venerdì 4 dicembre 2015

Con Deleuze. Post-scriptum sulla sinistra italiana e le spire del serpente [abstrat]

di Toni Negri e Marco Assennato - 

Nel recuperare un testo di Carlo Galli [qui] Assennato e Negri intervengono criticamente sul progetto della “Nuova Sinistra Italiana”. In uno con la denuncia sulla «miseranda situazione in cui versa la socialdemocrazia europea», Galli scopre post-faestum  la strutturale organicità della terza via di Blair e Giddens, rispetto all’impianto neoliberista. Vien da dire –dicono A. e N.- «meglio tardi che mai». Anzi, suggeriscono, «di allargare l’archeologia al PCI di fine anni settanta, così da disinnescare in anticipo un’ennesima nostalgia: perché lì le istituzioni del movimento operaio ricusarono definitivamente il loro legame organico con il proletariato metropolitano»


Lavoro politico e ideologie regressive
[…] le società disciplinari sono entrate in crisi e sulla scena resta un nuovo dispositivo di controllo che agisce su corpi sociali inediti, composti da proletariato diffuso, migranti, lavoro immateriale e potenze produttive pienamente socializzate. Da una parte, dunque, come suggeriva Deleuze 25 anni fa, una «crisi generalizzata di tutti i regimi di contenimento: prigione, ospedale, fabbrica, scuola, famiglia», che infatti non cessano di essere sottoposti a continue riforme come per dilazionarne la morte certa o almeno «gestirne l’agonia»; dall’altra modulazioni estensive di controllo su corpi biopolitici nuovi, incomparabili a quelli del periodo precedente:

Lo si vede bene nella questione dei salari: la fabbrica era un corpo che portava le sue forze interne a un punto di equilibrio, il più alto possibile per la produzione, il più basso possibile per i salari; ma nella società di controllo l’impresa ha sostituito la fabbrica, e l’impresa è un’anima, un gas. Senza dubbio la fabbrica conosceva già il sistema dei premi, ma l’impresa si sforza di imporre una modulazione di ciascun salario, in uno stato di perpetua metastabilità che passa attraverso sfide, esami e colloqui estremamente comici. [...] La fabbrica costituiva gli individui in corpi, con un doppio vantaggio: per il patronato che sorvegliava ogni elemento nella massa; e per i sindacati che mobilitavano una massa di resistenza; ma l’impresa non la smette di introdurre una rivalità inespiabile in termini di sana emulazione, eccellente motivazione che oppone gli individui tra loro e attraversa ciascuno, dividendolo in sé stesso. Il principio modulatore di salario di merito, tenta l’educazione nazionale stessa: in effetti, così come l’impresa rimpiazza la fabbrica, la formazione permanente tende a rimpiazzare la scuola e il controllo continuo tende a sostituire l’esame.
Ora il problema che Deleuze poneva in quel testo è il seguente: come ci si può organizzare di fronte a questo nuovo rapporto di potere, che è insieme massificante, anonimo e individuante, singolarizzante? Un bel problema, che meriterebbe attento studio, scandaglio delle pratiche sociali esistenti, duro lavoro di connessione e organizzazione politica. Invece di fronte a questa domanda lo sguardo della sinistra istituzionale inorridisce e volge altrove. Le tesi di Galli ci paiono un esempio di questo inorridito disprezzo. Si producono perciò in esercizi di autoflagellazione politica, revisionismo debole, compensati dal riemergere qua e là di blande forme di socialismo compassionevole: nuovi umanesimi, nostalgie sovraniste per lo Stato nazionale, canzonette sui bei tempi andati – quando la classe stava ordinata nei ranghi di fabbrica e all’occorrenza veniva fuori in strada, a sporcare di grasso l’abito lindo del buon borghese. Così, si invocano la tutela nazionale del lavoro contro la società plutocratica globale, il ritorno dell’intervento pubblico in economia, politiche per la crescita e la ripresa del dialogo tra le parti sociali: interventi beninteso, attuabili dallo Stato Nazionale Repubblicano, mitico agente sovra-ordinatore ed extra-economico che rimette a posto le disarmoniche dinamiche della storia.
Una bella ideologia regressiva dalla quale si può venir via solo accettando di volersi sporcare un poco le mani, e il vestito. Di guardare negli occhi e camminare accanto ai tanto deprecati soggetti sociali che si anela rappresentare. Ci vuole molto a comprendere che tutta la storia della sinistra politica è stata essenzialmente organizzazione di parte dei movimenti di classe? Tutta: le pagine migliori e anche le peggiori. Una lettura a partire dalle metamorfosi del lavoro e dei nuovi rapporti di classe riconoscerebbe innanzitutto le diverse soggettività sociali investite dalla crisi ed eviterebbe la volgare riduzione delle singolarità produttive in «anomia, apatia, populismo». Così come permetterebbe, di riflesso una ricollocazione dell’analisi istituzionale, realistica e concreta (per usare una parola tanto cara a Carlo Galli). Concreta: cioè in grado di vedere la funzione specifica delle istituzioni e delle Costituzioni nazionali nel contesto della globalizzazione. Come anche l’urgenza di una verticalizzazione almeno europea delle lotte. Quindi: dell’organizzazione politica di cui esse necessitano.
Mentre l’approccio tutto istituzionale di Galli – un vero ritorno dell’autonomia del politico, perduti ormai i riferimenti a Lenin e a Marx – condanna la sua proposta ad anticipare e sostituire i movimenti soggettivi. I quali, per tutta risposta resteranno, facile previsione, del tutto indifferenti a questo blando discorso nostalgico. Per di più con il rischio che la Nuova sinistra preconizzata da Galli, si trovi a collimare effettivamente con le ipotesi neo-nazionaliste del nuovo fascismo europeo: Marine Le Pen fa della repubblica la sua bandiera e quanto resta dello Stato-Nazione lo si può preservare solo erigendo muri, piazzando filo spinato e usando l’esercito contro i movimenti che attraversano l’Europa.

