lunedì 27 gennaio 2014

La classe non è acqua. Un'antologia sulla categoria di classe in Marx

di Clash City Workers

A che ci serve oggi leggere Karl Marx? Cosa sono le classi sociali? Esiste ancora il proletariato? E chi sono gli operai? Qual è il soggetto di riferimento per chi fa politica con l'intento di rivoluzionare questa società? “La classe non è acqua” (scarica [pdf] [epub] [rtf]) è un'antologia ragionata di testi marxiani sulla categoria di classe, il suo senso e la sua attualità. Nell'antologia degli scritti di Marx, curata dal collettivo Clash City Workers, si possono trovare alcuni strumenti teorici utili alla comprensione del presente e dell’agire politico. Qui pubblichiamo la presentazione sia dell'antologia che del ciclo di seminari, dove si prova a spiegare i perché di questo lavoro

PRESENTAZIONE DELL'ANTOLOGIA
Questa raccolta ragionata di scritti di Marx nasce da alcune esigenze della nostra attività di militanti comunisti. È da tempo che infatti sentiamo, come proviamo a spiegare meglio più sotto, il bisogno di chiarire e chiarirci su chi o cosa è il nostro soggetto di riferimento, al di là di facili slogan e di parole d’ordine della durata di una stagione.
Ci pare infatti che la scarsa comprensione di questo punto – a cui è legata la sostanziale ignoranza di come funzioni materialmente una società e uno Stato, di quali siano le dinamiche complesse che presiedano alla vita collettiva – sia oggi uno dei più grandi limiti dei movimenti e dei rivoluzionari. Spesso, sballottati fra le scadenze che ci vengono imposte e dopo aver buttato a mare tutta la nostra, invece utilissima, “cassetta degli attrezzi”, ci troviamo completamente smarriti nel leggere quello che ci accade intorno. E, nonostante gli sforzi profusi, fatichiamo a portare risultati a casa, a coinvolgere settori sociali larghi, a farli diventare parte di un processo di trasformazione radicale.
Per rispondere a queste insoddisfazioni, all’inizio del 2013 abbiamo pensato di concentrare il nostro lavoro di autoformazione sul tema della classe, da intendere come chiave di lettura imprescindibile per capire e mutare la realtà. Abbiamo dunque deciso di ripartire dall’inizio, di metter su un ciclo di seminari che si concentrasse sui “classici”, perché ci pare che in Marx e in Engels – fuori dalle facili schematizzazioni a cui vengono condannati sia dai discepoli dogmatici che dai critici ignoranti – compaia un metodo attualissimo di comprensione della storia e di trasformazione del presente.
Però, anche se il dibattito sulla classe è amplissimo, non abbiamo trovato né in rete né in biblioteca un testo che potesse restituirci una panoramica d’insieme su questo tema, che potesse darci una sintesi comprensibile delle posizioni/definizioni di Marx a questo riguardo. Quindi abbiamo deciso di farci da soli questa selezione. Che non rappresenta ovviamente né un lavoro accademico, volto magari a trovare testi “nuovi” o approfondire singoli punti dell’opera marxiana, né una raccolta a fini divulgativi-editoriali, tesa a condensare un the best degli scritti di Marx…
Più semplicemente, si tratta di una raccolta pensata per i militanti, sia per quelli che sanno poco o nulla di Marx, sia per quelli che hanno letto qualcosa in più ma che vogliono approfondire il testo marxiano. Perciò i criteri in base ai quali abbiamo scelto i testi sono:
- seguire un ordine “cronologico” di sviluppo dell’opera di Marx, di modo che si possa capire da un lato la continuità della sua opera, da un altro lato il sempre maggiore livello di complessità con il quale ritorna sugli stessi temi;
- centrare tutta la selezione sui luoghi in cui emerge il concetto – più o meno esplicitamente - di classe sociale e di proletariato;
- privilegiare i punti in cui il materialismo storico si caratterizza come metodo, e dunque non come “dottrina”, di comprensione e trasformazione della realtà;
- scegliere i brani che più ci permettevano di rispondere e di discutere le domande che la nostra attività politica e il dibattito sociale ci pone, ad es.: esistono ancora le classi? è ancora attuale la categoria di proletariato? perché l’idea di cittadinanza, le teorie della decrescita, quelle sul capitalismo cognitivo, tutte le varietà del riformismo, colgono solo la superficie dei fenomeni? etc…
La nostra selezione non ha dunque alcuna pretesa: è sicuramente parziale e non è la migliore possibile. Ma se abbiamo deciso, una volta finiti i seminari, di sistemarla e pubblicarla è perché crediamo possa essere utile ad altri singoli compagni e collettivi sparsi per l’Italia, speriamo possa essere uno stimolo alla formazione e servire a riaprire un dibattito sulla classe, e speriamo infine che possa soprattutto rafforzare i nostri percorsi politici in vista di una maggiore unità e forza. Perché, nelle diversioni anche lunghe che la storia ci offre, le opzioni che ci attendono sono sempre le stesse: o socialismo o barbarie.

venerdì 24 gennaio 2014

2/ RASSEGNA W.I.P. 01

Sommario


Tutti i fantasmi che assediano Davos di  Claudio Conti

alcuni spunti sul World Economic Forum di Davos (22-25 gennaio 2014), dove ogni anno si danno appuntamento i potentati dell’economia e della politica per pianificare le azioni della governamentalità, secondo lo spirito della legge del mercato e dell’accumulazione capitalista


