di
Francesco Piccioni -
Guardare
le cose dalla ristretta visuale europea, o peggio ancora italiana, impedisce di
cogliere le dinamiche globali, nascondendo molto di quel che avviene - di
vitale - sul piano macro.
Questa intervista con Joseph Halevi, docente di
economia all'università di Sidney fin dal 1978, consente invece di guardare al
mondo da un angolo visuale diametralmente opposto. Spiazzando molte delle
visioni consolatorie che girano nel dibattito pubblico, italiano e non. Una
visione marxista nei fondamenti teorici, ma soprattutto una "analisi
concreta della situazione concreta" che non concede nulla alla falsa
coscienza. Buona lettura
Proviamo a ragionare sulla partita crescita dopo che per sette anni si
era retta – livello globale – soltanto sulla Cina e i paesi emergenti. E invece
esplode il caso cinese...
La
crescita cinese e quella dei paesi emergenti non sono compatibili, nel senso
che era la Cina a trainare la loro crescita. Io non vedrei la Cina come un
paese “emergente”. E' un paese con un processo di accumulazione di tipo
capitalistico-statalista, con le multinazionali, ecc. Se prendiamo ad esempio
l'Argentina, non è mica detto che dopo la crisi del 2001 potesse recuperare
davvero. Certo, riducendo o non pagando il debito, ha ammorbidito o attenuato
di molto gli effetti sociali. Poi è iniziata una crescita stimolata un po'
dall'interno, con maggiore spesa, ecc. Ma la vera dinamica argentina si è collegata
allora all'enorme crescita delle esportazioni verso la Cina, che era cominciata
diventare una grande consumatrice di prodotti agricoli come la soia - quindi
anche argentini o del Brasile. E' vero anche per l'Australia, che vende alla
Cina carbone e minerali di ferro; ed ora sempre più anche prodotti agricoli. Ma
carbone e ferro erano e restano la cosa più importante. Quindi la crescita
cinese, l'uso che fanno di queste materie prime, ha trainato Argentina,
Australia, parte degli stessi Stati Uniti. Durante il grande boom delle materie
prime, prima della grande crisi del 2007-08, intere zone minerarie degli Usa,
cadute in disuso perché l'estrazione dei minerali era diventata troppo costosa,
soprattutto in zone montuose, sono state rimesse in attività perché il prezzo
era cresciuto enormemente.
Questo
è l'effetto dell'economia cinese sugli emergenti, ma la Cina non è
un paese emergente. Ora li sta involontariamente affondando. Quindi non sono
“compatibili”, non sono simili quanto a dinamica economica. Il meccanismo di
rallentamento della crescita cinese è interno alla Cina, ossia nei rapporti tra
l'accumulazione interna e con l'economia mondiale.
Si è detto per anni che il modello cinese era orientato alle
esportazioni. È vero o no?
Secondo
me si è esagerato. C'è stato un periodo in cui questo era vero. Nel senso che
per un periodo la Cina ha cercato, attraverso i rapporti con le multinazionali
– non avevano quasi nulla di esportazioni proprie, come oggi con Huawei e
simili – ovvero attraverso delocalizzazioni, outsourcing, e poi via, verso i
paesi dove le multinazionali vendevano quanto prodotto in Cina. Questo è stato
importante, oltre che quantitativamente, perché permetteva di importare
tecnologie. Allo scoppio della crisi, erano arrivati a circa iil 10-12% di
esportazioni nette sul Pil, un numero incredibili. Quindi, sì, erano trainati
in parte dalle esportazioni. Quando poi la crisi esplode, l'atteggiamento
economico della dirigenza cinese fu quello di emettere una quantità enorme di
liquidità e rilanciare completamente la crescita del mercato interno e dunque
delle importazioni, più che delle esportazioni. Cominciarono a importare
massicciamente, per ulteriori sviluppi tecnologici. Soprattutto dall'Europa,
dalla Germania, ma anche dalla Corea e altri paesi vicini. La Germania ha avuto
un vero boom di esportazioni pesanti, centrali intere, ecc, non solo o non
tanto modelli di Mercedes. Roba Siemens, roba grossa in beni capitale. Anche
l''Italia – direttamente o tramite imprese legate alla filiera tedesca - ha
avuto un grande balzo delle esportazioni verso la Cina. In genere il surplus
cinese cala moltissimo, c'è la rivalutazione del renminbi, e si attesta intorno
al 2%.
La Cina meno della Germania?
Anche
in assoluto la Germania realizza un surplus maggiore della Cina, basta leggersi
la tabellina dell' Economist che dà le posizioni di conto corrente.
Con il rilancio del '99-2005 la Cina diventa una forte importatrice e le
esportazioni non sono state più il volano della crescita cinese. Ovviamente
sono importanti, per loro, nel senso che è il meccanismo che garantisce loro
l'arrivo di tecnologie, per esempio in campo automobilistico, dove sono ancora
in una posizione arretrata, perché ammettono normative che non permettono
esportazione verso altri paesi. C'è una forte produzione – oltre venti milioni
di auto l'anno – ma non c'è quasi esportazione di marchi cinesi. Forse qualcosa
in paesi come la Turchia, ora.
