giovedì 16 agosto 2012

Temariando di mezz’estate

di Toni Casano

Nelle more della ripresa settembrina vogliamo fare il punto sui temi salienti trattate nelle nostre pagine, questioni calde quanto la calura di questa estate e che si annuncia ancor più infuocata nei mesi a venire non più per cause meteorologiche, bensì per gli effetti sociali provocati dalla crisi nei paesi dell’eurozona. Certo, da troppo tempo (un anno sì e l’altro pure) si è evocato il ritorno del mitico “autunno caldo”. Forse in questo caso, però, data l’acutizzazione della crisi finanziaria-UE che si riverbera inesorabilmente sulle condizioni reali sempre più precarie delle vite delle genti e non trovando sbocchi istituzionali più avanzati di là dagli egoismi nazionali, non sarà inopportuno immaginare effettivamente un nuovo autunno caldo nel vecchio continente e, in particolare, nell’area mediterranea dei suoi paesi rivieraschi europei

martedì 14 agosto 2012

Sesto manifesto del Gulliver russo

(nota a cura di Sparajurij -Atti Impuri)

Dal caos torbido degli anni Novanta, i lichie devjanostye (i duri, folli, sfrontati anni Novanta) ci si aspettava che la Russia ricominciasse a produrre pagine di invenzione e reinvenzione del mondo sfuggendo alle insidie portate dalle leggi di mercato dell’industria culturale. Quando ne è stata capace ha espresso la terribile verità del presente con mezzi visionari ed esplosivi. Uno dei recentissimi esempi è rappresentato dal collettivo letterario Gulliver russo. Gulliver russo nasce nel 2005 con la convinzione che la scrittura possa ancora essere uno strumento potente di intervento. A conferma di questa idea si affianca il lavoro editoriale: non una semplice casa editrice, ma una comunità di intellettuali che tentano di restituire forza alla letteratura, ridarle “l’energia, la capacità di aiutare e salvare”, in sintonia con la migliore esperienza del samizdat. Ed è presente anche una “mitopoiesi” che attinge alla filosofia del cosmismo russo, alle ambiziose idee di Fedorov sulla resurrezione dei morti e l’immortalità dei vivi, alla noosfera di Vernadskij, all’etnosfera di Gumilev, alle scoperte di Konstantin Ciolkovskij, pioniere dell’aeronautica e dell’astronautica, e all’eliobiologia di Aleksander Čiževskij, dunque un progetto profondamente russo. (Il Sesto manifesto del Gulliver russo è apparso su  “Atti Impuri”, vol. 3.)

E COSÌ IL POETA CONTEMPORANEO (L’ARTISTA DELLA PAROLA) DEVE:
•CREARSI L’IMMAGINE GIUSTA, SCEGLIERE L’ORIENTAMENTO SESSUALE, L’APPARTENENZA POLITICA, LA NAZIONALITÀ, DIVERSA DA QUELLA TITOLARE
•AVERE UN PROPRIO BLOG E UNA VASTA RETE DI AMICI PRONTI A DIFENDERTI IN CASO DI NECESSITÀ O A STABILIRE LA QUALITÀ DEI TUOI VERSI PER VOTAZIONE DIRETTA
•ESSERE IN DISACCORDO CON LE ATTIVITÀ DEL REGIME AL POTERE, PRENDERE PARTE AD AZIONI DI PROTESTA E AD ALTRE ESTERNAZIONI DELLA VOLONTÀ DELLA MINORANZA
•SMUOVERE LE ACQUE NEI LIMITI DEL DECORO E DEI MODI GENERALMENTE CONDIVISI
•AVERE UN PR O UN AGENTE, UNA FEDELE E NON PIÙ GIOVANE DONNA IMPEGNATA NEI MEDIA
•LAVORARE NEI MEDIA, IN CASI ESTREMI, IN BANCA O IN UN’AGENZIA DI ASSICURAZIONI
•AVERE ACCESSO, IN OCCIDENTE, AI FINANZIAMENTI PER LA CULTURA; INTRATTENERE BUONI RAPPORTI CON GLI ENTI MINISTERIALI, CON IL GOVERNO DI MOSCA E LE PROVINCE
•ESSERE IN BUONI RAPPORTI CON I REDATTORI DELLE RIVISTE LETTERARIE UFFICIALI, DIVENTARNE OTTIMI AMICI O, SE NECESSARIO, IL LORO FEDELE RIN TIN TIN
•CONOSCERE LE LINGUE, COLLABORARE CON I TRADUTTORI: SCRIVERE IN MODO SEMPLICE E TRADUCIBILE NON SOLO PER I CONNAZIONALI, MA ANCHE PER GLI STRANIERI
•FARE AMICIZIA CON ARTISTI, MUSICISTI E CON I CURATORI DELLE FIERE INTERNAZIONALI DELL’ARTE
•PRENDERE PER REALI LE COSE, DIMENTICARE L’ASSOLUTO METAFISICO E IN GENERALE “NON TIRARSELA” E “SCRIVERE COME SI MANGIA”
•VIVERE IN MODO AGIATO E MORIRE, INFINE, SULLA TAZZA DEL WATER

