regno Unito in testa, spendono già oggi in armamenti quattro volte più della Russia e decisamente più di Russia e Cina messe insieme.

Seconda considerazione: quale interesse potrebbe avere la Russia ad attaccare l’Europa? Stiamo parlando del paese col territorio più vasto del mondo e con enormi ricchezze naturali, ma con una esigua popolazione di appena 143,8 milioni di abitanti (al 2023). Attaccare l’Europa per vincerla e controllarla sarebbe semplicemente un suicidio. Inoltre non credo proprio che gli Usa, malgrado le follie di Trump, se ne starebbero tranquilli a guardare, e neppure i paesi del BRICS+, attuali alleati della Russia, credo accetterebbero in silenzio una tale evenienza.

Ma sorvoliamo anche su tutto questo.
La deterrenza europea resta una impossibile utopia per almeno due ragioni. La prima è che l’Europa è un insieme differenziato di Stati, seppure alleati, e non avrà mai un esercito unico e un comando unificato se non in condizioni estreme che tuttavia non possono essere predeterminate in tempo di pace, seppure di “pace armata”. Questa è una debolezza che non può essere superata.

La seconda questione riguarda la inadeguatezza tecnologica degli armamenti che l’Europa può, e con ogni probabilità potrà in futuro, mettere in campo. Partiamo dalla deterrenza nucleare. In Europa possiedono armi nucleari il Regno Unito (225 testate) e la Francia (280 testate), a fronte delle 4380 della Russia. Qualcuno dice però che non conta il numero, ma il solo fatto di averle, e allora non si capisce perché l’Europa dovrebbe riarmarsi anche con armi convenzionali. Qualcun altro dice che non è così, e allora bisognerà prendere atto che le capacità d’impiego (tramite missili da terra, bombardieri dal cielo e sottomarini dal mare) sono nettamente inferiori a quelle dei russi. Per quanto riguarda, poi, gli armamenti convenzionali resta una evidente arretratezza tecnologica dell’Europa soprattutto per quanto concerne le telecomunicazioni e la guerra aerea.

L’unica soluzione, a meno di non volere scommettere sui tempi lunghi, sarebbe quella di rivolgersi agli Usa, che tuttavia non credo siano disponibili a condividere il meglio a loro disposizione, a meno di non mantenerne il controllo a distanza potendone attivare o disattivare i dispositivi d’impiego in qualsiasi momento.
Se dunque il riarmo europeo è sul piano militare qualcosa di assolutamente senza senso, cosa altro si nasconde (se si nasconde) dietro una tale ipotesi?



parte seconda: riarmo ed economia

Il progetto del riarmo europeo prevede una spesa di 800 miliardi per i prossimi quattro anni, di cui 150 a carico della Comunità Europea, e i restanti 650 da addebitare ai singoli Stati dell’Unione, senza tuttavia contabilizzarli entro le regole del “patto di stabilità”. In pratica una truffa a tutti gli effetti! Infatti: la possibilità che viene concessa ai singoli paesi di poter spendere in armamenti senza avere sul collo il fiato della Banca Centrale Europea e dei burocrati di Bruxelles, non significa che quelle cifre non andranno ad incrementare ulteriormente il debito pubblico, con effetti letali per i paesi maggiormente indebitati come l’Italia.

Il risultato sarà un ulteriore taglio alla spesa sociale che corrisponderà in pratica alla quasi completa dismissione del servizio sanitario nazionale e del servizio scolastico, già oggi fortemente in crisi. A ciò si aggiungano, inoltre, le gravi penalizzazioni che riguarderanno il sistema previdenziale e assistenziale.

Chi avrà tutto da guadagnare da questa situazione sarà innanzitutto la Germania, che non avrà solo la possibilità di spendere di più rispetto ai paesi più indebitati, ma che potrà ribadire il suo ruolo di preminenza politica in ambito continentale, riaffermando con forza quale collante dell’Unione il “ricatto del debito”, da fare valere come in passato nei confronti dei consociati. Da questa situazione, però, i nostri vicini tedeschi potrebbero ricavare non solo vantaggi politici, ma anche nuove opportunità per rilanciarsi sul piano economico.
La Germania si trova al momento in una condizione di grave recessione economica. La perdita del gas russo da acquistare a prezzi molto vantaggiosi è venuta a coincidere e a sommarsi con la crisi dell’auto, da sempre considerato il punto di forza dell’economia teutonica. Si tratta di una difficoltà globale del settore a cui si aggiunge il fatto che le aziende tedesche hanno praticamente perso la battaglia strategica intorno all’auto elettrica nei confronti dei competitori statunitensi e cinesi.

