di Guglielmo Ragozzino
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“Green Deal” oltre il Pil e nuovi indicatori di sostenibilità: biodiversità, patrimonio
culturale e paesaggistico, salute e ambiente, difesa del suolo e adattamento ai cambiamenti
climatici, filiera bioagroalimentare, ect. “L'ecologia dovrebbe essere la
politica principale dei prossimi dieci anni, per non distruggere, oltre al
capitale umano e sociale, anche il capitale naturale del nostro paese”
Sono
convinto che voi ne sappiate più di me di economia e di società, e proprio per
questo sono venuto qui, per imparare qualcosa: fatti reali, sprazzi di vita. Al
contrario di altri ho però avuto il compito e l’opportunità di dedicare un po’
di giorni per riflettere sull’economia e poi riferire quel che mi era sembrato
importante. Per spirito di servizio ho cercato di farlo. Ho capito che l’Europa
è un bell’intrigo e l’euro anche. Questa è una novità assoluta per i nostri
secoli: una moneta fortissima ma senza sovrano. Il mio intervento avrebbe
dovuto completare quelli ben più rilevanti di Carlo Donolo e Francesco
Ciafaloni. Anche per sentire loro sono arrivato qui. Di Donolo ho gli appunti
molto completi sui quali egli avrebbe sviluppato l’intervento a braccio. Un
volonteroso o una volonterosa potrebbe leggerli; Donolo sarebbe contento.
Altrimenti, peggio per lui.
A
me tocca tornare alla moneta fortissima che assedia un paese assai debole. Un
fatto che provoca serie conseguenze per i cosiddetti paesi Piigs, cioè quelli
della fascia povera del continente. Da molte stagioni, ormai da anni, non si
parla d’altro. L’Europa ricca ha deciso con il consenso e l’appoggio della
triplice costituita da Bce, Fondo monetario e Commissione di Bruxelles di
mettere in riga gli sperperatori, i falsari, i debitori incontinenti. Ci sono
tre regole d’oro da rispettare: un deficit annuo massimo non superiore al 3%
del prodotto interno lordo o Pil, un debito massimo pari al 60% del Pil,
l’obbligo di rientrare dal superamento del debito massimo ammesso per mezzo
punto percentuale ogni anno, fino al raggiungimento di quel massimo consentito.
Ne deriva una situazione assai grama, in qualche modo simile a quella dei paesi
indebitati del Sud del mondo negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.
Allora era il Fondo monetario, adesso è “l’Europa” a comandare. L’Italia deve
ridurre l’indebitamento annuo e quindi la spesa in deficit non le è consentita,
non può fare grandi investimenti pubblici keynesiani, diretti o indiretti. Per
ridurre il debito, non potendo aumentare la produzione e il Pil deve
risparmiare altri 40 o 50 miliardi all’anno, per quindici o venti anni. Con
meno investimenti, tagli nelle pensioni e negli stipendi pubblici, il risultato
è quello di tentare di portare al pareggio un paese esausto con ancora più
disoccupati, in particolare delle giovani generazioni.
Dopo
aver fatto questo quadro, gli economisti sgomenti francesi, autori di una serie
di libri diffusi in Italia da Sbilanciamoci in rete (www.sbilanciamoci.info/ebook) e
da Minimum fax in libreria, suggeriscono una serie di misure alla portata di
ogni paese non spaventato e capace di fare alleanze con altri paesi, come la
Francia. Dodici semplici passi, in tutto, quasi una lezione di ballo. Passo 1)
Disarmare i mercati finanziari (a partire dai derivati). 2) Far garantire i
debiti pubblici dalla Bce con titoli al 2% a 10 anni. 3) Rinegoziare i tassi
eccessivi (come quelli imposti ai comuni italiani). 4) Farla finita con la
concorrenza fiscale tra gli stati. 5) Vietare a banche e imprese l’uso dei
paradisi fiscali. 6) Separare le banche di deposito o commerciali dalle banche d’affari.
7) Far nascere banche pubbliche, incanalandovi il risparmio delle famiglie. 8)
Avviare la transizione ecologica con fondi raccolti dalle banche pubbliche del
punto precedente. 9) Costruire un bilancio europeo con tanto di Tobin Tax e
fiscalità ecologica. 10) Mettere in moto l’Europa: in agricoltura con un buon
uso del Pac, nella finanza, nella politica industriale, verso un’Europa
sociale. 11) Ridurre lo squilibrio attraverso un coordinamento europeo. 12)
Scrivere un trattato europeo che abbia la democrazia come obiettivo centrale.