Il Gulliver russo è categoricamente contrario a questa pratica, sebbene capisca che dopo la morte sul water di Elvis Presley, il re del rock ’n’ roll, la moda si è largamente diffusa. Il water (orinatoio) osannato dagli artisti del passato serve solo a consolidare nel poeta questa fede funesta […].
Ma perché morire sul cesso quando c’è sempre la possibilità di perire in battaglia o bruciati sul rogo? Potete calcolare le vostre mosse tutta una vita, ma la morte dovrà essere eroica. È l’unico modo rimasto per esprimervi con forza! Lasciate che vi si sotterri vivi, come Gogol’! Fuggite di casa da vecchi come Tolstoj! Gettatevi sotto un cavallo, sotto un treno! Annegate in un pozzo di petrolio! Scioglietevi nell’azoto liquido! Smarritevi sotto i ghiacci invernali senza riserva d’ossigeno nella bombola! Trovate una morte che il popolo tutto tremi. Altrimenti nessuno vi noterà! Tra i vivi si sta stretti, anche tra i morti. È efficace solo il momento di passaggio. Il momento della verità. Se vi dicono che tutti i Gulliver russi non ce l’hanno fatta e sono morti sul water, non credetegli! Sarà con ogni probabilità una calunnia. Ma se dovesse succedere, non seguite il nostro esempio, sceglietevi una morte intelligente! O meglio ancora non morite. Vivete eternamente!
(traduzione di Elisa Alicudi)

Fonte: http://www.alfabeta2.it

lunedì 13 agosto 2012

Dichiarazione di chiusura al processo delle Pussy Riot*

di Yekaterina Samutsevich
imputata del gruppo punk femminista Pussy Riot

Il processo contro il gruppo punk femminista Pussy Riot ha attirato una grande attenzione in tutto il mondo. É invece meno conosciuto, ma altrettanto grave e importante, il fatto che almeno altri venti compagni delle mobilitazioni contro Putin sono in carcere o in stato di detenzione, aspettando un “processo” fabbricato attraverso false accuse dopo i violenti scontri con la polizia dello scorso 6 maggio
Nella dichiarazione di chiusura ci si aspetta che l’imputato si penta, provi rimorso per quello che ha fatto o elenchi le circostanze attenuanti. Nel mio caso, così come in quello delle mie compagne del gruppo, è completamente inutile. Voglio invece dar voce ai miei pensieri rispetto alle ragioni che stanno dietro a ciò che ci è successo.
Che la Cattedrale del Cristo Salvatore sia diventata un simbolo significativo nella strategia politica delle autorità era chiaro a molte persone pensanti quando il precedente collega [nel KGB] di Vladimir Putin, Kirill Gundyayev, è diventato capo della Chiesa ortodossa russa. Dopo di che la Cattedrale del Cristo Salvatore ha iniziato a essere apertamente utilizzata come uno sfondo appariscente per la politica delle forze di sicurezza, che costituiscono la principale fonte di potere [in Russia].
Perché Putin sente il bisogno di sfruttare la religione ortodossa e la sua estetica? Dopo tutto, egli avrebbe potuto impiegare i suoi strumenti di potere, decisamente più secolari – per esempio, le imprese controllate dallo Stato, o il suo minaccioso sistema poliziesco, oppure il suo obbediente sistema giudiziario. Può darsi che le dure e fallimentari politiche del governo Putin, l’incidente del sottomarino Kursk, il bombardamento di civili alla luce del giorno e altri spiacevoli momenti della sua carriera politica lo abbiano costretto a riflettere sulla possibilità che fosse venuto il momento di dare le dimissioni; altrimenti, i cittadini russi lo avrebbero aiutato a farlo. Apparentemente, è stato allora che ha sentito il bisogno di garanzie più persuasive e trascendenti per la sua lunga permanenza al vertice del potere. É stato allora che è diventato necessario fare uso dell’estetica della religione ortodossa, che è storicamente associata al massimo splendore della Russia imperiale, quando il potere veniva non dalle manifestazioni terrene come le elezioni democratiche e la società civile, ma da Dio stesso.