“Per riflettere sulla sostanza al di là di astiose polemiche” è il sottotitolo del contributo della redazione di Dinamo Press, intervenendo sulla contrapposizione fra “vecchi” e “post” operaisti, un confronto che pur toccando temi strategici sensibili difetterebbe “di verifica empirica”, ovvero di quella metodologia di ricerca –l’inchiesta militante- che proprio l’operaismo nel laboratorio dei “Quaderni Rossi” aveva sperimentato

La nuova ragione del mondo di Pierre Dardot/Christian Laval

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista”, titolo italiano del volume dei due autori transalpini (del quale proponiamo la lettura di due brevi stralci delle 512 pagine del libro), pubblicato di recente  da DeriveApprodi e che sarà presentato dagli stessi (animatori dal 2004 del gruppo di ricerca «Question Marx») il prossimo 20 febbraio nella Sala Zuccari del Senato, offre una ricostruzioni analitica del dominio neoliberista, la cui tragica razionalità ha permeato l’azione  della governamentalità economica e politica su scala globale

Pubblichiamo l’intervista fatta da Wolf Bukowski a Silvia Guerra, artista italiana espulsa assieme a suo figlio dal Belgio perché la sua occupazione non le permetteva di «mantenere il suo soggiorno in qualità di lavoratore salariato» 
Manifesto sul futuro di Alex Williams/Nick Srnicek

“il capitalismo non può essere identificato come l’agente della vera accelerazione. Ma allo stesso modo valutare la politica di sinistra come antitetica all’accelerazione tecnosociale è, almeno in parte, una grave travisamento. Se davvero la sinistra vuole avere un futuro, deve essere quello in cui essa stessa abbracci al massimo la sua repressa tendenza accelerazionista”


La deregolamentazione del mercato del lavoro è l'altra faccia di quell'austerità che altro non ha fatto se non aggravare lo stato di crisi economica. Dai salari alla contrattazione, così le ricette dell'Unione europea hanno contribuito a mantenere viva la depressione

Note sull’Europa di Sandro Chignola

divenire-europei significa imporre da posizioni di forza, perché definitivamente sottratte al ricatto che demoltiplica il comando per mezzo della leva residua dei bilanci nazionali dei singoli Stati, politiche costituenti altre: altre grammatiche e altre sintassi politiche in grado di tradurre e di ridefinire continuamente, nella materialità della prassi e senza alcun riferimento trascendentale, forme e contenuti, teorie e pratiche, del comune


Il proibizionismo è tornato al centro del dibattito politico, medico e sociale. Mentre dall'Uruguay al Colorado avanzano le politiche di legalizzazione, in Italia facciamo i conti con una legge liberticida, la Fini-Giovanardi. È arrivato il momento di abolirla e cambiare direzione

IL DOPPIO MARX di Robert Kurz

il capitale non è più una cosa che possa essere presa alla classe dominante: esso è il rapporto sociale del denaro totalizzato; connesso a sé stesso in un circuito chiuso, è diventato "capitale", si comporta ormai da "soggetto automatico"

La sponda ribelle di Elia Rosati

Breve storia dell'Amburgo ribelle: tra memorie di lotte operaie, gentrification, squat e autonomen, la curva del St. Pauli, fino alle ultime settimane di rivolte


Il Belgio e altri Stati entrano in “Guerra” contro il diritto dei cittadini europei a risiedere liberamente nel territorio dell’Unione Europea

Si mettano l’anima in pace quanti vedono nella scalata alla Chrysler un volano per il rilancio della produzione automobilistica in Italia. Gli stabilimenti nostrani continueranno a barcamenarsi tra ridimensionamenti, licenziamenti e cassa integrazione

Cosa vuole l’Europa? di Slavoj Žižek

Alla fine del 2012 il Fondo monetario internazionale ha pubblicato una ricerca in cui si mostra come il danno economico di misure di austerity aggressive possa essere fino a tre volte più grande di quanto era stato previsto, cancellando quindi i suoi consigli sull’austerità nella crisi dell’eurozona


non abbiamo simpatia per i sentimenti anti-euro, se li dobbiamo giudicare dal punto di vista della razionalità politica sono insensati e ne vediamo i tratti estremamente pericolosi. Tuttavia l’europeismo a prescindere non solo non riesce a combattere le posizioni anti-europeiste, ma finisce per regalare a esse pezzi della composizione sociale in crisi

La candidatura di Alexis Tsipras, leader di Syriza a presidente della Commissione europea ha determinato in molti Paesi una positiva apertura di dibattito a sinistra, anche se in altri (primo fra tutti l’Italia) sembrano prevalere gli interessi di piccoli gruppi o “partiti”, incapaci di sviluppare un discorso politico pienamente europeo


ripresa da L'AntiDiplomatico proponiamo l’intervista Paul De Grauwe, Professore di Politica economica alla London School of Economics (autore di  "Economia dell'Unione Monetaria")


le differenze sociali con l’economia globalizzata è aumentata anziché diminuire. Cresce sempre più  il divario tra ricchi e poveri e lo sfruttamento sistematico dei soggetti sociali

Foucault in rete di Paolo B. Vernaglione

La lezione “in rete” di Foucault apre un campo produttivo per la riflessione teorica a partire dalla differenza tra archeologia e genealogia