Non è dunque un caso che il nuovo governo tedesco, appena insediato, in perfetto accordo con i burocrati di Bruxelles, abbia pensato alla nuova economia di guerra come ad un grande piano di riconversione produttiva, che prevede la trasformazione dell’industria dell’auto in industria bellica.
Per la Germania, ciò che a me pare veramente in ballo, più che una questione puramente militare, è l’esigenza di rilanciare quel ruolo di preminenza economica che da sempre è stato costitutivo della stessa Unione Europea, e che vedeva l’economia tedesca dominare i mercati continentali, ridotti ad una sorta di suo mercato interno grazie all’uso della moneta unica. Come sempre la guerra è un ottimo mezzo per fare profitti.

Un’ultima questione: poiché la geopolitica è un mondo in continuo divenire e nessuno può dire con certezza cosa ci riserverà il futuro, è pure possibile (per me anche pressocché certo, ma su questo non voglio insistere) che “il pericolo russo” venga archiviato tra qualche anno come una preoccupazione del passato. Siamo sicuri che a quel punto la Polonia e la stessa Francia saranno così contente di avere ai loro confini una Germania armata fino ai denti? (Lo dico come motivo di riflessione pure per quanti, anche agitando in modo strumentale il Manifesto di Ventotene, immaginano un’Europa unita e armata. Anche noi siamo per una  “fratellanza” tra  i popoli, ma senza armi e senza frontiere. Una circostanza che, tuttavia, non immaginiamo  probabile in tempi brevi).




LA GUERRA E IL RICATTO DEL TERRORE
 

Leggo, tra le tante notizie che girano nei social, di un operaio quarantenne, malato di cancro, che avendo fatto richiesta per una risonanza magnetica, si è visto rispondere con un appuntamento fissato per aprile 2027. Una tipica notizia scandalosa che ormai non scandalizza più nessuno. Tutti noi, ormai da tempo, assuefatti al peggio.

Poco dopo chiamo uno studio medico per prenotare una visita specialistica. La segretaria, con fare professionale, mi informa che il costo è di 160 euro. Rispondo “va bene”. Anche ai costi della sanità privata abbiamo fatto l’abitudine. Ed anzi, ogni volta non posso fare a meno di pensare che appartengo all’ultima generazione di pensionati privilegiati (sono un ex insegnante) che possono permettersi un reddito decente.

I nostri figli quarantenni hanno spesso pochissimi contributi e un futuro molto incerto di fronte a sé. Ma si sa che nel mondo di oggi le garanzie non contano più nulla, e l’unica cosa che vale è la capacità di sgomitare per farsi largo ed essere competitivi. Dalla guerra tra i poveri a quella tra gli Stati non cambiano i presupposti ma solo il tipo di armi.

A proposito (e a sproposito) di armi e di guerra, i nostri nazi-eroi di Bruxelles, guidati dalla nazi-eroina Ursula, dopo averci sbalordito con una performance in bilico tra il tragico e il ridicolo, in cui cercavano di spiegarci l’importanza del kit di sopravvivenza, si sono ricomposti nella affannosa ricerca dei soldi per fare la guerra.

L’ultima pensata è quella di mettere le mani nei risparmi dei cittadini europei, che attualmente sonnecchiano in attesa di trovare collocazione. Pare che nei forzieri delle banche del vecchio continente ci siano disponibili ben 10.000 miliardi (in Italia la liquidità complessiva di famiglie e imprese, tra conti correnti e altro, supera i 2000 miliardi). “Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali, tutto deve chiamare alle armi il risparmio diffuso e incanalarlo verso la nuova bolla con cui alimentare la riconversione bellica” (A. Volpi).