Come ha fatto? In fondo noi abbiamo ancora uno Stato laico e ogni intersezione delle sfere religiose e politiche dovrebbe essere trattato con severità dalla nostra società vigile e dotata di spirito critico, non è vero? Qui, apparentemente, le autorità hanno approfittato di un certo deficit dell’estetica ortodossa in epoca sovietica, quando la religione ortodossa aveva un’aura di storia perduta, qualcosa che era stata schiacciata e danneggiata dal regime totalitario sovietico, e dunque rappresentava una cultura di opposizione. Le autorità hanno deciso di appropriarsi di questo effetto storico di perdita e di presentare un nuovo progetto politico di restaurazione dei valori spirituali russi smarriti, un progetto che ha poco a che fare con una genuina preoccupazione per la preservazione della storia e della cultura ortodosse in Russia.
É stato anche abbastanza logico che la Chiesa ortodossa russa, visti i suoi legami mistici e di lunga data con il potere, emergesse come il principale esponente del progetto sui media. É stato deciso che, diversamente dall’era sovietica, quando la chiesa si è opposta innanzitutto alle brutalità delle autorità verso la storia stessa, la Chiesa ortodossa russa dovrebbe ora confrontarsi con tutte le perniciose manifestazioni della cultura di massa contemporanea e con il suo concetto di diversità e tolleranza.
La realizzazione di questo progetto interamente politico ha richiesto considerevoli quantità di illuminazione professionale e di attrezzature video, lunghe ore di diretta sulle televisioni nazionali, e numerosi sfondi per nuove storie moralmente ed eticamente edificanti dove poter presentare i discorsi ben costruiti del Patriarca, aiutando così i fedeli a fare la scelta politica corretta durante i tempi difficili che Putin ha attraversato prima della elezioni. Inoltre, il film deve essere continuativo, le immagini necessarie devono essere bruciate nella memoria, bisogna dare l’impressione di qualcosa di naturale, costante e obbligatorio.
La nostra improvvisa apparizione nella Cattedrale del Cristo Salvatore con la canzone “Madre di Dio, caccia Putin” ha violato l’integrità dell’immagine mediatica che le autorità hanno speso così tanto tempo a fabbricare e mantenere, e ha rivelato la sua falsità. Nella nostra performance abbiamo osato, senza la benedizione del Patriarca, unire l’immaginario visuale della cultura ortodossa e quello della cultura di protesta, suggerendo così alle persone intelligenti che la cultura ortodossa appartiene non solo alla Chiesa ortodossa russa, al Patriarca e a Putin, e che potrebbe anche allearsi con la ribellione civile e con lo spirito di protesta in Russia.
Forse l’effetto sgradevole e di vasta portata della nostra incursione mediatica nella cattedrale è stata una sorpresa per le stesse autorità. All’inizio hanno provato a presentare la nostra performance come uno scherzo giocato da atei militanti e senza cuore. É stato un grave errore da parte loro, perché a quel punto eravamo già conosciute come un gruppo punk femminista anti-Putin che effettua i suoi assalti mediatici contro i principali simboli politici del paese.
Alla fine, considerando tutte le irreversibili sconfitte politiche e simboliche causate dalla nostra innocente creatività, le autorità hanno deciso di proteggere il pubblico da noi e dal nostro pensiero non conformista. Così è finita la nostra complicata avventura punk nella Cattedrale del Cristo Salvatore.
Ora ho sentimenti contrastanti su questo processo. Da una parte, ci aspettiamo un verdetto di colpevolezza. Rispetto alla macchina giudiziaria noi non siamo nessuno, e abbiamo perso. Dall’altra parte, abbiamo vinto. Il mondo intero adesso vede che il procedimento penale contro di noi è stato fabbricato. Il sistema non può nascondere la natura repressiva di questo processo. Ancora una volta, il mondo vede la Russia in modo differente da come Putin cerca di presentarla nei suoi quotidiani incontri internazionali. Chiaramente, nessuno dei passaggi che Putin aveva promesso verso lo stato di diritto sono stati fatti. E la sua affermazione secondo cui questo tribunale sarà obiettivo ed emetterà un verdetto giusto è l’ennesimo inganno verso il paese e la comunità internazionale. Questo è tutto. Grazie.