Tutti i fantasmi che assediano Davos

di  Claudio Conti

alcuni spunti sul World Economic Forum di Davos (22-25 gennaio 2014), dove ogni anno si danno appuntamento i potentati dell’economia e della politica per pianificare le azioni della governamentalità, secondo lo spirito della legge del mercato e dell’accumulazione capitalista

Davos scorre senza che qui si presti molta attenzione a ciò che laggiù matura. È un errore grave, naturalmente. Specialmente per chi, come la sinistra antagonista, dovrebbe prestare ai contenuti dei vertici globali almeno altrettanta attenzione a quanto si muove nelle strade che frequenta.
Vediamo quindi cosa è venuto fuori dai primi giorni di seminari e “chiacchierate” tra i “decisori” globali.
Intanto la cosa più vicina a noi: l'Europa non ha affatto “svoltato l'angolo”. Eppure era stata questa la certezza alla conclusione dell'appuntamento precedente, nel gennaio 2013. Allora si veniva dalla “grande paura” dell'estate 2012, quando chi partiva per le vacanze non era certo di trovare ancora l'euro – come moneta anche “nazionale” - al proprio ritorno. Tutto sembrava risolto con la frase pronunciata da Draghi in pieno agosto: “la Bce farà tutto ciò che è necessario; e vi assicura che sarà abbastanza”.
“I mercati” avevano capito subito e tradotto: “la Bce è pronta a fare da prestatore di ultima istanza”. Ovvero a coprire con liquidità “illimitata” eventuali voragini aperte da attacchi speculativi. Siccome il proverbio-totem degli speculatori finanziari recita “mai scommettere contro le banche centrali” (quelle potenti, almeno), sulla moneta unica era tornato a splendere il sereno.
Di qui l'ottimismo di Davos 2013. Anche se tutti sapevano, anche lì dentro, che prima o poi l'interrogativo sulla tenuta della costruzione europea sarebbe tornato a far capolino. Solo, non pensavano che sarebbe tornato così in fretta. Nessuna soluzione “strutturale” è stata né escogitata, né – tantomeno – messa in pratica; o almeno avviata. E della “debolezza europea” l'Italia costituisce da anni l'epicentro, con o senza governi “tecnici”. Anzi, proprio il “governo politico” benedetto dalla Troika – Letta and Alfie – ha compromesso la credibilità conquistata a colpi di massacro sociale da mr. Mario Monti. La continuità nell'aggressione al mondo del lavoro e ai pensionati, l'approfondimento della precarietà e l'incremento della disoccupazione non sono stati accompagnati da un'analoga aggressività nei confronti della “spesa clientelare”, dei mille rivoli parassitari, né dell'”economia sommersa o illegale” che ormai rappresenta il 33,6% del prodotti interno lordo ma non paga un euro di tasse. E quindi i conti pubblici italiani, nonostante i tagli vanno male. Anzi, la crisi “tricolore” si è trasformata in recessione perenne, vanificando in un attimo anche i sanguinosi “sacrifici” imposti ad una parte – ampiamente maggioritaria, ma già troppo povera – del paese.

Sulle Utopie Letali di Carlo Formenti

di Dinamo Press

“Per riflettere sulla sostanza al di là di astiose polemiche” è il sottotitolo del contributo della redazione di Dinamo Press, intervenendo sulla contrapposizione fra “vecchi” e “post” operaisti, un confronto che pur toccando temi strategici sensibili difetterebbe “di verifica empirica”, ovvero di quella metodologia di ricerca –l’inchiesta militante- che proprio l’operaismo nel laboratorio dei “Quaderni Rossi” aveva sperimentato

giovedì 23 gennaio 2014

La nuova ragione del mondo

di Pierre Dardot/Christian Laval

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista”, titolo italiano del volume dei due autori transalpini (del quale proponiamo la lettura di due brevi stralci delle 512 pagine del libro), pubblicato di recente  da DeriveApprodi e che sarà presentato dagli stessi (animatori dal 2004 del gruppo di ricerca «Question Marx») il prossimo 20 febbraio nella Sala Zuccari del Senato, offre una ricostruzioni analitica del dominio neoliberista, la cui tragica razionalità ha permeato l’azione  della governamentalità economica e politica su scala globale

Dall’introduzione all’edizione italiana
Com’è possibile che nonostante le ripercussioni catastrofiche cui hanno portato le politiche neoliberiste, queste ultime siano sempre più attive, al punto da precipitare interi Stati e società in crisi politiche e regressioni sociali sempre peggiori? Com’è possibile che, negli ultimi trent’anni, queste stesse politiche si siano sviluppate e approfondite senza aver incontrato resistenze sufficienti a metterle in crisi?
La risposta non può ridursi ai semplici aspetti «negativi» delle politiche neoliberiste, ovvero alla distruzione programmata delle regolamentazioni e delle istituzioni.
Il neoliberismo non è semplice distruzione regolativa, istituzionale, giuridica, è almeno altrettanto produzione di un certo tipo di relazioni sociali, di forme di vita, di soggettività. Detto altrimenti, con il neoliberismo ciò che è in gioco è né più né meno la forma della nostra esistenza, cioè il modo in cui siamo portati a comportarci, a relazionarci agli altri e a noi stessi. Il neoliberismo definisce una precisa forma di vita nelle società occidentali e in quelle società che hanno scelto di seguire le prime sul cammino della cosiddetta “modernità”. Questa norma impone a ognuno di vivere in un universo di competizione generalizzata, prescrive alle popolazioni di scatenare le une contro le altre una guerra economica, organizza i rapporti sociali secondo un modello di mercato, arriva a trasformare perfino l’individuo, ormai esortato a concepire se stesso come un’impresa.
Da pressoché un terzo di secolo, questa norma esistenziale presiede alle politiche pubbliche, governa le relazioni economiche mondiali, trasforma la società e rimodella la soggettività. Le circostanze di un simile successo normativo sono state descritte di frequente. A volte privilegiando l’aspetto politico (la conquista del potere da parte delle forze neoliberiste), a volte quello economico (l’ascesa del capitalismo finanziario globalizzato), altre l’aspetto sociale (l’individualizzazione dei rapporti sociali a scapito delle forme di solidarietà collettiva, l’estrema polarizzazione tra ricchi e poveri), altre ancora quello soggettivo (la comparsa di una nuova tipologia di soggetto, lo sviluppo di nuove patologie psichiche). Si tratta di dimensioni complementari alla nuova ragione del mondo. Con questo dobbiamo intendere che siamo di fronte a una ragione globale nel duplice senso del termine: una ragione che di colpo diventa valida su scala mondiale e una ragione che, lungi dal limitarsi alla sfera economica, tende a totalizzare, cioè a “fare mondo”, con un proprio specifico potere di integrazione di tutte le dimensioni dell’esistenza umana. La ragione del mondo è anche, contemporaneamente, una «ragione-mondo».

