martedì 19 aprile 2016

Nuit Debout contro Panama Partout

di David Graeber-

i sollevamenti popolari non assumono più né 
la forma della rivoluzione armata né del tentativo 
di trasformare il sistema dall’interno; 
la prima mossa  è sempre quella di creare un 
territorio completamente al di fuori del sistema e, 
se possibile, al di fuori dell’ordine legale dello 
stato: uno spazio prefigurativo in cui nuove 
forme di democrazia diretta possano essere immaginate

Paul Mason: «Cambiamo il capitalismo, o torneremo al Medioevo»

di Francesco Cancellato-

«L’agonia del capitalismo è irreversibile. Il prezzo della sua sopravvivenza è un futuro di caos, oligarchia e nuovi conflitti…oggi, questo capitalismo malato e segnato dal predominio della finanza scarica i costi della recessione sui più deboli; si dimostra incapace di far fronte alle minacce del riscaldamento globale, dell’invecchiamento della popolazione e dell’incontrollato boom demografico nel Sud del mondo; e mette a rischio la democrazia e la pace». Ma superare il capitalismo è possibile? Nel suo ultimo saggio Mason tenta di mostra come «dalle ceneri del fallimento economico dell’Occidente sia nata la possibilità di costruire una società più umana, equa e sostenibile. Ma il capitalismo non può essere abbattuto dall’alto, a tappe forzate. Spetta a noi farci agente collettivo del cambiamento storico; abbiamo gli strumenti per riappropriarci del futuro: il postcapitalismo non è un’utopia»

venerdì 15 aprile 2016

L’incanto spezzato della dialettica

di Giso Amendola -
TEMPI PRESENTI. «Hegel e Spinoza»è il saggio di Pierre Macherey scritto intorno all’operazione compiuta da Hegel tesa a neutralizzare l’anomalia rappresentata dal filosofo olandese. Un esempio di limpida battaglia politica condotta attraverso un rigoroso lessico filosofico. L’obiettivo fondamentale è farla finita con il finalismo già iscritto da sempre nella dialettica idealistica: solo liberando la storia dalla teleologia si libererà il pensiero dall’incantesimo idealistico e lo restituirà alla lotta di classe

