venerdì 27 aprile 2012

Da Parigi a Firenze

di Redazione Noteblock


I temi di maggior rilevanza che hanno caratterizzato il dibattito politico di questa settimana, dal nostro punto di vista, sono le presidenziali francesi di domenica scorsa e la “assemblea costituente” del soggetto politico nuovo di domani. Le questioni si intrecciano perché in qualche modo il discreto successo della sinistra d’oltrealpe (seppur sotto le previsioni preelettorali che davano un consenso ben più ampio di quello ottenuto da Mélenchon) richiama il progetto – quanto meno sul piano formale organizzativo - a cui si ispirano i promotori convocatisi in quel di Firenze.
Il nodo da sciogliere, sia nell’ipotesi nostrana che in quella de “la rive gauche”, sebbene con differenze sostanziali non indifferenti (per esempio quell’antieuropeismo che ha caratterizzato fin qui l’estrema sinistra francese, oltre ad una arretratezza sul terreno programmatico, in primis, la questione sui beni comuni e un nuovo welfare basato sui diritti di cittadinanza), è quello del rapporto tra i movimenti e lo spazio della rappresentanza istituzionale.

Elezioni francesi: anticipazioni per discutere dopo il secondo turno

di Toni Negri

Fissiamo, prima di tutto, qualche elemento base non del tutto inutile per cominciare a valutare questo primo turno delle elezioni presidenziali in Francia. Dato il carattere quasi proporzionale del primo turno, i rapporti tra le forze politiche risultano più chiari di quanto avvenga nel secondo turno, maggioritario fra i due candidati prevalenti. Tanto più perché l’assenteismo è stato meno importante di quanto previsto. Ora, è il 20% di Marine Le Pen che colpisce, meglio che rappresenta l’elemento più drammatico e probabilmente trasformativo (delle strutture costituzionali francesi) dato che questo risultato presto (nei prossimi anni) si rispecchierà sulle legislative e sulle amministrative. Al momento non sembra che il Front National voglia negoziare con Sarkozy: a destra si darà una ricomposizione prima o dopo ma, secondo i Le Pen – padre e figlia -, questa dovrà darsi alle loro condizioni. Sia chiaro che l’affermazione FN non si è data semplicemente sulla base del sostegno dei “piccoli bianchi”, reazionari e razzisti, ma che comincia ormai anche a rappresentare ampli strati di una destra non gollista, semplicemente liberale, nazionalista ed antieuropeista. Essa non rappresenta più una Francia periferica, che si colloca nel mondo rurale, attorno alle città e nelle città medie disindustrializzate, ma ha prodotto uno sfondamento nel cuore del potere.

Soggetto politico nuovo: uno spazio pubblico aperto, di confronto, chiarimento e comune elaborazione

firmatari del Manifesto


Sabato 28 Aprile a Firenze (Ridotto del MANDELAFORUM- viale Paoli dalle 10.30 alle 17.30) ci incontreremo, come già annunciato, per la prima ASSEMBLEA NAZIONALE aperta non solo a tutti i firmatari del Manifesto per un soggetto politico nuovo, ma a quanti sono interessati alle posizioni e ai valori in esso contenuti, anche con legittimi dubbi, perplessità o critiche da muovere su specifici passaggi o all’intero impianto.

Oltre lo Statuto, ci vuole il conflitto

di Beppe Caccia

Al di là delle buone intenzioni degli estensori del Manifesto per un nuovo soggetto politico, nel loro invito a superare la contrapposizione amico/nemico, non vorremmo correre il rischio di essere costretti a cadere dalle braci sulfuree della coppia schmittiana nella padella di un resuscitato formalismo giuridico alla Kelsen. Una padella dove, storicamente, le domande di trasformazione sociale sono sempre state cucinate a fuoco lento.

Pensieri lungo la senna

di Luca Casarini

Vorrei provare a dare uno sguardo alle elezioni francesi da un punto di vista interessato, e quindi per scelta parziale. Mi interessa capire che cosa indicano i risultati dal punto di vista della società, più che da quello della politica istituzionale. 