* pubblicato in inglese su chtodelat news




mercoledì 8 agosto 2012

200 città contro gli sfratti. Ottobre mese delle “Giornate Mondiali Sfratti Zero”

da controlacrisi.org

10 ottobre 2012 giornata di mobilitazione nazionale solidale perché gli sfratti diventino questione nazionale. Il prossimo settembre a Napoli (dal 3 al 7) si terrà l’ FSU - Forum Sociale Urbano internazionale, in alternativa al Foro Urbano Mondiale di ONU–Habitat. Sarà una tappa del percorso di confronto a livello non soltanto nazionale, sviluppando le linee di intervento su scala planetaria

I mass media hanno dato grande risalto ai dati sugli sfratti 2011 oggetto di un’apposita rilevazione da parte del Ministero dell’interno: circa 64.000 nuove sentenze di sfratto emanate, di cui circa 56.000 per morosità, con un’incidenza dell’87% sul totale che, ad esempio in Lombardia e Veneto, si avvicina al 100%. Sempre nel 2011, le richieste di esecuzioni con la forza pubblica sono state oltre 123.000, di cui ben 29.000 eseguite. Di fatto, in Italia circa 140 famiglie sono sfrattate ogni giorno con la forza pubblica, mentre ci sono sconosciuti i dati di coloro che lasciano l’alloggio senza aspettare la forza pubblica.
Queste cifre drammatiche sottolineano l’impatto della crisi, e stridono con l’assoluta assenza di politiche abitative pubbliche, degne di tale nome, che siano, non solo capaci di garantire il passaggio da casa a casa per gli sfrattati (tutti) ma anche di affrontare il tema del caro affitti e della precarietà abitativa, che non si può certo circoscrivere alla pur importante e significativa quota di famiglie, 650.000, collocate nelle graduatorie comunali per l’accesso a case a canone sociale.
Si tratta di numeri terrificanti che dimostrano come, la pur generosa azione e attività di tanti, comitati, movimenti, centri sociali, sindacati, impegnati in picchetti antisfratto, o degli stessi enti locali, non riesce a reggere l’urto di un numero di esecuzioni di tale portata.
Questo tsunami sociale non riesce a smuovere un’iniziativa politica nazionale e, spesso, la generosissima attività di centinaia e centinaia di compagne e compagni, di contrasto fisico degli sfratti, resta relegata alle cronache locali.
Ma non è vero che i governi che si sono succeduti fino ad oggi non abbiano attuato politiche abitative, anzi, solo che sono state rivolte a rispondere alle esigenze delle lobby della rendita e della speculazione immobiliare con azioni di cementificazione del territorio del tutto estranee alle esigenze dei soggetti oppressi dalla precarietà abitativa.
Manca del tutto l’impatto politico della questione sfratti, dalla quale dovrebbero discendere una serie di progetti e programmi pubblici di forte impatto a livello locale, regionale e nazionale.
Se la questione sfratti non impatta come questione nazionale non potrà mai entrare nell’agenda politica, perciò i sottoscritti: associazioni, movimenti, sindacati, amministratori e singoli, ritengono necessario lanciare una giornata nazionale di mobilitazione coordinata, indipendente e unitaria che ponga al centro dell’iniziativa la questione sfratti con l’obiettivo di farla diventare questione nazionale.

I diritti non si meritano, ci riprenderemo tutto!

Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e provincia

-NO MONTI, NO PROFUMO, contro tagli e piani di riforma, save school not banks!
-#STOPMERITO, spacciano diritti come fossero favori, I DIRITTI NON SI MERITANO!
-#STOPCONTROL, nè buoni nè cattivi, tenetevi premi e schedature, CI RIPRENDEREMO TUTTO!
-web, informazione e programmi scolastici, SAPERI RIBELLI CONTRO IL SISTEMA DI CONTROLLO!
-FREE EDUCATION, FIGHT THE SYSTEM, contro caro libri, caro mezzi e caro vita

Un appello a tutte le città per il primo corteo autonomo nazionale - venerdì 5 ottobre 2012  Milano, Piazza Cairoli ore 9.00 - promosso dall'assemblea in valle al campeggio nazionale degli studenti medi autonomi in Val Susa. Tutti in piazza contro i piani dei "tecnici del debito" del Governo-Monti: riforma-Profumo, debito, tagli, austerity

In questa nuova fase di globale dittatura finanziaria i governi mondiali, complici di banchieri e tecnici, calpestano i diritti di 7 miliardi di persone applicando continue politiche di austerity dettate dalla finanza internazionale.
In tutto il mondo ormai la crisi grava sempre di più sulle spalle della gente, dalla Grecia al Cile, dalla Spagna al Canada, i continui tagli a cultura e liberi saperi, l’ aumento del costo della vita e dei servizi corrodono giorno per giorno il reddito delle famiglie. In Italia si contano oltre 8 milioni di persone povere o poverissime.
Ancora una volta a pagare la crisi sono sempre i soliti, e ancora una volta la scuola resta luogo di costruzione e progettazione di opposizione e conflitto contro un modello economico e sociale che tenta di riprodursi a scapito di chi già sta pagando questa crisi.
La scuola infatti come luogo di costruzione di alternative dal basso spaventa chi come il ministro Profumo mira a mettere in atto l’ennesima riforma per garantire privilegi ai soliti.
Un progetto di riforma all’insegna del merito, che nei fatti nasconde un progetto che si pone l’obbiettivo di garantire un’istruzione di qualità, già conforme ad un modello di società soggiogata dalle logiche di mercato, solo a quelli che hanno gli strumenti, cioè a coloro che possiedono un certo livello di reddito.
Piani che alimentano la competitività tra gli studenti attraverso premi come l’ammissione a classi speciali dette “master class”, a cui solo i 3 vincitori delle olimpiadi scolastiche o di altre competizioni controllate dal governo potranno accedere.
Una riforma che punta al controllo di ogni singolo studente attraverso nuovi metodi di controllo, come ad esempio “il portfolio dello studente”, un database online contenente i dati del percorso scolastico dello studente e i titoli conseguiti grazie al “master class”, i titoli di “studente dell’anno”, le certificazioni di lingue e quelle informatiche, una schedatura che inizia a 7 anni e confluisce nel curriculum vitae.
Un Portfolio consultabile anche da soggetti imprenditoriali, permettendo alle imprese di avere costantemente sotto controllo il percorso formativo dello studente, trasformando il percorso di studio in carriera.
Viviamo ormai in un paese in cui giorno per giorno attraverso Spending review, sistemi di controllo, tagli, riforme, precariato, corrodono e rendono sempre meno accessibili scuola, cultura e liberi saperi.
In un paese in cui governi e tecnici spacciano diritti come fossero favori, ancora una volta è nostro dovere riprenderci ciò che ci spetta, la nostra opposizione a questo governo e a questo modello di sviluppo resta forte e determinata. In quest’ ottica lanciamo la prima data di mobilitazione studentesca nazionale autonoma venerdì 5 ottobre 2012.