Qualcuno dirà che non è un programma efficiente, ma è provato che neppure
quello corrente lo è; quello dei francesi sgomenti almeno ha una faccia
sorridente, è meno rancoroso e potrebbe perfino funzionare. Un libro dei sogni,
o meglio un libro della speranza, come avrebbe detto il nostro amico Guido
Martinotti.
La
fase di costruzione del nostro governo ha lasciato molto a desiderare. È
prevalsa la scelta della governabilità, difficile da raggiungere e se ne è
pagato un prezzo elevato. Sono riapparse vecchie abitudini, gelosie e paure che
sembravano sopite. In conclusione, Enrico Letta ha fatto un lungo discorso
presentando il suo governo alla Camera dei deputati (e dandolo per letto al
Senato), ma non ha convinto. Ha parlato di Europa e debito, di leggi
elettorali, di banche e finanza – le offerte vantaggiose di un catalogo – ma ha
solo sfiorato temi qualificanti; forse non poteva spingersi troppo in là o
forse non li conosceva. A nostro avviso il discorso era carente soprattutto in
tema di ambiente e compagnia bella, visti piuttosto come un intralcio nel
cammino della grande politica. La grande politica è estranea, a noi che stiamo
parlando, certo non a voi che ascoltate, mentre l’ambiente lo abbiamo a cuore.
Ne vorremmo trattare nella parte finale di questo intervento.
Né
mitigazione, né adattamento esistono per Letta, come non esiste – o se esiste,
conta poco – la green economy. I relativi passaggi, molto brevi e superficiali,
sono soltanto due: oltre all’alta tecnologia bisogna investire risorse su
ambiente ed energia. E questo in sé non è sbagliato, ma troppo poco. E come
investire? Così: “Le nuove tecnologie – fonti rinnovabili ed efficienza
energetica – vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando
la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un’ottica
organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori
energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici
dei paesi europei confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il
completamento del cosiddetto market
coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con
quelli europei e la trasformazione del nostro paese in un hub. È chiaro che
episodi come quello dell’Ilva di Taranto non sono più tollerabili.
L’altra
grande risorsa è l’Italia stessa. Bellezza senza navigatore. La nostra tendenza
all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita
all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le
nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. È per questo che
uno dei primi atti del governo sarà quello di nominare il Commissario unico per
l’Expo, una grande occasione che non dobbiamo mancare. A questo fine nei
prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto per partire per l’ultimo
miglio di questo evento strategico….
Per
questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti.
Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una
scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore
dello sviluppo, o sulle straordinarie realtà dell’agro-alimentare. Questo
significa valorizzare e custodire l’ambiente, il paesaggio, l’arte,
l’architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture stradali,
ferroviarie, portuali e aeroportuali.”
Cosa
pensa il presidente del consiglio dell’Ilva di Taranto? Perché non è più
tollerabile? Non viene detto. È il massimo dell’ambiguità, oppure è la semplice
affermazione di essere al corrente che vi è un problema; lo statista per
definizione sa tutto, sa che Taranto esiste. Poi c’è l’Italia tutta come hub
del gas: una risorsa per l’Europa. Un problema è anche l’expo di Milano; un
problema che emerge, il rischio di mostrare poca efficienza; insomma un
problema di calibratura politica, una possibile cattiva figura con gli
stranieri e i visitatori; oltre all’expo c’è il turismo consapevole e poi una
macedonia di paesaggio, arte, eccellenze enogastronomiche e infrastrutture
trasportistiche. Parole imprecise e generiche al punto che potevano essere
usate, in vari contesti anche 10 o 20 o 30 anni in ogni sorta di discorso
d’occasione.
Abbiamo
visto che l’obiettivo della politica lettiana o se preferite diletta (la
politica diletta) è la riduzione del disavanzo pubblico; l’ambiente non è cccosa… Monti ha solo cominciato, ora
bisogna proseguire; non conta che ci sia stato, l’anno scorso in aprile, un
voto compatto dei Parlamento, tanto compatto che non è neppure servito il
referendum necessario in caso di modifiche alla Costituzione con maggioranze
ridotte. L’Europa ha ottenuto che il Fiscal
compact diventasse legge, che entrasse perfino nelle Costituzioni,
all’articolo 81 nel nostro caso.