lunedì 20 gennaio 2014

Un caso politico. Intervista a Silvia Guerra, europea, italiana, espulsa

di Wolf Bukowski

Pubblichiamo l’intervista fatta da Wolf Bukowski a Silvia Guerra, artista italiana espulsa assieme a suo figlio dal Belgio perché la sua occupazione non le permetteva di «mantenere il suo soggiorno in qualità di lavoratore salariato». Le convulsioni della cittadinanza europea che già sono state sperimentate e dimostrate a proposito dei migranti extracomunitari arrivano ora a coinvolgere una cittadina comunitaria. Secondo una modalità storicamente ricorrente, l’espulsione è stata motivata dal peso ingiustificato che Silvia avrebbe rappresentato per il welfare locale. Con molta lucidità Silvia rileva però che lei non è un caso sociale e, aggiungiamo noi, il suo non è nemmeno il caso giuridicamente interessante di diritti fondamentali occasionalmente negati. La storia di Silvia è una «questione politica», perché evidenzia il campo di tensione e di lotta che si è aperto in Europa. Da tempo i diritti e il welfare non sono espressioni del benessere europeo. Essi pretendono di collocare in maniera ordinata gli individui all’interno dell’Unione. La lotta per la libertà di movimento e di soggiorno di individui comunitari ed extracomunitari è perciò necessaria per contrastare l’imposizione di questo ordine. Sempre che non si voglia ritornare a un ordine locale e nazionale, accettando così la tendenza delle istituzioni dell’UE, la dimensione di questa lotta può essere solo europea. Essa è una lotta per la legittimità collettiva delle esistenze individuali. Risulta d’altronde evidente che per molte istituzioni europee, più che il passaporto, il problema sono i milioni di individui che non riescono a dimostrare di essere dei lavoratori salariati, cioè di essere in grado di pagare preventivamente per il loro welfare e per i loro diritti

Questo colloquio con Silvia Guerra – la cittadina italiana espulsa, con suo figlio, dal Belgio – inizia a fine dicembre, nel take-away indiano di via Capo di Lucca a Bologna e continua via mail. Adesso Silvia è tornata a Bruxelles, dove il ricorso che ha presentato ha sospeso temporaneamente l’esecutività dell’ordine di lasciare il paese emesso dalla «Segreteria di Stato per Asilo, Migrazione e Integrazione sociale» [sic! comprese le maiuscole ed escluso il pudore per tale nome].

Wolf: Ho letto la rassegna stampa che mi hai mandato, Silvia, ma in quegli articoli la confusione è massima. Sei stata espulsa dal Belgio perché incapace di provvedere al tuo sostentamento, così si dice, ma non è chiaro se lavori, se sei disoccupata oppure lavori in nero. Qual è la tua situazione?

Silvia: Io sono musicista e attrice, e questo è il lavoro che svolgevo prima dell’espulsione. Il 19 novembre sono stata convocata dal mio comune, Saint-Gilles [Municipalità della città-regione di Bruxelles], senza sapere il perché, e mi è stato consegnato un «ordre de quitter le territoire». L’ordine – che naturalmente riguarda anche mio figlio minorenne – allude al fatto che io peserei sul welfare belga, ma neppure si preoccupa di esplicitarlo. Dice solo, te lo leggo: «ce type de travail ne lui permet pas de maintenir son séjour en qualité de travailleur salarié» e aggiunge che il tipo di contratto che ho attualmente «est une forme de aide sociale». Si tratta di un contratto ex art. 60 della legge del CPAS del 1976, in base al quale sono assunta per 18 mesi a partire dal dicembre 2012. Lo Stato belga lo considera un aiuto sociale perché, attraverso il CPAS (Centro Pubblico di Azione Sociale, che firma il contratto) finanzia parte dello stipendio allo scopo di agevolare il reinserimento lavorativo del soggetto. Ma io, appunto, lavoro, e lavoro con un orario di 37 ore settimanali, ricevo una busta paga e posso iscrivermi a un sindacato. Monte ore da rispettare, sindacato, pagamento con un cedolino: che altro serve per essere considerato un lavoratore?