Crea uno strano effetto avere oggi a disposizione in traduzione, grazie alla preziosa cura editoriale di Emilia Marra, un libro importante come l’Hegel ou Spinoza di Pierre Macherey, uscito nel 1979, quasi come ultimo frutto di lotte teoriche le cui coordinate sono oggi decisamente inattuali (Hegel o Spinoza, ombre corte, euro 19). Ma un testo teoricamente densissimo continua evidentemente a porre questioni, anche se probabilmente in direzioni molto diverse da quelle all’interno delle quali era nato.
Nella premessa all’edizione italiana, Macherey indica subito al lettore questo sfasamento temporale, almeno dal punto di vista del clima generale dell’epoca: scritto quando la trasformazione radicale dell’esistente sembrava ancora un ovvio terreno di impegno per la teoria, il libro incontra oggi lettori per cui la rivoluzione non sembra essere all’ordine del giorno, o, almeno, non allo stesso modo. E certo questo cambia il tipo di lettura che il testo riceve. Probabilmente, però, non si tratta solo della temperatura più o meno calda dell’epoca, parametro poi sempre piuttosto discutibile. Quello che davvero fa la differenza, è il fatto che il libro è concepito quasi come una mossa strategica compiuta all’interno di una serie di battaglie filosofiche molto precise.
LA FORZA DELL’ASTRAZIONE                                                                           Ricostruiamo allora il campo in cui Hegel o Spinoza si collocava: Macherey veniva dal lavoro in comune con Louis Althusser che aveva portato al Lire le Capital, e alcune questioni lì aperte si andavano riproponendo e radicalizzando. Soprattutto, rimane in primo piano l’obiettivo principale di portare la «lotta di classe nella teoria», stabilendo un nuovo rapporto tra pratica teorica e pratica politica. Su questo versante, il testo di Macherey è un esempio magistrale di lotta «dentro» la filosofia: una modalità di affrontare i grandi classici calandoli in un preciso campo di battaglia teorico.
Leggere i testi per quello che dicono e per quello che non dicono, nei loro buchi, nei loro silenzi e nei loro errori, secondo un altro evidente apporto althusseriano, quello della lettura «sintomatica»: in questo, l’incrocio delle interpretazioni, l’inseguimento delle forzature e dei veri e propri imbrogli che Hegel gioca con il testo spinoziano, offrono un’immagine affascinante di lotta nella teoria. Certo, il prezzo da pagare è un apparente retrocedere della storia sullo sfondo: ma proprio la forza dell’astrazione mette in luce l’importanza cruciale di queste battaglie concettuali.
E la posta in gioco in realtà è altissima, e politicamente assai concreta: anch’essa legata evidentemente a un preciso snodo del progetto althusseriano. Si tratta di far saltare tutto quel che aveva sempre ricondotto ad una sintesi pacificata il conflitto dialettico, tutto quanto aveva trasportato la dialettica nei cieli dell’«Assoluto» idealistico, eliminando proprio quel «negativo» motore del processo e relegandolo ad una semplice «stazione» della riconquista del perfetto coincidere dell’origine con se stessa. L’obiettivo fondamentale è farla finita con il finalismo già iscritto da sempre nella dialettica idealistica: solo liberando la storia dalla teleologia si libererà il pensiero dall’incantesimo idealistico e lo restituirà alla lotta di classe.
In gioco, ovviamente, c’era la separazione di Marx da Hegel, dalla filosofia della storia, dalla dialettica idealistica, e la rivendicazione del Marx del «Capitale», il passaggio a una dialettica materialista, la rottura con lo storicismo. La perfetta macchina filologica, ma nel segno di una filologia che funziona come arma di lotta, messa a punto da Macherey con questo testo, si inserisce in uno snodo successivo di questa battaglia: quando la rivendicazione althusseriana del Marx maturo contro il Marx «idealista» incontrerà finalmente lo spinozismo. Per la riflessione ultima di Althusser, è la scoperta della corrente sotterranea del materialismo aleatorio e dell’atomismo: nel testo di Macherey, questa conquista si traduce nell’immagine di uno Spinoza che offre una resistenza anticipata al rapimento idealistico della dialettica operato da Hegel.
DISCESA VERSO L’EVANESCENZA                                                                            Hegel non può evitare la forza di questa resistenza, l’unica a portare la sfida direttamente all’origine, al problema del cominciamento filosofico, o, in termini hegeliani, del fondamento. E proprio perché non può ignorare la resistenza di Spinoza, deve falsificarla, occultarne i passaggi critici, inventarne di sana pianta altri.
Nasce così la fin troppo celebre immagine dello Spinoza «orientale»: la sostanza spinoziana è rappresentata come un assoluto senza capacità di articolazione, «una rigida immobilità», come Hegel scrive nelle Lezioni sulla storia della filosofia, «la cui unica operazione è di spogliare ogni cosa dalla sua determinazione, della sua particolarità, e ricacciarla nell’unica sostanza assoluta, dove non fa che dileguarsi». Ma, per sostenere questa famigerata tesi sull’«acosmismo» spinoziano, Hegel deve forzare all’inverosimile il sistema, e Macherey, fedele al metodo della lettura sintomatica, illustra gli «errori» palesi che deve commettere.
Così, Hegel costretto a rappresentare il processo di espressione della sostanza negli attributi e nei modi come un processo di progressiva degradazione, fin quasi a farne una sorta di «discesa» neoplatonica verso l’evanescenza, verso il caos di una finitudine abbandonata a una negatività senza possibilità di ritorno e di riscatto. O più precisamente: proprio perché gli attributi restano «esterni» alla sostanza, si riducono a una sorta di semplici punti di vista formali sulla sostanza stessa. A una sostanza chiusa nel suo assoluto isolamento, corrisponderebbe allora un’opposizione formale e astratta di realtà e pensiero. Il monismo di Spinoza, secondo Hegel, si rovescerebbe così nell’accettazione del dualismo di Cartesio. È quella che, con grande efficacia, Macherey definisce come «interpretazione negativista» di Spinoza.
Tutto è però troppo lineare in questo Spinoza hegeliano: a partire dalla «processione» dalla sostanza agli attributi che si presenta come un rapporto discendente e privativo dall’assoluto ad una realtà umbratile che si «determina» solo per separazione e negazione. Ma per costruire quest’immagine tutta ricalcata sulla caduta, Hegel deve cancellare ogni dismisura del pensiero spinoziano: deve cioè letteralmente far fuori ogni riferimento al conatus.
Proprio attraverso il conatus, la sostanza come potenza è e resta tutta presente in ciascuno dei modi, la determinazione qui è tutta nell’affermazione della potenza, ben lungi dall’immagine evanescente del «negativismo» dell’interpretazione hegeliana. Ma per il conatus non può esservi posto nella lettura di Hegel, proprio perché non può esservi posto per l’affermazione.