sabato 4 agosto 2012

Taranto, il paradosso del treruote: una storia di alternativa

di Francesco Ferri*

avevamo segnalato il link del precedente articolo di Ferri -Taranto, reddito vs lavoro- nella nostra nota redazionale di accompagnamento al contributo di Antonio Musella (vedi sotto), in ordine all’affaire-Ilva che tiene banco nella discussione del movimento e sulle pagine dei massmedia nazionali. La vicenda chiaramente, come dimostra la cronaca politica che segue, non è soltanto una lotta per la difesa del posto di lavoro. La posta in gioco è ben più alta: salute, ambiente, reddito, rappresentanza, autoorganizzazione etc. Insomma sono i temi ineludibili su cui dovrà misurarsi una possibile soggettività costituente alternativa alle forme tradizionali

Due emozioni distinte segnano il tempo di una mattinata intensa, quella del 2 agosto, che genera un possibile punto di non ritorno per i movimenti – non solo locali – e un’opportunità per tutti, con la contestazione diretta al comizio unitario delle organizzazioni sindacali e la forte presa di parola collettiva di un comitato nato tutto al di fuori delle rappresentanze politiche e sindacali.
La prima emozione – un insieme di tensione, attesa per il divenire moltitudine e fiducia nel possibile – avvolge l’aria intorno al punto di ritrovo degli eretici, estranei alle litanie dei dirigenti sindacali e politici. È il segno palpabile di un desiderio che si realizza collettivamente, prende forma in uno spezzone autonomo rispetto al discorso dominante e si mette in cammino.
La seconda sensazione ha invece il segno chiaro e limpido di un lunghissimo istante di gioia, capace di avvolge tutti coloro che, dopo la possente presa di parola collettiva, proseguono il corteo lungo via D’Aquino, si incontrano in Piazza Giordano Bruno e, sulle note dei 99 Posse e di Rino Gaetano, si perdono in salti ritmati, abbracci tra estranei e pianti di libertà.
In mezzo c’è stato il manifestarsi di un evento, cosi chiaro e limpido che per una volta anche i tentativi di narrare altro rispetto alla realtà, attribuendo l’esito della giornata a poche centinaia di persone, ai cobas, e ai centri sociali, viene travolto dall’emersione di un discorso di verità così netto e rigoroso da rendere infruttuoso il triste chiacchiericcio dei contestati.
Un gruppo disomogeneo di operai (aumentati esponenzialmente con l’avanzare del corteo) insieme ad altre categorie professionali, disoccupati, precari e studenti e ha prima preteso e poi preso la parola, durante il comizio conclusivo della manifestazione intersindacale. Nessun atteggiamento brutale, nessun comportamento barbaro, nessuna prepotenza: solo l’avanzare preciso e inarrestabile di una moltitudine in divenire che, senza titubanze, tra gli applausi di una rilevante parte della piazza sindacale (come riportato da giornalisti locali e nazionali non allineati) si è materializzata davanti ad un palco tremendamente distante, sordo, vuoto. Per una volta, anche Repubblica è costretta ad ammettere come non fosse presente “nessun black bloc, né no global. La contestazione alla manifestazione di Cgil Cisl e Uil ha le facce stanche di operai Ilva”.
Ciò che resta della giornata di mobilitazione è l’emersione di un discorso di dignità, cosi preciso, spontaneo e netto, da coinvolgere nella contestazione anche chi era in piazza per ascoltare i sindacati, addirittura qualcuno del servizio d’ordine della Cgil. Non solo: allo stesso tempo la giornata del 2 segna l’inizio di una narrazione autogestita dei propri desideri da parte dei tantissimi che, dopo il proprio intervento politico, scelgono di celebrare altrove, in forma separata, i propri riti, disertando la piazza del comizio dei sindacati, che inesorabilmente si svuota.