WInsomma vediamo di capire: l’art. 60 è un contratto stipulato con una struttura pubblica – il CPAS – che ti cede, come lavoratrice, a un privato convenzionato. Ma visto che lavori 37 ore alla settimana, e quindi dai al tuo datore il 100% della tua prestazione lavorativa, dove viene indirizzato l’aiuto sociale? Quanto paga il tuo datore di lavoro del tuo stipendio? E quando ci mette il welfare belga?

S: L’apporto che il datore di lavoro deve fornire per un art. 60 varia da comune a comune e la percentuale dipende dal tasso di disoccupazione del comune in cui vivi. A Saint-Gilles lo Stato partecipa normalmente con il 20% perché il tasso di disoccupazione è basso rispetto ad altri comuni. Nel mio caso, il datore di lavoro ha richiesto, dimostrando di non avere i mezzi per pagare la somma pattuita, di partecipare con il 40%, invece che con l’80, barattando alcune prestazioni artistiche – di valore equivalente – in cambio di questa trasformazione della percentuale di apporto. Dove il tasso di disoccupazione è molto alto lo stato finanzia fino all’80% dello stipendio. Queste però sono informazioni che ho ricevuto in modo ufficioso, non ci sono documenti a cui io possa accedere per confermarle e trovo sia molto scorretto che non ci sia una documentazione pubblica precisa su come il pagamento dello stipendio è ripartito tra lo stato e il datore di lavoro «indiretto».

W: Insomma, se osserviamo la cosa da un punto di vista oggettivo – e i flussi di denaro e lavoro sono i soli punti di vista oggettivi – il beneficiario del welfare belga è il tuo datore di lavoro… Per quanto riguarda invece il discorso dei poteri pubblici su di te come lavoratrice, per come emerge dall’«ordine di lasciare il territorio», mi pare che sia perfettamente in linea con la riscrittura più recente del welfare europeo. Una riscrittura che rompe la distinzione tra lavoro e non lavoro, ma comunque non nel senso avanzato della garanzia, semmai in quello opposto. Ovvero: lavori a tempo pieno? Sì, ma non sei davvero un lavoratore, e questo è il tuo caso. Sei disoccupato? Beh, devi lavorare a un euro all’ora per non perdere i diritti sociali residui – e questo è il modello tedesco (Hartz IV). Però i giornali italiani hanno preferito scrivere che sei disoccupata. Ti sei fatta un’idea del perché?

S: Io credo, in primo luogo, che c’è stato un fraintendimento semantico tra me e i giornalisti. Quando, conversando in italiano, usi parole come «inserimento lavorativo», «politica sociale», «aiuto sociale»… stai per forza parlando di un disoccupato. Anche perché in Italia la politica sociale praticamente non esiste e quindi tante categorie, tanti contratti e tanti statuti, che altrove esistono da decenni, in Italia non hanno nemmeno un nome… E questo è uno tra i motivi per cui la gente emigra.

1/ RASSEGNA W.I.P. 01

Sommario



di Wolf Bukowski
Pubblichiamo l’intervista fatta da Wolf Bukowski a Silvia Guerra, artista italiana espulsa assieme a suo figlio dal Belgio perché la sua occupazione non le permetteva di «mantenere il suo soggiorno in qualità di lavoratore salariato» 

di Alex Williams/Nick Srnicek
“il capitalismo non può essere identificato come l’agente della vera accelerazione. Ma allo stesso modo valutare la politica di sinistra come antitetica all’accelerazione tecnosociale è, almeno in parte, una grave travisamento. Se davvero la sinistra vuole avere un futuro, deve essere quello in cui essa stessa abbracci al massimo la sua repressa tendenza accelerazionista”

di  Paolo Pini
La deregolamentazione del mercato del lavoro è l'altra faccia di quell'austerità che altro non ha fatto se non aggravare lo stato di crisi economica. Dai salari alla contrattazione, così le ricette dell'Unione europea hanno contribuito a mantenere viva la depressione

di Sandro Chignola
divenire-europei significa imporre da posizioni di forza, perché definitivamente sottratte al ricatto che demoltiplica il comando per mezzo della leva residua dei bilanci nazionali dei singoli Stati, politiche costituenti altre: altre grammatiche e altre sintassi politiche in grado di tradurre e di ridefinire continuamente, nella materialità della prassi e senza alcun riferimento trascendentale, forme e contenuti, teorie e pratiche, del comune

di Chiara Bastianoni/Guido Farinelli
Il proibizionismo è tornato al centro del dibattito politico, medico e sociale. Mentre dall'Uruguay al Colorado avanzano le politiche di legalizzazione, in Italia facciamo i conti con una legge liberticida, la Fini-Giovanardi. È arrivato il momento di abolirla e cambiare direzione

di Robert Kurz
il capitale non è più una cosa che possa essere presa alla classe dominante: esso è il rapporto sociale del denaro totalizzato; connesso a sé stesso in un circuito chiuso, è diventato "capitale", si comporta ormai da "soggetto automatico"

di Elia Rosati
Breve storia dell'Amburgo ribelle: tra memorie di lotte operaie, gentrification, squat e autonomen, la curva del St. Pauli, fino alle ultime settimane di rivolte

di Costanza Margiotta
Il Belgio e altri Stati entrano in “Guerra” contro il diritto dei cittadini europei a risiedere liberamente nel territorio dell’Unione Europea

