di Karl Heinz Roth e Zissis Papadimitriou
Alla
vigilia delle elezioni europee proponiamo l’estratto del volume appena
pubblicato da DeriveApprodi, un manifesto per il futuro dell’Europa come unica
possibilità per evitare la catastrofe:
«nessun ritorno alle sovranità nazionali, politiche o economiche, è
ormai possibile. La risposta sta in altri presupposti. Se vuole guardare al
proprio futuro, l’Europa deve infatti ascoltare quei movimenti che contestano
l’addebito dei costi della crisi alle classi più popolari; rispondere alle
richieste delle fasce sociali maggiormente colpite; promuovere processi di
cambiamento in tutti gli ambiti della vita sociale, economica e culturale
dentro un nuovo progetto di Europa democratica e federale» (K.H. Roth/Z. Papadimitriou, Manifesto
per un’Europa egualitaria. Come
evitare la catastrofe, DeriveApprodi,
2014, pp.144)
La situazione attuale
L’Europa
si sta impoverendo. I poteri forti stanno trascinando le classi lavoratrici
verso la rovina. Sono gli agenti di un sistema definito dai principi del
massimo profitto e della concorrenza. Un sistema instabile che può sopravvivere
soltanto finché continuerà a espandersi in maniera spasmodica: in pochi
continueranno ad arricchirsi ricorrendo alla progressiva espropriazione, allo
sfruttamento e all’immiserimento della maggioranza. Questa dinamica rischia di
subire una battuta d’arresto a causa del crollo dei profitti, per questo le
classi dominanti corrono ai ripari per mantenere ben salde le disuguaglianze e
accelerare lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali.
Le
loro strategie più rilevanti al riguardo sono l’accrescimento e la
stabilizzazione delle riserve economiche, il consolidamento dei processi di
produzione, la riduzione dei salari e la privatizzazione dei beni pubblici e
dei servizi sociali, cosi come l’introduzione di un sistema creditizio più
restrittivo. Il risultato saranno fenomeni complessi di precarizzazione e di
impoverimento di massa. Le classi subalterne si vedranno deprivate dei loro
fondamentali diritti all’esistenza e saranno costrette a sopportare la
pressione di una disoccupazione sempre crescente, di insicurezza sociale e rapporti
di lavoro sempre più malpagati e limitati nel tempo. Contemporaneamente,
perderanno il controllo sulle condizioni della propria riproduzione: i loro
risparmi e i loro debiti consegnati all’arbitrio delle banche, delle grandi
compagnie di assicurazioni e delle autorità di regolamentazione. Da quando è
iniziata la grande recessione, tra il 2007 e il 2009, il processo di
impoverimento europeo ha compiuto un salto di qualità. Il numero dei
disoccupati e cresciuto costantemente: si parla oggi di 26,2 milioni di persone
(10,8%) in tutta l’Unione europea e di 19 milioni di persone (12,0%)
nell’eurozona.
Di
questi disoccupati, rispettivamente il 23,6% e il 24,2% sono giovani tra i 15 e
i 24 anni. La ripartizione geografica della disoccupazione varia notevolmente.
In alcuni paesi periferici la soglia di disoccupazione è ben sopra la media,
come in Grecia (27%), Spagna (26,2%), Portogallo (17,6%) e Irlanda (14,7%).
Diversa è la situazione dei paesi più interni, quali Germania, Paesi Bassi e
Austria, dove la disoccupazione, pressoché stabile da trent’anni, è variata ben
poco. Ancora più drammatiche sono le differenze tra i giovani disoccupati. Nei
paesi periferici si registrano quote dal 58% della Grecia, il 55,5% della
Spagna, il 38,7% dell’Italia, il 38,6% del Portogallo, il 30,9% dell’Irlanda,
fino al 28,1% della Polonia; all’opposto delle cifre nettamente più basse di
nazioni quali Olanda, Austria e Germania, dove si parla rispettivamente del
10,3%, del 9,9% e del 7,9%.