Ma la nuova arma della finanza pigliatutto si chiama exchange traded funds (Etf). Si tratta di fondi di investimento legati ad un indice che è determinato non da un solo titolo ma da un paniere di titoli diversi. Proprio in questi giorni Wisdomtree ha quotato a Francoforte e Milano il primo Etf sulla difesa europea. L’indice del titolo è costituito per il 18,6% dalla tedesca Rheinmetall e per il 15,4% dall’italiana Leonardo e a seguire dalle altre industrie militari europee in ordine di grandezza. In questo modo vengono attratti i soldi dei risparmiatori puntando sui titoli dell’industria bellica, il cui rialzo nell’attuale clima politico è giudicato inevitabile, anche col risultato, non secondario, di rendere il comune cittadino complice delle follie guerrafondaie dei potenti.

Non entriamo nel merito della pretestuosità del “pericolo russo” e facciamo invece un piccolo esperimento mentale. Immaginiamo che quell’operaio quarantenne malato di cancro di cui parlavamo e i cui accertamenti sono stati calendarizzati tra due anni, abbia la possibilità di leggere quanto abbiamo scritto. Credo sia facile immaginare cosa gli verrebbe da pensare: “Ma come? Esistono questi strumenti per finanziare la spesa pubblica e negli anni passati, quando ancora non si parlava di guerra, a nessuno è venuto in mente di usarli per costruire scuole, ospedali e alloggi popolari? Per migliorare i servizi e per combattere la povertà?”.

Sì! È proprio così! La classe politica venduta ai potenti della terra deve ammansire e piegare il popolo attraverso “il ricatto del terrore”. Ieri la parola magica del controllo e del dominio era “DEBITO” (col suo corollario: “il patto di stabilità”) oggi è diventata “GUERRA” (col “riarmo” come sua conseguenza).
Non importa la coerenza, quel che conta è che i fini giustifichino i mezzi. Ma i fini non sono mai dalla parte degli “ultimi”.




LA GUERRA E IL SOGNO TRAGICO DELLA "GRANDE EUROPA" 


“Chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra”. 

Questa citazione di Calamandrei, che gira nei social, sembra cadere a pennello rispetto alla follia del riarmo europeo, che pretende di farci credere che più ci si arma più si allontana la guerra. Lo storico Barbero ha spiegato di recente che da questa falsa idea è nata “la grande guerra” e con essa, trent’anni di follia fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale. In sostanza: più ci si arma più si spinge l’altro, colui che viene classificato come “il nemico”, a fare lo stesso, in una spirale che sembra senza fine, ma che da ultimo non può non trovare conclusione se non nel fatto che la guerra, al minimo pretesto, scoppia sul serio.

La deterrenza è una falsa idea, che oltretutto favorisce sempre il più forte. Il possesso inflazionato di armi letali è quello che crea le gerarchie di dominio delle grandi potenze, e che può essere preso in considerazione, a volere esagerare, dai soli paesi del G20, costringendo i restanti 170 paesi del mondo a subire le angherie dei più potenti (anche se la storia recente ci insegna che la resistenza popolare può anche fermare l’invasore superpotente senza bisogno di riarmi preventivi. Il Vietnam è un esempio su tutti, e in tempi più recenti si si può pensare all’Afghanistan, ovviamente a prescindere da tutto il male che giustamente si può pensare dei Talebani).

Va inoltre considerato che l’idea di un’Europa riarmata con lo scopo di realizzare una difesa comune, deve anche fare i conti con una pletora di Stati sovrani (27 solo l’UE, più paesi NATO come il Regno Unito), oggi uniti in funzione antirussa. Ma domani?

A tal proposito ricordiamo che il rapporto dell’Europa con la guerra è sempre stato caratterizzato da un doppio standard: da una parte la guerra interna per stabilire gli equilibri di potere nell’ambito del vecchio continente e dall’altra parte la guerra totale e distruttiva nei confronti del resto del mondo. È così dal tempo delle crociate quando i contrasti interni venivano momentaneamente sospesi (almeno in teoria) in nome di un interesse superiore.