LA NEGAZIONE ASSOLUTA
La determinazione affermativa, la potenza del conatus, costituiscono appunto il vero nucleo forte della resistenza anticipata alla riconciliazione dialettica verso cui muove Hegel: è invece la negazione assoluta, la «negazione della negazione» che dovrebbe, per Hegel, salvare la realtà dallo scivolare verso il nulla. Sono negando dialetticamente se stessa, la realtà assume autentica consistenza. O, in altri termini: la sostanza acquista movimento e si salva dal decadere a fantasma solo se, autonegandosi, ritorna a sé come Soggetto. È la trappola hegeliana: occultare l’affermazione, la positività, l’immanenza tra ordine del finito e ordine dell’infinito, insomma tutta la vera lezione spinoziana, per affermare la dialettica idealistica del «Soggetto» quale negazione della negazione.
La sostanza è soggetto, esiste solo in quanto coscienza di sé, solo in quanto tutta finalisticamente già orientata al movimento verso la coscienza: ed è proprio tutto questo che Spinoza rifiuta in anticipo. Non c’è negazione della negazione, e non c’è soggetto, il quale, scrive significativamente Macherey, è solo un altro nome della negazione che ritorna su di sé. Non c’è, per Spinoza, nessuna necessità che la sostanza si muova verso il soggetto. La vita della sostanza si esprime fuori dall’orientamento teleologico alla coscienza o al soggetto: «applicando la nozione di conatus alle essenze singolari, Spinoza elimina la concezione di un soggetto intenzionale, che non è appropriato né per rappresentare l’infinità assoluta della sostanza, né per comprendere come essa si esprima nelle determinazioni finite». Questo non significa – può concludere Macherey – che non vi sia dialettica. Si apre, anzi, la possibilità di una dialettica materialista: nessun finalismo, nessuna contraddizione autorisolventesi, ma lotta aperta tra forze e tendenze, senza nessuna conclusione garantita.
LE DETERMINAZIONI FINITE
La dialettica idealistica è finalmente spezzata: una rottura che avviene, in questa impresa potentemente liberatoria messa in piedi da Macherey, nel segno di una felice conquista di una dinamica aperta, aleatoria, secondo il tracciato di Althusser.
Letto oggi il libro apre altri interrogativi, percorsi diversi. La distruzione della teleologia è sacrosanta: ma il conatus delle esistenze singolari ci parla non solo dell’incontro/scontro di forze e tendenze, ma in modo sempre più marcato dell’apertura del campo della produzione di soggettività. Oltre il Soggetto, senza nostalgia per la «coscienza di sé», ma anche oltre quel «processo senza soggetto» attorno al quale sembra ancora girare la pur straordinaria macchina montata da Macherey.
Macherey si tiene, infatti, piuttosto lontano dallo spingere la resistenza spinoziana su strade pienamente affermative e produttive: costruisce, per esempio, un gioco di specchi, un po’ troppo scopertamente simmetrico, tra l’interpretazione «negativista» hegeliana e quella «positivista» di Deleuze, per rigettarle simultaneamente. Ma il libro, appunto, arrivò come ultimo frutto di uno straordinario tentativo di liberarsi dalla cattiva dialettica, dall’orrore di un marxismo sequestrato dal «Dia-Mat». Oggi, per un verso, i morti hanno seppellito i morti, e possiamo finalmente occuparci d’altro. E, per altro verso, è lo stesso dispiegarsi della sussunzione reale, è lo stesso capitalismo contemporaneo che mobilita e attraversa la produzione di soggettività e sfrutta direttamente la cooperazione sociale. Rotto ogni incanto finalistico e dialettico, è quindi proprio nel cuore di un’ontologia produttiva che ci troviamo già completamente collocati. Lo Spinoza della dialettica materialista e dell’aleatorio ci liberò dagli incubi peggiori, e aprì lo spazio del conflitto e della lotta senza false promesse per l’indomani e catture dialettiche: lo Spinoza della gioia della produzione e della pienezza ontologica ci può accompagnare a riappropriarci di autonomia e di democrazia assoluta nell’oggi.