Loro
hanno ora un grande problema con la crescita, che è diventata destabilizzante:
l'uso delle risorse. Ad esempio con l'acqua e complessivamente con l'ambiente.
Non in senso semplicemente “ambientalista”, ma come riproduzione materiale,
fisica. La situazione ambientale influisce sulle condizioni di
riproduzione economica. Quando sparisce, più volte, l'acqua in un
fiume di 5.000 chilometri come il Fiume Giallo, è una cosa molto grossa. Lì
arrivano navi oceaniche, in porti fluviali gradi come quelli marittimi. Perché
accade? Perché la parte orientale della Cina è in realtà un grande delta, col
Fiume Giallo e lo Yangze, che vanno verso il mar della Cina; è una zona molto
mobile, anche come movimento dei terreni. Lì c'è un grandissimo uso del suolo
per motivi agricoli, industriali e urbanistici. Il fabbisogno di acqua è altissimo,
hanno creato canali che spostano l'acqua da una parte all'altra. Ma hanno anche
cominciato a usare i pozzi artesiani, sfruttando le falde acquifere. Ma, come
raccontano i miei studenti cinesi a Sidney che studiavano soil science,
in questo modo l'acqua scende al di sotto di un certo livello dove si trova
unla roccia granitica, impermeabile. Le piogge, a quel punto, non riescono più
ad arricchire le falde finite sotto quel livello e fluisce direttamente verso
il mare. Costruiscono altri canali per intercettarla, ma il risultato non è
particolarmente efficiente, né sufficiente. La situazione, con gli ultimi
progetti, è tale che pensano di fare mega-canali per portare al nord l'acqua
che scende dall'Himalaya, a migliaia di chilometri di distanza. Hanno veramente
grosse difficoltà. C'è un conflitto tra condizioni fisiche e
necessità di riproduzione dell'accumulazione. Non possono mollare sulla
crescita, altrimenti gli saltano gli equilibri sociali, in modo anche grave,
perché debbono espandere la middle class e, con una crescita del 5%, non gli
può riuscire.
Quanto pesano i problemi di crescita cinese sull'economia globale?
Globalmente,
pesano innanzitutto le aspettative – “ce la faranno, non ce la faranno, ecc”.
Quello che pesa più di tutto è il sistema finanziario internazionale, non tanto
quello interno; ovvero i prodotti derivati, strutturati, collegati in qualche
modo con le passività cinesi... A quel punto scattano tutti gli effetti
negativi
Quali sono questi prodotti derivati?
Quelli
legati alle materie prime; carbone e ferro, in primo luogo. Sul petrolio ci
sono anche altri problemi, come la battaglia tra Arabia Saudita, Russia e Stati
Uniti, sul fracking e dintorni. Ovviamente c'entra anche la Cina, ma è una
dinamica differente. Siccome il valore dei prodotti derivati sono gonfiati dal
valore di altri, collegati, si mette in moto una dinamica accelerata. È una
tipica situazione di non linearità. Basta un calo dello 0,5%, subito qualcuno
grida “ah, sta calando” e scatta un meccanismo di leva finanziaria al
contrario. L'effetto finanziario sui mercati è molto superiore all'effetto
reale. Così sta succedendo ora. L'effetto sull'economia reale in Cina non è
drammatico, ma la volatilità è altissima. Tutto si collega alla percezione della
situazione finanziaria cinese. In fondo, non c'era motivo per scatenare tutto
quel panico sulla caduta della borsa di Shangai. Transazioni internazionali, in
Cina, non ce ne sono. Il mercato finanziario non entra nella struttura di
portafoglio delle imprese cinesi. Il mercato di Shangai è un po' surrettizio,
come un grande casinò... Perché il governo cinese ha permesso ad operatori di
Hong Kong di investire su Shangai in quelle dimensioni (prima era molto più
limitato)? Certo, c'è stato un effetto “bolla”, con una crescita del 150%,
causata dai grandi afflussi di capitali. Poi è ovviamente esplosa, anche se il
livello attuale è ancora superiore a quello precedente questo afflusso. Però,
quando tutto funziona in negativo, si ripercuote globalmente, anche se quei
mercati lì non hanno un grande influenza. Secondo me una parte di questa crisi
finanziaria è voluta dal governo cinese, anche se non so dire da quale frazione
del governo, non faccio il sinologo...
La
dirigenza cinese vuole razionalizzare molto, creare società finanziarie, non
vuole il mercato delle tre carte, il casinò... Società che crescono, magari
crollano, ma poi c'è il consolidamento. È anche un ragionamento un po'
marxista, da questo punto di vista: favorisco la concentrazione del capitale, anche
nei settori produttivi – come l'auto, dove hanno più di cento produttori..
Insomma creare delle società multinazionali proprie, che ancora non hanno, a
parte Heawei e qualcos'altro – e fare un consolidamento finanziario, con grandi
società in grado di agire internazionalmente, ma con la potenza economica della
Cina dietro. Su questo piano sono oggi ancora più deboli di Singapore o Hong
Kong.