Alcune note sull'assemblea di Firenze. La discussione sul "soggetto politico nuovo" si anima e si intreccia con i risultati del voto in Francia

di Salvatore Cannavò

In un articolo di Luca Casarini sul manifesto del 25 aprile c'è una frase importante: "In questa fase la grande questione è come organizzare fuori dalla finalità elettorale un blocco sociale capace di leggere la crisi e affrontarla da sinistra senza cadere nel populismo. Invece la vicenda elettorale viene utilizzata come motore per organizzare un soggetto sociale e politico "nuovo".

sabato 21 aprile 2012

Il guaio è la subalternità al Partito democratico

di Giorgio Cremaschi*

Nel direttivo della Cgil non si sono solo scontrati due opposti giudizi sulla controriforma del lavoro ma si sono anche confrontati due diversi modi di concepire il rapporto con il governo e la politica nella crisi attuale.
Sul piano del merito la differenza è evidentissima. Da un lato, la maggioranza con i suoi 90 voti, ha affermato che sull’articolo 18 si è ottenuto un primo risultato e che sostanzialmente si è difesa la tutela contenuta in quell’articolo dello Statuto dei lavoratori.
Chi ha votato contro (35 con 6 astenuti, della Fiom, della conoscenza e della Funzione pubblica, della minoranza congressuale, di Lavoro società), ha invece sostenuto l’esatto contrario. Cioè che la controriforma del lavoro avviene prima di tutto sull’articolo 18, con il passaggio dalla reintegra all’indennizzo anche nel caso di licenziamento riconosciuto ingiusto da parte del giudice. Ci si scontra quindi non solo sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, com’è nella tradizione sindacale, ma proprio sul senso del risultato. Per chi ha votato contro il risultato è completamente negativo, per chi ha votato a favore invece è un passo avanti. E’ difficile trovare nella storia recente della Cgil una contrapposizione così netta e così inconciliabile. Se nel 1984 la maggioranza della Cgil invece che respingere il decreto Craxi che tagliava la scala mobile lo avesse approvato, forse avremmo un precedente. Oggi purtroppo si ha la sensazione che le posizioni e le maggioranze siano esattamente ribaltate rispetto a quel momento.

Falsi miti e storture politico-ideologiche

di Alessandro Cacciatore

La sbagliata e insensata riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori  poggia su (e trae origine da) volute storture della realtà del lavoro in Italia e dei suoi riflessi sulla produttività del Paese.Le ragioni della riforma del mercato del lavoro nascono dagli impegni internazionali presi dall’Italia (rectius: dal capo del Governo allora in carica, Silvio Berlusconi) in/con l’Europa (sarebbe meglio dire dalle imposizioni franco-tedesche) e da asserite ragioni economico-produttive interne: l’Italia deve essere più concorrenziale e appetibile per gli investitori stranieri e le aziende “interne” devono poter reggere alla sfida del mercato globale in un periodo (tardivamente conclamato) di recessione.
Più problemi, un’unica soluzione: l’abolizione delle tutele fornite ai lavoratori dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Niente di più falso e sbagliato.
Il messaggio mediatico governativo e confindustriale che bombarda l’opinione pubblica è quello, falso, che in Italia, a causa dell’art. 18, non si possa licenziare e che questo sia il freno ad investimenti e assunzioni.
A questo punto è necessaria una precisazione che riguarda le ipotesi di applicazione della norma in argomento e  la sua portata operativa.