di  Clash City Workers
Si mettano l’anima in pace quanti vedono nella scalata alla Chrysler un volano per il rilancio della produzione automobilistica in Italia. Gli stabilimenti nostrani continueranno a barcamenarsi tra ridimensionamenti, licenziamenti e cassa integrazione

di Slavoj Žižek
Alla fine del 2012 il Fondo monetario internazionale ha pubblicato una ricerca in cui si mostra come il danno economico di misure di austerity aggressive possa essere fino a tre volte più grande di quanto era stato previsto, cancellando quindi i suoi consigli sull’austerità nella crisi dell’eurozona

di Gigi Roggero
non abbiamo simpatia per i sentimenti anti-euro, se li dobbiamo giudicare dal punto di vista della razionalità politica sono insensati e ne vediamo i tratti estremamente pericolosi. Tuttavia l’europeismo a prescindere non solo non riesce a combattere le posizioni anti-europeiste, ma finisce per regalare a esse pezzi della composizione sociale in crisi

di Sandro Mezzadra/Toni Negri
La candidatura di Alexis Tsipras, leader di Syriza a presidente della Commissione europea ha determinato in molti Paesi una positiva apertura di dibattito a sinistra, anche se in altri (primo fra tutti l’Italia) sembrano prevalere gli interessi di piccoli gruppi o “partiti”, incapaci di sviluppare un discorso politico pienamente europeo

di Alessandro Bianchi
ripresa da L'AntiDiplomatico proponiamo l’intervista Paul De Grauwe, Professore di Politica economica alla London School of Economics (autore di  "Economia dell'Unione Monetaria")

di Andrea Ligi
le differenze sociali con l’economia globalizzata è aumentata anziché diminuire. Cresce sempre più  il divario tra ricchi e poveri e lo sfruttamento sistematico dei soggetti sociali

di Paolo B. Vernaglione
La lezione “in rete” di Foucault apre un campo produttivo per la riflessione teorica a partire dalla differenza tra archeologia e genealogia


sabato 18 gennaio 2014

Manifesto sul futuro*

di Alex Williams/Nick Srnicek

“il capitalismo non può essere identificato come l’agente della vera accelerazione. Ma allo stesso modo valutare la politica di sinistra come antitetica all’accelerazione tecnosociale è, almeno in parte, una grave travisamento. Se davvero la sinistra vuole avere un futuro, deve essere quello in cui essa stessa abbracci al massimo la sua repressa tendenza accelerazionista”

1. Crediamo che la distinzione più importante della sinistra di oggi si trovi tra coloro che si attengono ad una politica del senso comune [folk politics] basata su localismo, azione diretta ed inesauribile orizzontalismo e coloro che delineano ciò che deve dovrebbe chiamarsi una politica accelerazionista, a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e tecnologia. I primi si ritengono soddisfatti con la creazione di piccoli spazi temporanei di relazioni sociali non capitalistiche, evitando i problemi reali connessi a nemici che sono intrinsecamente non locali, astratti, e profondamente radicati nelle infrastrutture di tutti i giorni. Il fallimento di tale politica è si trova fin dal principio costruito al suo interno. Al contrario, una politica accelerazionista cerca di preservare le conquiste del tardo capitalismo, e allo stesso tempo di andare oltre ciò che il suo sistema di valore, le sue strutture di governance e le sue patologie di massa permettano.
2. Tutti noi vogliamo lavorare meno. Sarebbe interessante sapere perché il più importante economista del mondo del dopoguerra credeva che un capitalismo illuminato si sarebbe inevitabilmente evoluto con una radicale riduzione delle ore di lavoro. In Prospettive economiche per i nostri nipoti (scritto nel 1930), Keynes predisse un futuro capitalista in cui le persone avrebbero ottenuto un orario di lavoro ridotto a tre ore al giorno. Quello che è invece successo è una graduale eliminazione della separazione tra lavoro e vita, con il lavoro che arriva a permeare ogni aspetto della fabbrica sociale emergente.
3. Il capitalismo ha iniziato a reprimere le forze produttive della tecnologia, o almeno, a dirigerle verso fini inutilmente limitati. Le guerre dei brevetti e la monopolizzazione delle idee sono fenomeni contemporanei che indicano sia il bisogno del capitale di superare la concorrenza, ma soprattutto l’approccio sempre più retrogrado del capitale alla tecnologia. Le conquiste propriamente accelerative del neoliberismo non hanno comportato meno lavoro e meno stress. E piuttosto che in un mondo di viaggi spaziali, choc futuristici e potenziale tecnologico rivoluzionario, viviamo in un tempo in cui l’unica cosa che si sviluppa sono gadget per consumatori leggermente migliorati. Riproduzioni implacabili dello stesso prodotto di base sostengono la domanda marginale al consumo a scapito dell’accelerazione umana.
4. Non vogliamo tornare al fordismo. Non ci può essere un ritorno al fordismo. L’età d’oro capitalista si basava sul paradigma di produzione dell’ordinato ambiente di fabbrica, dove il lavoratore (maschio) riceveva sicurezza e uno standard di vita minimo in cambio di noia mortificante e repressione sociale. Tale sistema si appoggiava ad una gerarchia internazionale fatta di colonie, imperi, e periferie sottosviluppate; una gerarchia nazionale di razzismo e sessismo; e una rigida gerarchia familiare di sottomissione femminile. Per tutta la nostalgia che molti possano provare, questo regime è tanto indesiderabile quanto il suo ritorno praticamente impossibile.
5. Gli accelerazionisti intendono liberare le forze produttive latenti. In questo progetto, la piattaforma materiale del neoliberismo non ha bisogno di essere distrutta. Ha bisogno di essere riconvertita verso obiettivi comuni. L’infrastruttura esistente non è una fase del capitalismo da distruggere, ma un trampolino di lancio verso il post-capitalismo.
6. Data la riduzione della tecnoscienza a schiava degli obiettivi capitalistici (specialmente a partire dalla fine degli anni ‘70), sicuramente non sappiamo ancora cosa un corpo tecnosociale moderno può. Chi tra di noi intravede quali potenzialità inutilizzate si nascondono nelle tecnologie già create? La nostra scommessa è che le vere potenzialità trasformative di molta della nostra ricerca tecnologica e scientifica rimangano inutilizzate e riempite di funzionalità attualmente ridondanti (o preadattamenti), le quali, se spostate oltre il miope socius capitalista, possono risultare decisive.
7. Vogliamo accelerare il processo dell’evoluzione tecnologica. Ma ciò di cui argomentiamo non è tecno-utopismo. Mai credere che la tecnologia sia sufficiente a salvarci. Necessaria sì, ma mai sufficiente senza azione socio-politica. La tecnologia e il sociale sono intimamente legati l’uno all’altra, e il mutamento dell’uno potenzia e reinforza il mutamento dell’altra. Laddove i tecno-utopisti sostengono che l’accelerazione automaticamente eliminerà il conflitto sociale, la nostra posizione è che la tecnologia debba essere accelerata proprio perché necessaria per vincere i conflitti sociali stessi.
8. Crediamo che qualsiasi post-capitalismo richieda una pianificazione post-capitalista. La fiducia nell’idea per cui, dopo la rivoluzione, la gente costituirà spontaneamente un nuovo sistema socioeconomico che non sarà un semplice ritorno al capitalismo, nel migliore dei casi è dettata da ingenuità e nel peggiore è dettata da ignoranza. Per superare questo problema, dobbiamo sviluppare sia una mappa cognitiva del sistema esistente, sia una immagine speculativa del futuro sistema economico.