Secondo
me questo è uno dei loro obiettivi. E quindi anche “il crollo” seleziona e
consolida. Hanno anche detto che tutte queste operazioni, come sui tassi di
cambio, ecc, sono procedure per aumentare la flessibilità dei mercati. E non
avevano torto. Solo che poi devono intervenire perché le turbolenze e il panico
rischiano di uscir fuori di controllo.
Quanto pesa nelle decisioni cinesi anche il fatto che gli Stati Uniti
stanno per rialzare i tassi di interesse?
C'è
un aspetto positivo che consiste nel rilancio delle esportazioni. Loro vogliono
rilanciarle, anche se continueranno a passare attraverso le multinazionali
altrui, perché un modello fondato soprattutto sulle importazioni alla lunga non
regge. Quattro o cinque anni fa, ad esempio con Airbus, stipularono un grande
contratto, con cui acquistavano circa 500 aerei civili, ma 300 li avrebbero
fabbricati in Cina, con una società statale cinese in società con Airbus.
L'aumento dei tassi di interesse e una rivalutazione del dollaro possono
certamente far ripartire le esportazioni...
Ma fa anche ripartire capitali verso gli Stati Uniti...
Esatto.
E loro non vorrebbero vederlo accadere. Ma questa è la loro problematica, oltre
quella ambientale. Comunque, al di là dei problemi ambientali, che pure
costituiscono un problema strutturale, loro debbono rilanciare la crescita. È
anche la tesi di Michael Pettis, abbastanza simile a quella di Minsky, sul
cosiddetto inverted balance... Quando
l'economia cresce, le passività diminuiscono e si abbassa il debito. Nei paesi
in via di sviluppo, l'aumento rapido del tasso di crescita riduce il debito. Se
il debito iniziale è grande, con la crescita si riduce, è vero; però partono da
un debito grande, quindi c’è sempre il problema di che cosa succede se il tasso
di crescita non…
Non è abbastanza alto...
Allora
c’è il l'inverted balance; insomma, a quel punto va un po’ tutto indietro,
un po’ come nei mercati finanziari, e ci si trova in una situazione in cui il
debito cresce. Pettis sostiene che la Cina è in questa situazione. Il debito
interno cinese è esplosivo perché le liabilities - le passività - diventano
determinanti e vincolano le scelte. Pettis sostiene che non ci sono stati casi
dove si sia potuto riformare un sistema con grandi passività. Non c’è una
strada di riforme possibili; non puoi trovare una strada efficiente di riforme
quando hai tutte queste passività addosso. Se ne può uscire se fai bancarotta,
non paghi…
Se ristrutturi il debito…
Esatto.
Se no non ce la fai ad uscire.
E’ una Grecia un bel po’ più grande…
Beh,
solo sul piano interno, però. Pettis dice che a questo punto le operazioni
della banca centrale per finanziare le attività diventano spuntate. Le
iniezioni di liquidità non bastano si limitano a dare soldi a entità
finanziarie che sono già oberate da debiti. Questo non ti risolve il problema,
non ti rilancia la crescita.
Ma permette almeno di assestare i conti dei soggetti finanziari?
No,
Pettis dice di no, perché c’è sempre il l'inverted balance che va
giù e ricomincia da capo... Se questo è vero, la situazione cinese va vista
molto negativamente...
Però non ci sono altri motori manifatturieri in giro per il mondo...
No.
Gli americani avevano cominciato timidamente a fare un po’ di
reinternalizzazione...
Sì,
ma poca roba…
Poca roba, ma quella più legata ai settori strategici…
Sì,
appunto. E questo va collegato anche alla bassa crescita extracinese, che non
permette alla Cina di avere una dinamica export sostenuta. Perché l’economia
mondiale non tira...
Infatti sia Larry Summers, qualche tempo fa, sia il Centro studi di
Confindustria nei giorni scorsi, hanno tirato fuori il termine stagnazione secolare...
Larry
Summers ne parla da parecchio tempo, Confindustria ci ha messo almeno due anni
ad accorgersene...
Il concetto sembra: se si ferma la Cina, nessuno può sostituirla su quel
piano?
No,
la Cina non è sostituibile.
La dinamica finanziaria sembra molto indipendente dall'andamento
dell'economia reale; la quale, a questo punto, mostra una dinamica decrescente.
Quanto diventa concreto il concetto di stagnazione secolare?
Se
la Cina si ferma, significa che all’interno della Cina ci dovranno essere delle
grosse ristrutturazioni, quindi anche disoccupazione... Socialmente è un bel
casino... Diventerà un po’ come la Germania, che non è che cresca poi tanto,
sul lungo periodo. Secondo me in Cina può succedere questo: ho notato di
recente, quando si è parlato di ripresa indiana, circa il 7%, si è detto anche
che sta crescendo più della Cina, ecc. Ma se uno ha una visione un po’ fisica dell’economia,
ovvero non si ferma solo ai numeri del pil, ma guarda a quanto acciaio produce,
quante macchine, automobili, di cose fisiche, beh… l’India è infinitamente
indietro rispetto alla Cina, sul piano quantitativo.