La riforma Fornero


di Gianni Giovannelli

Il disegno di legge governativo elaborato, dopo innumerevoli compromessi, dal ministro Fornero sarà esaminato dalla Commissione Lavoro del Senato, in sede cosiddetta referente (e non deliberante, ovvero dovrà necessariamente passare al vaglio delle due Camere, con possibili modifiche: segnale questo, non equivoco, di un qualche conflitto, perché ove il tripartito che sostiene Monti fosse stato totalmente d’accordo si poteva procedere all’approvazione già in Commissione). La commissione è di 25 membri; ci sono tre sindacalisti di professione (e di lungo corso: Nerozzi, Troilo e Passoni), per il resto la rappresentanza imprenditoriale domina la scena (anche nel PD: Ichino è un avvocato delle grandi aziende; Rita Ghedini è una funzionaria di vertice delle cooperative emiliane; Adragna e Blazina sono dirigenti). Non potevano mancare in un simile consesso un vecchio industriale come Pininfarina, il consueto Sacconi e la mitica Rosi Mauro. Interessante è sapere chi siano i relatori nominati: Tiziano Treu (consulente datoriale oltre che professore) e Maurizio Castro (abile ed esperto dirigente d’azienda, la controparte storica dei lavoratori nelle trattative cui partecipava prima dell’elezione). I lavoratori italiani non possono certo dormire sonni tranquilli, fra le grinfie di costoro!
Oltre alle questioni continuamente dibattute (la cancellazione o meno dell’articolo 18) si celano dentro la riforma Fornero una serie di disposizioni sfacciatamente aggressive e volte a determinare un incremento geometrico del processo di precarizzazione e di controllo sociale dell’intera esistenza della fascia debole.

PER ANDARE DOVE DOBBIAMO ANDARE, DA CHE PARTE DOBBIAMO ANDARE?

di Marigia Maulucci*

Partiamo da un assunto.
Nella riforma di Monti-Fornero, l'art.18 non c'è più, nel senso che non c'è la certezza del diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, nel caso di licenziamento illegittimo. Parlo non a caso di certezza del diritto, perché nel testo si adombra solo una possibilità del giudice messo nelle condizioni di non poter svolgere nemmeno una normale istruttoria, visto che l'insussitenza della motivazione dev'essere manifesta (vedi articolo di Bruno Tinti su Il fatto quotidiano dell'11 Aprile).
La maggioranza della CGIL sostiene che la nuova formulazione ripristina un principio di civiltà giuridica perchè il nuovo testo modifica il precedente,perchè un reintegro virtuale è sempre meglio di niente,perchè non rompere con CISL e UIL è l'imperativo categorico, perché ogni tanto intestarci una vittoria fa bene all'umore. Che la mediazione sia stata fatta dal PD è un dettaglio, perchè tanto senza gli scioperi proclamati dalla CGIL il PD quella battaglia non l'avrebbe né assunta né sostenuta.
Motivazioni comprensibili, ma politiciste, tattiche, di posizionamento.
Motivazioni di chi sa di essersi infilato in un ginepraio,dal quale ansiosamente vuole uscire.

giovedì 19 aprile 2012

NO ALL'IMBROGLIO SULL'ARTICOLO 18! in difesa dello Statuto dei lavoratori

delegati RSU/RSA

I sottoscritti Rappresentanti Sindacali CGIL chiedono a Susanna Camusso e alla Segreteria Nazionale CGIL di modificare il parere positivo espresso in merito al DDL sul Mercato del Lavoro, relativamente alle modifiche apportate all’articolo 18.
Siamo davanti ad una controriforma che, e sono parole del Presidente del Consiglio, rende la reintegra nel posto di lavoro un caso estremo e raro, assai improbabile nella sua applicazione concreta.
La segreteria della Cgil quindi sbaglia profondamente e compromette una battaglia per il lavoro che è tanto più necessario nel momento in cui la crisi si aggrava.

La sostanza del provvedimento è che l'articolo 18 viene scardinato, rendendo la reintegra nel posto di lavoro l'ultima ed estrema soluzione in caso di licenziamento ingiusto. La nuova legge renderà possibile licenziare senza la reintegra, concedendo solo un piccolo indennizzo.
Siamo convinti che la stragrande maggioranza degli iscritti della Cgil non siano d’accordo con la loro segreteria, che accetta questa drastica riduzione della tutela dei lavoratori.
Inoltre il provvedimento non riduce la precarietà, non rende universali per tutte le forme di lavoro e per tutte le imprese gli ammortizzatori sociali e il sostegno al reddito.