Jerry Uelsmann - Floating Tree (1969)


giovedì 14 aprile 2016

la Repubblica dal basso. Intervista a Frédéric Lordon

di José Bautista-

“Mi domando se Podemos non indichi quello che non dobbiamo fare: tornare al contesto elettorale”. Era passata già la mezzanotte di giovedì 31 marzo ma Frédéric Lordon continuava a discutere con un ampio gruppo cittadini che avevano deciso di accamparsi in Place de la République, a Parigi. Quel giorno, dopo la manifestazione di Parigi contro la riforma del lavoro di Hollande e il concerto-proiezione successivo, Lordon fece un discorso che passerà alla storia come l’inizio della “Notte in piedi” (Nuit Debout), il movimento appena nato degli indignati francesi. “Oggi cambiamo le regole del gioco. Giocavamo con le loro. A partire da adesso, lo facciamo con le nostre”, ha esclamato Lordon davanti a chi lo ascoltava. Tre giorni dopo, domenica 34 marzo, Lordon ha preso di nuovo la parola nella assemblea che si teneva per il terzo giorno consecutivo a République. “Scriviamo la costituzione di una repubblica sociale”, ha detto ai circa 2000 indignati che, quel pomeriggio, si erano concentrati nella piazza della liberté, egalité, fraternité della capitale francese

Petrolio, che cosa sta succedendo? (abstract)

di Guglielmo Ragozzino-

VERSO IL REFERENDUM- Il prezzo del petrolio è molto più basso di due anni fa. Perché, se lo si chiedono tutti. Eccesso di offerta, di domanda calante, di finanza impazzita. La verità è che ad un esame approfondito nessuna risposta tiene

lunedì 11 aprile 2016

41 di marzo: le giovani piazze francesi in cerca di una vita diversa

  di Massimo Meloni –


La Nuit Debout è un comportamento urbano. Le città, soprattutto quelle fuori Parigi e con un alto tasso di studenti, sono state caratterizzate negli ultimi anni da una continuità di lotte e di conflittualità da parte delle giovani generazioni su obbiettivi legati ai bisogni, come quello del reddito e della casa  e in generale contro le regole sociali prodotte dalla trasformazione capitalistica in atto e la speculazione sulla vita e la natura

Molte cose pertinenti e analisi corrette, che condivido, sono già state scritte e diffuse su quanto sta succedendo in Francia e sulla frattura che sta creandosi a livello sociale. Cercherò, con queste note, di evitare il più possibile di ripetere cose già dette da altri.
La situazione evolve rapidamente, in Francia, dalla la notte del 31 marzo e l’occupazione di piazza République ha colto molti di sorpresa. Purtroppo, anche la violenza poliziesca contro le mobilitazione è pericolosamente in crescita. Il modello di lotta e mobilitazione (occupazione continua di spazi pubblici centrali, «snodi urbani» in cui si incrociano le diverse tipologie di abitanti della città), i contenuti dei dibattiti, le stesse tecniche  di dibattito e di comunicazione, il modello organizzativo (commissioni e assemblea generale) si sono diffusi in fretta ad altre città.
La velocità di diffusione e generalizzazione mi sembra uno degli elementi di novità in un paese dove in passato, contrariamente ad altri, le occupazioni di piazze e spazi pubblici a livello di massa non si erano diffusi per niente. Il movimento degli indignati a Parigi, alcuni anni fa, era stato represso molto in fretta e ridotto al silenzio. Adesso, in prima  fila, oltre alla grande Parigi, le città medie di «provincia» tipo Nantes et Rennes, dove gli scontri sono frequenti e molto aspri.

L’origine
Il detonatore è stata la mobilitazione sulla legge El Khomri che cambia definitivamente il diritto del lavoro. Ciò regola la vita stessa nelle aziende, i rapporti di lavoro collettivi e individuali,  le relazioni azienda/sindacati, i motivi e le modalità delle ristrutturazioni aziendali fino ai licenziamenti e il salario di disoccupazione, il funzionamento dei tribunali del lavoro; insomma, tutto.
Per dare un’idea più concreta, in un paese dove perfino i Rave sono stati normati e semi-istituzionalizzati, il codice del lavoro esprime globalmente il rapporto di forza fra capitale e sottoposti in senso lato, siano essi salariati «fissi», a tempo determinato, precari, stagisti, studenti-lavoratori e altro. In sintesi, la nuova legge proposta è, per la Francia, un cataclisma molto più vasto del «job act» italiano perché da una parte istituzionalizza e allarga il precariato a quegli strati che pensavano restarne fuori, e dall’altra condanna definitivamente quelli che già ne fanno parte. La nuova legge ufficializza la rottura di quello che resta del patto sociale su cui poggiava, da anni, la società francese.
La conseguenza principale di questo attacco alla «linea maginot» è stato il vasto aggregarsi  inizialmente attorno al rifiuto della nuova legge. Ma adesso le tematiche del dibattito in piazza si sono allargate a moltissimi soggetti che vanno al di là del rifiuto della legge (salario universale a  vita, il diritto naturale all’abitazione, l’asilo e il supporto agli immigrati e rifugiati, …) e che fanno parte del patrimonio di lotta storico.