venerdì 3 agosto 2012

Noticine sulla rappresentanza politica e sindacale

di Pietro Ancona

È stato in passato il segretario della Cgil siciliana, oggi continua ad essere una delle poche voci critiche della sinistra dell’isola, capace di mettere in discussione la tradizione e di misurarsi con le nuove questioni che insorgono nel conflitto capitale/lavoro. Con le sue “noticine”, con la verve del buon sindacalista di razza, interviene sui temi dell’attualità che attraversano in questi giorni il dibattito politico: il riposizionamento del leader della sinistra istituzionale – il governatore pugliese- e la contestazione dei leaders sindacali in quel di Taranto, nel corso della manifestazione degli operai-ILVA
Attrazione fatale di "nu bravu guaglione!" - Di fronte alla stupefacente posizione assunta da Vendola che si allea con Bersani e si candida alle primarie mi sono chiesto per quale motivo persone che sono culturalmente assai avvertite e che vengono da una lunga esperienza politica nel luogo più alto in cui questa si vive che è la sinistra ed il socialismo abbiano questa irresistibile predisposizione a rinnegare a rinunziare alla loro storia per stare dalla parte di quanti oggi considerano vincenti: la destra e dei liberisti. La risposta che mi sono dato è che ritengo sia quella giusta è squallida: sono disposti a tutto ad allearsi con Casini perchè la politica è diventata un luogo di privilegiati, un Olimpo di una Casta di Speciali per persone che sono oramai staccate dal movimento reale della società e che vivono in un mondo separato che è quello degli organismi politici. L'alternativa che vedono ad un confortevole seggio parlamentare è l'underground degli esclusi, il buio delle catacombe. Nessuno vuole più attraversare il deserto e coloro che sono nel deserto smaniamo per uscirne. Tutto il sistema istituzionale e massmediatico preme per l'omologazione alla destra. Se Vendola dice si a Bersani e a Casini viene allisciato da Napolitano e dal massmedia che gli fanno credere di essere davvero "nu bravu guaglione!" Se dice no lo considerano appestato del morbo dell'estremismo che è appena ad un passo dal terrorismo.. Questo terrorizza quanti sono ambiziosi e vogliono far carriera...Qualcosa si è spezzato nel meccanismo politico Gli apparati e le singole persone si muovono indipendentemente dal movimento della società civile, La società civile, "la base" non conta più nulla. Lo stesso vale per il sindacato. Vedi l'attrazione fatale che ha portato Landini nelle braccia della Camusso e dei suoi compari Angeletti e Bonanni.

Referendum o Class Action subito! - La contestazione che è stata fatta alla triade ABC (Angeletti, Bonanni, Camusso) da una parte dei lavoratori tarantini è sacrosanta. C'è un profondo malessere operaio che può esplodere soltanto in certe occasioni nelle piazze e che deriva dalla passivizzazione della base del sindacato che deve subire gli accordi che i vertici nazionali stipulano spesso scavalcando anche i sindacati di categoria come viene fatto sistematicamente con i pensionati che pur essendo potenti non contano una cippa e debbono soltanto raccogliere deleghe e divulgare il Verbo della Loro Confederazione. I lavoratori non hanno nessuna sede dove fare prevalere le loro ragioni. L'autoritarismo dei sindacati è fortissimo e pervasivo delle strutture.
L'Italia ha un problema grossissimo che si chiama democrazia sindacale. Tutti gli accordi dovrebbero essere sottoposti all'approvazione per referendum dai lavoratori. Cosa che non avviene mai oppure soltanto quando conviene al padrone (vedi Fiat).
Quindi ci vuole una legge di regolamentazione del sindacato italiano. Una legge che si occupi anche dei loro bilanci che non destinano neppure un centesimo di euro alla solidarietà contrariamente a quando fanno altri sindacati nel mondo. Eppure sono sindacati ricchissimi. Io stesso ho una trattenuta dalla mia pensione anche se non sono mai stato onorato di ricevere una tessera o di essere invitato ad un congresso.
Credo che se i sindacati dovessero resistere nel loro autoritarismo si dovrebbe promuovere nei loro confronti una class action e chiedere ai giudici il disconoscimento di tutti gli accordi che non sono stati ratificati.

giovedì 2 agosto 2012

Crisi, soggettività e terza via. Per la coalizione dei centri sociali

da Global Project

A Padova, negli spazi dello Sherwood Festival, lo scorso 8 luglio si è tenuta una assemblea informale tra molte realtà di centri sociali provenienti da varie zone d’Italia. Quello che segue è un documento di sintesi della discussione, che è la base per far circolare il dibattito, anche fra chi non c’era. Alla fine una proposta: seminario/meeting a Jesi (AN) il 28,29,30 settembre