Continuiamo a riconoscerci nelle parole d’ordine che la CGIL ha riportato sui moduli per la raccolta delle firme per difendere l’Articolo 18:

“Il lavoro non è una merce “
“Salviamo la dignità del lavoro e delle persone che lavorano”
“Il lavoro non può essere usa e getta”

La mobilitazione va ripresa in ogni posto di lavoro, gli scioperi che vengono mantenuti devono diventare scioperi contro la truffa sull’articolo 18 e la controriforma sul lavoro, il Direttivo CGIL del 19 deve confermare lo Sciopero Generale in difesa dell'Articolo 18.

Per adesioni: rsursaindifesalegge300@gmail.com


Boccadirosa, soggetto politico

di Andrea Bagni

Viviamo un tempo strano, almeno in certi luoghi di lavoro. Una specie di tempo sospeso, insieme di rassegnazione e di rabbia. Un po’ di attesa, un po’ di urgenza. C’è chi aspetta di andare in pensione, e aspetta aspetta. Gli insegnanti vengono a scuola con il trolley al posto della vecchia cartella, forse in previsione della flebo o dell’ossigeno da tirarsi dietro a settant’anni. Intanto ragazzi e ragazze ti circondano sempre della stessa età, contagiosi, e non capisci bene se stai crescendo senza invecchiare oppure invecchiando senza crescere… Il precariato e il sentirsi soprannumerari sembrano diventare la cifra dell’esistenza, però paralizzano molto più che mobilitare, come accade spesso con le passioni tristi. La stagione della pornocrazia berlusconiana ha lasciato il segno. Il palazzo, così sensibile alle figlie (a quelle belle), si è allontanato talmente dalla società che nessuna mobilitazione è più sembrata all’altezza del baratro, dotata di una qualche speranza di successo. E senza speranza non c’è conflitto, tutt’al più testimonianza. Anche ragazze e ragazzi per certi versi si mobilitano quasi come rito interno di socializzazione, per sentire di esistere, di esserci in qualche modo. Ma lo spazio quotidiano della loro vita sembra lo considerino quasi perduto per le trasformazioni. Impossibile che cambi qualcosa nel contenitore istituzionale, meglio salvare se stessi almeno fuori. Per quell’altro tempo mi sembrano preservare le loro anime. La scuola per loro finisce per essere una megamacchina di voti – per quanto a volte capitino cose belle, perché la vita e le relazioni umane sanno trovare spazi inusitati di sapere, nel labirinto di sogni o incubi.
Resta il fatto che questo tempo sospeso, tempo tecnico , non è solo un deserto di solitudini. Ogni tanto si vede chiaro il tentativo diffuso nella società di resistere spostandosi dalla rappresentazione dominante, da questa arroganza dei Professori, che mirano soprattutto ai simboli , a riscrivere la costituzione del paese per produrre l’immagine che piace ai mercati: quella di un potere disciplinante in un universo sociale disciplinato, rassegnato alla naturalità dell’economia. Non ci sono alternative, non avrai altro dio che quello che detta i comandamenti necessari per competere sul mercato.