giovedì 16 gennaio 2014

Le "raccomandazioni" perverse

di  Paolo Pini

La deregolamentazione del mercato del lavoro è l'altra faccia di quell'austerità che altro non ha fatto se non aggravare lo stato di crisi economica. Dai salari alla contrattazione, così le ricette dell'Unione europea hanno contribuito a mantenere viva la depressione

La “Lettera dei 15” e gli interventi che sono seguiti anche su Sbilanciamoci.info hanno rilanciato un confronto tra chi sostiene che oggi la priorità sia la sostituzione della politica di austerità europea con una politica di domanda che avvii una uscita dalla depressione, e chi invece sottolinea che questa strada non condurrà ad alcuna crescita del reddito e dell’occupazione se non si affrontano le questioni irrisolte dal lato dell’offerta, soprattutto nei paesi, come il nostro, che sono in ritardo a causa di riforme (strutturali) mal fatte o non fatte. Ho avuto modo di osservare nel mio intervento (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/L-austerity-uccide-il-malato-europeo-21524) che non solo le politiche di austerità espansiva e di consolidamento fiscale contribuiscono ad aggravare lo stato di crisi economica, ma anche talune politiche di offerta, coerenti con quelle macro dal lato della domanda, hanno comportato e contribuiscono a mantenere viva la depressione, per gli effetti che esse hanno sia sulla distribuzione del reddito e sulle disuguaglianze e di conseguenza sulla domanda, sia nel favorire una competizione sui costi di produzione, lavoro anzitutto, più che sull’innovazione. Queste politiche sono quelle sostenute da decenni da coloro che propugnano la tesi secondo la quale con la deregolamentazione dei mercati, dei capitali e del lavoro, aumenterebbe la concorrenza negli stessi a tutto vantaggio della crescita, con benefici per imprese innovative, fasce di popolazione escluse dal lavoro, consumatori di beni e servizi finali. Quelle che vengono denominate “riforme strutturali” sono il complemento alle deregolamentazioni dei mercati.
Un esempio sono le riforme strutturali nel campo cruciale del lavoro, su cui torno per argomentare che se da un lato la politica italiana ha evidenti responsabilità nell’aver determinato ciò che è stato chiamato in modo felice dai giuslavoristi la “deriva del diritto del lavoro” (http://www.insightweb.it/web/content/la-deriva-del-diritto-del-lavoro-0), dall’altro a tale deriva non era facile opporsi in quanto le “raccomandazioni dell’Europa” hanno molto contribuito a ciò, se non nelle specifiche forme che essa ha assunto, ma certo nelle direttive fondamentali. Due idee particolarmente “perniciose” qui segnaliamo in tema di salari econtrattazione, strettamente intrecciate.

mercoledì 15 gennaio 2014

Note sull’Europa

di Sandro Chignola

divenire-europei significa imporre da posizioni di forza, perché definitivamente sottratte al ricatto che demoltiplica il comando per mezzo della leva residua dei bilanci nazionali dei singoli Stati, politiche costituenti altre: altre grammatiche e altre sintassi politiche in grado di tradurre e di ridefinire continuamente, nella materialità della prassi e senza alcun riferimento trascendentale, forme e contenuti, teorie e pratiche, del comune