La crisi, o la rete di crisi articolate e convergenti nel quale siamo immersi, ci impone un continuo sforzo di rielaborazione. Per dirla in altri termini se non abbracciamo né le teorie del “crollo” capitalistico né quelle che intravedono il ritorno di un riformismo neokeynesiano dietro l’angolo, dobbiamo necessariamente insistere sulla crucialità della soggettività nel costruire l’alternativa. Ma per poter ragionare di questo serve un punto di vista condiviso, appunto, tra soggettività. Non esiste la soggettività “di per sé”, determinata solo dall’accumulo di storia condivisa e similitudini di discorso. La costruzione del pensiero e dell’azione politica è la negazione del primato dello spontaneo e dell’imprevisto, a scapito di ciò che è organizzato. Le teorie deboli infatti contrappongono questi due grandi nodi dell’azione collettiva, del farsi movimento. Chi si organizza, chi lavora troppo sulla propria soggettività, vuol dire che non sa cogliere le novità dei comportamenti sociali; di contro chi invece è concentrato troppo sulla lettura, spesso più sociologica che politica, della fenomenologia del vivere sociale, si abbandona all’idea che basti osservare e farsi trasportare dal flusso, e non di rado si illude che per guidarlo basti saperlo descrivere. Noi crediamo che ambedue questi estremi siano modi di intendere l’essere “soggettività in movimento” non soddisfacenti, e comunque figli legittimi di quel determinismo, che alla lunga la soggettività la distrugge. Non vi è molta differenza tra chi non è capace di pensare che bisogna essere sempre disposti a cogliere l’attimo, a stare dentro ciò che accade per sapere realmente cosa accade e per tentare di capire perché, e chi invece si abbandona a ciò che è già accaduto, e quindi non può che essere trasportato dagli eventi senza mai porsi il problema che il corso delle cose può essere cambiato soggettivamente. Noi riteniamo necessario non essere né l’uno né l’altro. Costruire una forte soggettività a partire da ciò che siamo e pensiamo, quindi capace di esercitare azione politica e modificare ciò in cui siamo immersi, e allo stesso tempo dotarla di quelle qualità necessarie a non trasformare l’identità in ghetto, la convinzione in autosufficienza. Come per la crisi tra “crollisti” e “neo-riformisti”, anche per la soggettività in movimento scegliamo la terza via, tra “tradizionalisti” e “nuovisti”, tra “autistici” e “semiotici”. Abbiamo bisogno di elaborare collettivamente una nuova teoria della soggettività in movimento che ci permetta di essere adeguati a ciò che abbiamo di fronte, ed è uno scenario completamente nuovo per quanto riguarda il sistema economico e politico dominante, come naturalmente per ciò che concerne l’organizzazione e la qualità dello sfruttamento. E’ per questi motivi che abbiamo deciso di ritrovarci e discutere, per questa necessità diffusa e comune tra tante realtà di centri sociali sparsi in tutta Italia. La terapia collettiva alle due malattie dell’infantilismo politico più diffuse, l’autosufficienza narcisistica e il voyerismo autopoietico, abbiamo scelto di autocostruircela a partire da un’assemblea, da una discussione onesta, diretta, senza mediazioni sulla realtà e con molta disponibilità invece a cercare i motivi e i modi per ricostruire un nostro spazio politico, il luogo della nostra soggettività. Vogliamo sintetizzare ciò che è emerso, perché su questi nodi abbiamo deciso di proseguire il percorso che si è avviato già da settembre, con un appuntamento seminariale aperto. Scriviamo questo documento per invitare tutte le realtà collettive di centri sociali, collettivi, associazioni che sentono il bisogno di confrontarsi per capire insieme come affrontare le sfide di un nuovo anno politico che si preannuncia complicato e difficile, forse più di quello che abbiamo appena trascorso. La ragione di fondo, dunque, è questa: non ci rassegniamo all’esistente, e nemmeno a ciò che si è già determinato in termini di movimento. Pensiamo che ci sia sempre spazio, e anche tanto, per un’azione politica dal basso che in termini di quantità e qualità, sia significativa, centrale. I margini ci rendono insofferenti, come le false centralità dell’abbandono alla tendenza. Vogliamo capire, vogliamo decidere, vogliamo fare.

mercoledì 1 agosto 2012

Nuvole rapide. La vicenda Ilva di Taranto ed il conflitto tra capitale/lavoro/salute

di Antonio Musella

(NdR) - Da Seveso a Taranto una lunga scia di morte ha attraversato lo sviluppo industriale italiano, in assoluta continuità con quanto è avvenuto su scala planetaria. L’avvelenamento capitalistico, sin dalle sue origini, oltre che riguardare gli operai coinvolti nei cicli di produzione, ha investito direttamente le nostre città ed ammorbato interi territori con pesanti ripercussioni sulla salute delle popolazioni. Ma le leggi economiche del capitale risolvono in chiave di valorizzazione mercantile il bisogno di cura per le malattie indotte dal sistema di produzione, con assoluta non curanza degli uomini e dell’ecosistema. Cosicché nel calcolo del PIL se il comparto farmaceutico sanitario registra un trend esponenziale di crescita, esso non viene letto come conseguenza negativa alla qualità della vita, bensì come contributo positivo alla ricchezza nazionale. Pur riconoscendo che le statistiche epidemiologiche registrano un aumento delle patologie mortali derivanti da anni di contaminazione ambientale causata dagli impianti tarantini, gli esperti del governo si chiedono retoricamente: “può un paese tra i primi produttori siderurgici al mondo impostare una politica industriale basata sulla decrescita e mettere sul lastrico migliaia di famiglie operaie” ? D’altro canto, questo gioco non può non sortire il più facile dei consensi se è vero – com’è vero- che nella società liquida essere “lavoratore della fabbrica” (e dell’Ilva nel caso specifico) è l’unica condizione mediante la quale si acquista identità sociale. Il punto da cui partire – concordando con l’indicazione di Francesco Ferri (http://uninomade.org/taranto-reddito-vs-lavoro-finalmente-il-cielo-e-caduto-sulla-terra/) -  potrebbe essere un altro, cioè quello di trasformare la lotta per il lavoro degli operai-ILVA in lotta per il reddito “nell’ottica della costruzione di un percorso comune di ricomposizione di quelle figure sociali – lavoratori metalmeccanici, cognitivi, precari, disoccupati e soggetti in formazione – che attualmente pagano le conseguenze della crisi economica e ambientale”