Contro i nazionalismi
Si direbbe, per usare un vecchio paradosso che, con le tesi di Galli, ritorni la sinisteritas: quella lunga vicenda fatale che lega gli intellettuali progressisti ad un destino di inettitudine, goffaggine, incapacità. Che li obbliga ad indossare sempre a rovescio –links anziehen – i panni della storia. Laddove invece si dovrebbe interpretare il potenziale liberatorio che sempre è contenuto nella rottura dei rapporti di potere e dei vecchi ordinatori politici. Uno sguardo radicalmente immanente potrebbe funzionare esattamente come critica dei sistemi di sicurezza gnoseologica, rompere le gabbie della storia, aiutarci a perdere gioiosamente i miti antichi. Altrimenti il pensiero affoga. Non vede. Brancola nel buio. Si arena nelle gelide steppe della sconfitta socialdemocrazia europea. E ricomincia a cantare la vecchia canzone: lo stato-nazione, la rappresentanza, la costituzione. Operatori politici che avrebbero dovuto fare emergere la razionalità naturale dei rapporti economici che una cattiva gestione capitalistica – avida e individuale – impediva. Possiamo ricominciare di nuovo con questa illusione?
Non ci si accorge che così si evocano semplicemente quegli specifici strumenti di gestione che avevano funzionato al tempo delle società disciplinari? Non si vede che per questa via si precipita facilmente in ipotesi Rosso-Brune? Si evoca un mondo passato nel quale il capitalismo funzionava per concentrazioni, al fine di garantire la produzione di merci e la proprietà privata dei mezzi di produzione. E nel quale il mercato funzionava come spazio di redistribuzione relativa e asimmetrica degli utili.
Ma torniamo allora a Deleuze. A quel bel post-scriptum: nella situazione attuale – diciamo da un trentennio a questa parte – il capitalismo non è più un sistema di produzione, è piuttosto un rapporto sociale che compra prodotti già fatti o migliora prodotti già socialmente realizzati. Vende servizi e compra azioni. Perciò è essenzialmente dispersivo: «la famiglia, la scuola, l’esercito, la fabbrica, non sono più ambienti analoghi e distinti che convergono verso un unico proprietario, lo Stato o una potenza privata». Sono piuttosto figure «deformabili e trasformabili di una stessa impresa che non ha altro che amministratori». Il marketing scava la logica informale del controllo sociale, l’indebitamento lega i soggetti alla macchina di valorizzazione, le agenzie istituzionali nazionali e sovranazionali assicurano la repressione costante degli eccessi di condensazione sociale che le nuove forme del lavoro biopolitico costruiscono senza tregua. Qui è il punto. Rileggiamo Deleuze per ricominciare ad analizzare i meccanismi di controllo e descrivere ciò che già adesso s’oppone e eccede i nuovi regimi di dominio e sfruttamento. Diceva quel vecchio post-scriptum: i nuovi lavoratori del regime di impresa transnazionale devono essere motivati, formati, valorizzati. Per concluderne: «sta a loro scoprire per che cosa servono, come i loro antenati hanno scoperto, non senza pena, la finalità delle discipline. Le spire di un serpente sono ancora più complicate dei buchi di una talpa». Lavoriamo allora affinché il serpente della coalizione sociale europea strozzi nelle sue spire l’incubo del nazionalismo: tanto di destra quanto di sinistra.

il testo integrale su euronomade