1. La crisi non è mai, politicamente, un momento risolutivo: essa innesca processi di ricomposizione sul lato dei poteri, e negli ultimi due anni la cosa si è fatta particolarmente evidente. L’uso che della crisi è stato fatto, in Italia e in Europa, è stato costituente di nuovi equilibri, dei quali ancora non tutto è chiaro, né può esserlo – ma forse qualcosa è possibile dire. In primo luogo,  che la crisi è stata gestita in modo molto efficace dalla Germania. Quella che abbiamo davanti come effetto della riorganizzazione dei poteri nella crisi è, di fatto, un’Europa tedesca, poiché  alcuni dei risultati più evidenti delle politiche monetarie orientate dalla Troika sono stati l’incremento delle esportazioni e il rafforzamento dell’economia della Germania, il potenziamento, trattato in termini di pure funzionalità tecniche, del ruolo politico della stessa, il “commissariamento”, ormai senza infingimenti, non solo dei governi nazionali dei Pigs e della Francia, ma dell’intero processo istituzionale della UE. Ulrich Beck ha definito questo tipo di azione, che ha colto le opportunità della crisi, un Merkiavellismo: connubio di ortodossia dello Stato nazionale e architettura dell’Europa, arte dell’esitazione e del rinvio come strategia di disciplinamento per le aree dell’UE a rischio default, primato delle preoccupazioni elettorali nazionali e cultura tedesca della stabilità, come costellazione di un reciproco rafforzamento di fattori. In secondo luogo, la crisi ha fatto evaporare il «giuridicismo» costituente della fase dei trattati e la possibilità del suo uso progressista. Di qui in avanti, qualsiasi discorso democratico-radicale (per noi la questione è risolta dal principio…) non può prescindere da questo dato, mi sembra: di diritto e di diritti – per lo meno quelli traducibili in istanze rivolte alla (e codificabili sulla base delle sentenze della) Corte di giustizia europea è meglio parlare con un po’ di cautela. Lo stesso per le virtù del proceduralismo: il diritto non è mai stato una lingua franca, così come politica ed economia sono sempre state l’una il rovescio dell’altra. Opporre, in nome della democratizzazione possibile, diritto e potere, diritto europeo e diritto nazionale, Stato e mercato, economia e finanza, è idea priva di senso – e, da un punto di vista politico, profondamente sbagliata. Mi sembra si debba decisamente prendere congedo dal lessico che ha animato il ciclo no global: una società civile da opporre al potere non c’è. Piuttosto, c’è da analizzare l’innesto di tecnologie giuridiche in profondità sui rapporti societari come mezzo per la loro scomposizione e riconfigurazione ai fini della valorizzazione capitalistica e di mercato.  Nondimeno,  dobbiamo posizionare tutte le nostre energie politiche e insorgenti nel campo dell’Europa, perché il quadro della crisi ha scavato meglio della più abile delle talpe sotto il suolo delle costituzioni nazionali. Qualsiasi campagna e qualsiasi dato di programma non potranno essere posizionati o essere ricavati che nella rottura, e dalla rottura del quadro novecentesco. Parlare di difesa del Welfare, del lavoro, della formazione, senza mettere a tema ed assumere questo punto di soglia è perfettamente inutile, mi sembra, del tutto perdente.

Il proibizionismo nuoce gravemente alla salute. 8 febbraio confronto e manifestazione a Roma

di Chiara Bastianoni/Guido Farinelli

Il proibizionismo è tornato al centro del dibattito politico, medico e sociale. Mentre dall'Uruguay al Colorado avanzano le politiche di legalizzazione, in Italia facciamo i conti con una legge liberticida, la Fini-Giovanardi. È arrivato il momento di abolirla e cambiare direzione

Nell'ultima settimana le tematiche legate alle politiche proibizioniste sono tornate a far discutere. Le nuove regolamentazioni in merito all'uso, al consumo e alla vendita di marijuana, che hanno interessato in maniera differente Uruguay e Colorado, hanno acceso la miccia dei botta e risposta dalle tribune politiche.
Assistiamo così (tra il divertito e l'inorridito) ad una serie di dichiarazioni da parte di noti esponenti di diversi partiti, dal PD a SEL passando per la Lega, che intavolano vere e proprie discussioni su media e social network. La domanda che prepotentemente sembra scuotere la vita politica e sociale del paese è: liberalizzare la cannabis, si o no?
Di fronte a questo ormai ricorrente enigma ognuno sente il dovere di dire la propria: c'è chi si riempie la bocca di apprezzamenti, auspicando che questo passaggio si compia il più presto possibile; vedi Nichi Vendola (SEL) o Luigi Manconi (Pd). C'è chi si dimostra possibilista attivando un acceso dibattito tutto interno al proprio schieramento, come abbiamo visto accadere addirittura nella Lega. Matteo Renzi (PD) ci ricorda che però è necessario mantenere una certa coerenza, e che il passaggio dal proibizionismo più efferato alla liberalizzazione della marijuana non è del tutto lineare. Non possono poi mancare le posizioni fermamente contrarie. Ignazio La Russa (Fratelli d'Italia), esprime tutta la sua avversità attraverso queste parole: ''Fintantochè Alleanza Nazionale sarà al governo, ogni ipotesi di cedimento alla cultura della morte e ogni apertura all'uso libero di droghe non avrà alcuna chance di riuscità'. Dichiarazione certamente singolare, se si pensa ad esempio a Stefano Cucchi o ad Aldo Bianzino, uomini che hanno pagato con la vita "l'applicazione discrezionale" della legge Fini-Giovanardi da parte delle forze dell'ordine.