Immaginare il paesaggio della propria terra, del luogo dove dovresti essere felice, dove svolgi il tuo lavoro, è un elemento iconografico importante che determina il livello della felicità nell’essere umano. Lo skyline della città di Taranto è composto da un lato da due mari: il mare grande ed il mare piccolo, con il ponte girevole che separa le due parti della città dei due mari. Dall’altro lato, verso l’interno, ci sono una ventina di ciminiere e quelle nuvole che costituiscono la cappa di veleni che soggioga la città.
È  veleno per chi lo sa. È sviluppo per chi non vuol vedere.
All’Icmesa di Seveso ufficialmente producevano fertilizzanti. Nessuno in quel paese della Brianza poteva mai immaginare il volto brutto e cattivo della fabbrica. Era sviluppo, era benessere, non poteva esserci, in quel sogno tecnologico e moderno, un lato oscuro che avesse a che fare con il veleno. Non l’avevano mai immaginato fino al 10 luglio del 1976, quando il reattore dell’Icmesa fece il botto, vomitando diossina su 108 ettari di territorio. Nessuno oggi sembra voler ricordare quella che è stata la prima Chernobyl italiana. In quella fabbrica dove lavoravano decine di operai sbuffarono via 300 grammi di diossina pura capace di distruggere per sempre quel piccolo centro lombardo. Seveso fu evacuata. Le case distrutte, i campi arati per 40 cm. Tutto fu seppellito in una discarica fatta da quattro vasche una sopra l’altra. I veleni del reattore racchiusi in 41 fusti. L’Italia scopriva che il capitalismo produce scorie. Forse è quella la data in cui nel conflitto tra capitale e lavoro fa irruzione l’elemento dell’ambiente/salute. Da quel momento, governi ed imprenditori sono stati ben attenti a manipolare l’informazione, ad omettere il più possibile il lato oscuro della modernità, quelle scorie di produzione che distruggevano le vite di chi lavorava in fabbrica ed i territori dove sorgevano. Quello che sta avvenendo a Taranto in merito alla vicenda dell’Ilva è senza dubbio un fatto complesso. Lo è innanzitutto perché Taranto non è la Brianza. Una città che secondo i piani di espansione demografica legata allo sviluppo che la fabbrica dei Riva avrebbe dovuto portare, sarebbe dovuta diventare, nelle stime di venti anni fa, un centro di oltre trecentomila abitanti. Invece Taranto è ventimila abitanti in meno rispetto al dato demografico in cui furono fatte quelle stime. Un territorio dove il fenomeno dell’emigrazione, come elemento caratterizzante di subalternità del mezzogiorno al Nord del paese, continua ad essere un dramma del presente e non un ricordo. Taranto non è la Brianza dove invece le fabbriche, dopo Seveso, hanno continuato a prosperare trovando posti comodi e sicuri dove smaltire quelle scorie cattive e portarle lontane dagli occhi e dalle preoccupazioni dei cittadini. Proprio nel Mezzogiorno italiano o magari nei paesi africani. Proprio come le scorie e ceneri di alluminio delle Fonderie Riva di Parabbiago, in provincia di Milano, finiti nella discarica di Pianura a Napoli tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Taranto resta una città dove il solo lavoro possibile è quello all’Ilva. Un territorio dove i termini del conflitto tra capitale/lavoro/salute si invertono fino ad arrivare all’assurdo di una saldatura di interessi tra padrone ed operai.
Magagne della sussunzione reale del lavoro al capitale.
Un lavoro che significa morire presto. Prima degli altri. Le nuvole rosa provenienti dalle ciminiere dell’impianto siderurgico, dai nastri trasportatori scoperti, dal deposito dei minerali che sembra quasi uno spiazzale dove è accumulato terriccio ed invece sono metalli pesanti, minerali, scoperti lasciati allo sbuffo del vento di Levante, arrivano sulla città costantemente. Non ci sono fusti di colore sgargiante che escono dalle fabbriche su dei camion. Tutto è nell’aria e ciò che si vede poco, si sa, preoccupa sempre meno. Qui non c’è stata una Seveso, nonostante i continui incidenti che hanno caratterizzato la vita della fabbrica, nonostante le immense nuvole cariche di metalli pesanti che si sono rovesciate sulla città ad ogni errore nella produzione, ad ogni guasto all’impianto. Non c’è stato uno shock che abbia prodotto una presa di coscienza collettiva su come quella fabbrica stia uccidendo la città ed i suoi cittadini. Li uccide lentamente. Senza botti. Non c’è un reattore che esplode e centinaia e dei corpi che cadono in terra. Anche se a Taranto tutti lo sanno che la fabbrica fa male. Fa morire presto. Lo sanno ma lo nascondono, come una verità scomoda che ti fa arrossire e di cui ti vergogni. Al tempo stesso agisce un elemento di rimozione del problema frutto del ricatto del padrone che concede il solo lavoro possibile. La vicenda dell’Ilva abbiamo detto che è complessa ed è giusto che sia il territorio ad indagarne le contraddizioni ed a raccontare ciò che succede.
Questa vicenda però ci dice chiaramente alcune cose.