La convergenza (di chi, di che cosa e dove)?
La Nuit Debout è un comportamento soprattutto urbano. Le città, soprattutto quelle fuori Parigi e con un alto tasso di studenti, sono state caratterizzate negli ultimi anni da una continuità di lotte e di conflittualità da parte delle giovani generazioni su obbiettivi legati al reddito giovanile (esempio occupazioni di case dei giovani) e in generale contro le regole sociali prodotte dalla trasformazione capitalistica in atto (finanziarizzazione dell’economia, intrusività del capitale nella vita, mercificazione delle relazioni…) e la speculazione sulla vita e la natura (occupazione zona del progettato aeroporto di Nantes).
I giovani soggetti di queste lotte o che si identificano nei loro contenuti o simpatizzano, cercano di praticare forme di vita alternative, fra precariato e uso degli ammortizzatori sociali esistenti (principalmente il sussidio regionale per l’affitto, stages e i 460 € mensili di reddito d’inserimento). Studiano o escono dal liceo o dall’università, hanno ormai come solo orizzonte stabile la precarietà, sono molto solidali, fanno molto volontariato nelle associazioni, vivono una vita molto parca e molto povera in cambio della non accettazione, per quanto possibile, della logica e dei valori e della società capitalista attuale.
Soprattutto, diversamente dalle generazioni precedenti, non vedono nel mondo «del lavoro» e dell’impresa lo sbocco della loro vita ma, al contrario, le cause della loro «infelicità».
Nella società francese questo è un elemento di rottura molto importante, visto il ruolo che il sistema  scolastico e la sua selettività hanno sempre avuto nel creare un’aspettativa di sviluppo e di evoluzione tramite il lavoro (e la sua difesa) tra le generazione dei giovani. Oggi, questi giovani non ci credono più, è finita e, conseguentemente, le istituzioni e le istanze rappresentative perdono di legittimità  e l’astensionismo elettorale cresce (incluse le elezioni studentesche per la rappresentazione negli istituti).
Penso che questa presa di coscienza  di una parte consistente delle nuove generazioni e il cercare di praticare una vita alternativa «adesso e qui», siano uno degli elementi alla base dell’occupazione delle piazze e si manifestano nei dibattiti e nelle iniziative prese.
Per esempio, l’altra sera era la sera della «gratuità» e ognuno portava oggetti che voleva donare in cambio di niente o cercava di trovare e scambiare cose che gli servivano; un’altra sera si mangiava gratis e chi aveva già cenato non mangiava ma portava, se poteva, cibo per gli altri, eccetera.
A Parigi vedo molti giovani studenti mai prima «impegnati» che si mobilitano per la prima volta anche in modo molto militante e autorganizzato.
Attorno ai giovani della città che portano avanti contenuti e dibattiti, si ritrovano nella mobilitazione i giovani studenti medi (15 a 17 anni) dei quartieri poveri del Nord Est e della banlieue  che costituiscono la base «militante» delle mobilitazioni studentesche. Sono gli studenti dei quartieri e dei licei «spazzatura» destinati da sempre ai ruoli più bassi, precari e meno pagati (quando va bene) o all’emarginazione.
In Francia, in occasione della ricerca del primo lavoro, il primi due criteri automatici di selezione sono il quartiere in cui hai vissuto e gli istituti scolastici che hai frequentato. Per cui il ghetto con tutte le sue conseguenze ed esclusioni si forma a partire dalla scuola elementare ed è poi difficilissimo uscirne. Secondo me, il rifiuto del ghetto e del controllo poliziesco conseguente sono due elementi principali della fortissima e inattesa mobilitazione degli studenti medi. Le provocazioni poliziesche fuori dalle scuole da parte dei corpi speciali (tipo i falchi) sembrano intensificarsi ma le mobilitazioni hanno ottenuto il rilascio di numerosi fermati.
Attorno a giovani e studenti si sono poi aggregati in piazza tutti coloro che hanno qualcosa da esprimere “contro”. Innanzi tutto operai e salariati in lotta contro ristrutturazioni e licenziamenti.
Secondo me, è un fenomeno «opposto» rispetto a quello degli anni passati. C’é come un passaggio di testimone dalle ultime frange ancora rimaste di salariati in lotta alla nuova composizione sociale dei giovani, come mi è sembrato di cogliere dall’intervento del sindacalista della Goodyear condannato alla prigione, accusato di aver sequestrato la direzione.