Dietro
questi dati si nascondono situazioni individuali e familiari catastrofiche. Il
lavoro definisce, infatti, anche la partecipazione alla vita sociale, per
quanto instabile e malpagato possa essere. Perciò, la perdurante assenza di un
lavoro innesca una reazione a catena, che il limitato sostegno economico per i
disoccupati non fa che ritardare. Dopo la cessazione del periodo di erogazione
dei sussidi, infatti, si spalanca l’abisso sociale, poiché ne deriva
l’esclusione da ulteriori reti di sicurezza sociale: l’assicurazione sanitaria
scade e la pensione diventa soltanto un lontano miraggio. Poiché salari e
servizi sociali hanno cominciato a disintegrarsi ben prima dell’inizio della
crisi, molte famiglie hanno cercato una stabilità finanziaria ricorrendo
all’acquisto, con mutui, di proprietà e abitazioni, per tutelarsi di fronte a
eventuali imprevisti. Quando poi la crisi ha svalutato gli immobili ancora da
pagare, l’illusione di costruirsi un reddito in questo modo è crollata.
Nell’Europa centrorientale, in Gran Bretagna e nei paesi periferici
dell’eurozona, a oggi, si contano oltre un milione di procedure di pignoramento
immobiliare in corso: più della metà delle quali sono state eseguite. Solo in
Spagna, 400.000 famiglie disoccupate si ritrovano con un pugno di mosche; in
Ungheria sono 120.000 e in Irlanda 85.000. Devono trasferirsi nei quartieri
poveri, nei sobborghi e nei ghetti, dove le infrastrutture sono a dir poco
carenti.
La
perdita delle case e delle abitazioni, tuttavia, è soltanto una delle
conseguenze più eclatanti della disoccupazione di massa. Chi si allontana dalla
famiglia d’origine spesso non riesce più a sostenere i costi di riscaldamento,
di affitto, elettricità e telefono. Anche i membri più anziani della famiglia
non sono in grado di offrire aiuto, poiché nel frattempo la loro pensione è
stata decurtata. Le malattie diventano un rischio di cui si deve cominciare a
tenere conto, e costringono a dar fondo agli ultimi risparmi. I senzatetto sono
centinaia di migliaia, affidati alle cure di strutture d’accoglienza, centri
sanitari senza scopo di lucro e mense dei poveri.
Particolarmente
drammatica è la situazione dei giovani disoccupati. Già negli anni precedenti,
dopo la deregolamentazione dei rapporti di lavoro, essi si erano visti negare
l’accesso a un posto fisso in qualche modo equamente retribuito. Ora i giovani
perdono anche le occupazioni a breve termine e malpagate: soltanto in Spagna,
dall’inizio della crisi, due milioni di giovani precari sono finiti in mezzo a
una strada. Per loro e per tutti gli altri disoccupati europei questo destino è
più di un episodio biografico: caratterizzerà la loro vita per decenni. In
tutta Europa, sta emergendo l’idea di una generazione perduta, deprivata delle
premesse elementari per l’inizio di una vita autonoma. In Grecia, al momento, l’80%
dei giovani è tornato a casa dei genitori. Centinaia di migliaia di neolaureati
e neodiplomati dell’est e del sud Europa emigrano nei paesi dell’interno, ma
anche in Nord America, negli Stati arabi del Golfo e negli ex territori
coloniali africani. In aggiunta, si assiste a un incremento delle migrazioni
interne, dai quartieri poveri degli agglomerati urbani verso le aree rurali.
Questi sono solo alcuni degli aspetti più salienti del profondo impoverimento e
della destabilizzazione sociale, che coinvolge non soltanto le classi più
svantaggiate ma sempre di più anche i settori indeboliti del ceto medio.
Chi
oggi visita l’Europa, non può fare a meno di notare i segnali della povertà e
della disperazione. Questo è vero soprattutto nei paesi periferici, rispetto a
quelli più interni. La nuova povertà di massa colpisce un terzo della società
delle nazioni dell’est e del sud Europa e ha il risultato di accorciare le
aspettative di vita. Ma la situazione non è positiva nemmeno nel resto degli
Stati membri. Anche nell’Europa continentale, la soglia di povertà si aggira
intorno al 20% del totale della popolazione. In Germania questa cifra raggiunge
i 16,1 milioni di persone (il 19,9% del totale): la più alta in assoluto. La
depressione sociale è una diretta conseguenza di questo modello di
distribuzione della ricchezza: negli Stati periferici il numero di suicidi è
drammaticamente aumentato – nei quartieri più poveri si diffondono
prostituzione, microcriminalità, violenza domestica e tossicodipendenza. In
tutta Europa, le associazioni neofasciste approfittano dell’autodistruzione
sociale ed economica della democrazia rappresentativa per guadagnare consensi
con discorsi demagogici e azioni di violenza contro i rifugiati e le minoranze.
Fanno il vecchio gioco del fascismo: si appropriano della questione sociale e
la canalizzano in una etno-politica ipernazionalista.