Poi l’unità di fede si spezzò e con la nascita degli Stati nazionali e le guerre di religione l’idea del conflitto finalizzato all’annientamento dell’avversario divenne parte della storia delle vicende di casa nostra. La situazione mutò ancora con la pace di Westfalia del 1648, grazie alla quale i rapporti tra gli Stati europei vennero regolati dalla nascita del moderno diritto internazionale, già ipotizzato pochi anni prima da Ugo Grozio. Si assistette allora al ritorno del doppio standard, tanto da fare affermare a Carl Schmitt che in ambito europeo si poteva parlare di un carattere “rituale” della guerra, a differenza (aggiungiamo noi) della guerra genocidaria e di sostituzione etnica prodotta nei confronti del resto del mondo.

Tuttavia, è proprio questo senso di appartenenza conflittuale al nostro continente e di diversità da marcare rispetto al resto del mondo, che caratterizza gli Stati europei, che ha prodotto l’idea che possiamo definire della “Grande Europa”, determinando, in alcuni momenti storici, lo scontro armato senza quartiere per stabilire chi avesse i titoli e le caratteristiche per assumere la guida del grandioso progetto di ricomposizione, ovviamente  soggiogando gli altri popoli del continente. 

Se mi si passa l’ironia, direi che paradossalmente i più grandi europeisti della storia sono stati Napoleone e Hitler. Il primo convinto che alla base della Grande Europa dovesse stare la grandeur francese, figlia (illegittima) della Rivoluzione vittoriosa. Il secondo persuaso che la (inventata) specificità etnica dei popoli europei fosse rappresentata dalla purezza “ariana” del popolo tedesco. Entrambi, guarda caso, finirono per sbattere il muso, da una parte con l’appendice atlantica (e “atlantista”) del vecchio continente (il Regno Unito prima e gli Usa in epoca recente), e dall’altro lato, e direi soprattutto, con la Russia, che in qualche modo rappresenta idealmente (e di fatto solo ipoteticamente) lo spauracchio della possibilità alternativa della “Grande Eurasia”.

Senza la pretesa di approfondire in questa sede complessi riferimenti storici, mi pare tuttavia evidente che il fantasma della “Grande Europa” aleggi in quel di Bruxelles e nei discorsi sulla necessità del riarmo continentale. Il che, ancora una volta, ed inevitabilmente, ripropone problemi di leadership tra Stati e discorsi (più o meno velati) rispetto a quale debba essere il “popolo eletto” nell’ambito del “continente eletto”. 

Che sia la riproposizione dell’egemonia economica della Germania – che si impone sull’intero continente, come già sperimentato nella pregressa storia della UE, e che ora si riconverte sulla base della centralità dell’industria bellica – oppure che sia la speranza francese di costituire una guida politico-militare fondata sull’asse franco-tedesco, in ogni caso l’ipotesi di una Europa armata deve preoccuparci molto e per varie ragioni.  

Per un verso andare a punzecchiare la Russia potrebbe avere esiti se non nefasti, almeno imprevedibili sul piano politico e militare, oltre che sicuramente drammatici, come già sappiamo, sul piano economico. (Precisiamo che per noi Putin non è “buono”, e la Russia ha sicuramente mire imperiali, ma l’idea che possa avere interesse ad attaccare l’Europa è totalmente senza senso).  Per altro verso non c’è nessuna garanzia che l’illusione della Grande Europa, come sempre avvenuto in passato, non finisca per alimentare in futuro antagonismi e venti di guerra tra gli stessi Stati europei. 

Un’ultima considerazione. Alcune forze politiche che si definiscono progressiste e di sinistra (a casa nostra per esempio il PD) pensano di opporsi al riarmo ipotizzando una difesa comune europea, che è pur sempre una esaltazione del ruolo delle armi e della guerra, e vagheggiando una ipotetica “Europa dei popoli”, che nessuno ha mai capito cosa voglia dire in concreto, e che in fondo, e a nostro avviso, non è che un modo più soft, e più ipocrita, di riproporre la Grande Europa, inevitabilmente suprematista e armata.

Se c’è un’Europa che possiamo auspicare è l’Europa delle piazze, che si oppone alla guerra e a tutti i deliri di onnipotenza del suo passato, perché non si ripetano nel futuro