I protagonisti e i militanti
A livello più tradizionalmente militante, mi sembra di capire che sono i gruppi «Zadisti» e situazionisti in generale quelli che sono attivi e presenti su queste tematiche, come da tradizione in Francia negli ultimi anni, ma non hanno un peso determinante nella piazza. C’é tranquillamente spazio per tutti quanti, militanti in gruppi e soprattutto non militanti.
Le organizzazioni studentesche tradizionali (sindacati corporativi studenteschi) si danno da fare per cercare di negoziare con il primo ministro sui temi più caldi (diritto alla casa e alla mutua universale) ma non mi sembra abbiano un mandato e siano legittimati dalla piazza.
I veri protagonisti sono i tanti sulla piazza. C’è in tutti una grande tensione organizzativa. Si fa sul serio, si definiscono contenuti e obiettivi e si vuole ottenere qualcosa di concreto, e adesso.
La piazza è organizzata in commissioni a cui tutti si possono iscrivere e il metodo di gestione del dibattito ricalca quello lanciato dagli « indignati ». Nelle commissioni, quello che mi ha colpito é la meticolosità dei partecipanti nel dare il giusto peso alle parole e a rispettarne il significato. Ho visto votare per validare il contenuto di una frase.
Oggi pomeriggio, 41 di marzo (10 aprile), alle 14 è iniziato il dibattito sul salario a vita ed alle 16 la conferenza su salario a vita e reddito garantito, differenze e prospettive.
Vedremo come continua…


venerdì 8 aprile 2016

Nous ne revendiquons rien

di Frédéric Lordon* -

in queste settimane ha rivestito un ruolo di primo piano all’interno di questo nuovo movimento francese che si è chiamato “Nuit Debout”. In questo articolo Lordon, tratto da Le Monde Diplomatique, di cui si propone la lettura in francese, emergono i motivi che stanno alla base delle proteste, la distanza di  prospettive e di visuale tra i sogni/bisogni di una generazione che ha poco da perdere e l’ottusità conservatrice, ipocrita e anche un po’ comica, di una classe dirigente che, sempre più, è parte integrante (nonostante le promesse elettorali) delle politiche di austerity. Attraverso la Loi Travail, come in una sorta di apoteosi, questa classe dirigente ha reso ancor più esplicito che idea ha della vita. Con questo potere, sostiene Lordon, c’è poco da negoziare poiché non gli può essere riconosciuta legittimità. Inoltre, le “rivendicazioni” classiche, di tipo sindacale per esempio, hanno perso capacità di attrattiva poiché le persone sono ormai consapevoli che si tratta di disposizioni rituali, di rotte concordate, che non sono sufficienti. Così, in sostanza, è estremamente innovativo e radicale, per un’insorgenza come questa, partire dal “non rivendicare nulla”: “noi non rivendichiamo nulla”, si dice nel titolo. Provocano qualche moto di ironia “la sinistra di governo” e i suoi sacerdoti intellettuali, le varie distinzioni della “sinistra” fino alla “sinistra sinistra”… “c’est vrai, nous sommes complètement fous. Et nous arrivons” [Effimera]

Così l’austerità ha distrutto l’Europa

di Thomas Fazi-

in un rapporto pubblicato nel 2014 il Parlamento Europeo accusava esplicitamente le politiche di austerità imposte dalla troika di aver provocato uno “tsunami sociale” nel continente. Da allora la situazione è nettamente peggiorata. Il tasso di disoccupazione nell’eurozona (Eurostat-Gen.2016) viaggia oltre 10 % -all’incirca 17 milioni di persone; mentre la media europea dei “28” si attesta al 9,1% (pari a 22 milioni in cerca di lavoro). Tuttavia, data la natura asimmetrica della crisi, parlare di media europea è del tutto fuorviante. Infatti -così come rileva Fazi-, da un lato, vi sono paesi che si attestano su livelli nettamente superiori (per es. Spagna (21%) e Grecia (25%); dall’altro, paesi con tassi ai minimi storici (vedi la Germania al 4,5%)