Rovesciare il mondo alla rovescia

di Francesco Raparelli *

L’ottimismo facile di questi giorni e l’ottimismo tragico che ci può salvare
Sembra una festa e l’ottimismo riprende a circolare. Tra l’approvazione del Fiscal compact, la rinegoziazione del debito greco, la solida riduzione dello spread tra i tassi di interesse, sembra di poter dire che siamo fuori dall’emergenza. “W Monti, W Giorgio, W Draghi!” Monti, in particolare, piace davvero a tutti: a Obama, perché è l’uomo più americano tra i tecnici italiani; a Shaeuble, perché è l’uomo più tedesco che il Bel Paese poteva offrire; al popolo della sinistra, perché è sobrio e va a letto presto; al popolo della destra, perché è un cattolico neoliberale, «senza se e senza ma».
Ma non è il solo Mario che riempie di gioia, a destra come a sinistra. Come ci ricorda ossessivamente Scalfari, sono due i «Supermario» del miracolo: Monti, ma anche e soprattutto Draghi. È stato lui, con la lettera del 5 agosto (di cui adesso, parole di Lerner, sembra pentito), ad avviare le pratiche di “licenziamento” di Mr B., a definire la tabella di marcia delle manovre economiche dell’autunno, ad aprire la strada a Re Giorgio. Draghi ha le idee chiare e non lo nasconde: il modello sociale europeo è finito; il Welfare State europeo, frutto di oltre due secoli di lotte proletarie e operaie, esito delle due guerre e della Grande depressione, è un reperto archeologico, inadeguato al Secolo cinese, alla guerra globale delle valute. In sintesi: dal Big  State alla Big Society, con piccole variazioni sul tema. Detta così, con l’aggettivo “grande” affianco al sostantivo “società”, ci sembra di parlare di una grande opportunità: basta con la burocrazia e la corruzione, diamo voce e forza alla libera iniziativa sociale, sia nel campo dell’assistenza ai più deboli sia nella formazione, nella gestione del territorio, nella cura medica. Finalmente quel “comunismo senza Stato” che a tanti di noi sta a cuore! Rovesciate tutto: Big Society significa in primo luogo azzeramento delle risorse pubbliche, incremento senza fine del volontariato, sostituzione del volontariato (per lo più di matrice religiosa) al servizio pubblico. Il comune della povertà e del controllo e non dell’abbondanza, questa è la verità!

Alle radici della crisi, seguendo i derivati

di Gaetano Colonna

Il prolungarsi della crisi economico-finanziaria fa affiorare molte informazioni su cosa è realmente successo a nostra insaputa negli ultimi venti anni di globalizzazione finanziaria. Siamo quindi molto vicini alla verità ed il fatto positivo è che ci stiamo avvicinando ad essa facendo a meno di quegli "esperti" economisti che, come di recente ha denunciato efficacemente Le Monde Diplomatique, sono molto spesso a libro paga proprio di quei centri della speculazione sui quali vengono loro richiesti pareri obiettivi (1).
Questa verità fattuale è essenziale per il futuro: infatti, chiunque pensasse di poter cambiare le cose senza conoscerle, si troverebbe immediatamente a servire gli stessi master of the universe, i padroni dell'universo, di cui abbiamo spesso parlato.
Come nel caso dei mutui subprime americani, abbiamo pensato di seguire la pista degli ormai famosi "derivati", vale a dire quei titoli finanziari il cui valore si basa e quindi "deriva" da un qualsiasi cosiddetto "sottostante", che può essere qualsiasi cosa abbia un valore: un bene materiale o una materia prima, un titolo finanziario, una valuta o persino un altro derivato.
Con quello che abbiamo trovato, possiamo porre alcune semplici ma fondamentali domande e cercare delle risposte.

venerdì 13 aprile 2012

Contro vecchie e nuove precarietà - Per un futuro di diritti e lavoro

Fiom-Cgil

Bologna 14 aprile- piazza Maggiore Palazzo Re Enzo, salone del Podestà, dalle 10 alle 14- Assemblea Fiom di delegate e delegati, giovani metalmeccanici/che, aperta agli studenti, ai precari, ai disoccupati e inoccupati

In nome delle politiche di austerity in tutta Europa si sta procedendo con la destrutturazione dei diritti, dei salari e del welfare, offrendo al mercato la possibilità di fare profitto su tutto, dal lavoro all’istruzione, dalla sanità ai benicomuni. Mentre il mercato finanziario divora tutte le regole, nelle costituzioni europee viene introdotta la parità dibilancio. La democrazia è sempre più limitata, insieme alle libertà, perché il ricatto occupazionale e salariale rende le persone sempre più ricattabili e sempre meno autonome.

Beni comuni e democrazia industriale

di Enrico Grazzini

Controllare dal basso le attività delle aziende è difficile ma non impossibile. Il modello tedesco della co-gestione è un buon esempio di democrazia economica
Con la crisi europea i media hanno riscoperto il “modello tedesco” e lo propongono costantemente come esemplare per il successo economico delle nazioni e per uscire dalla crisi. Ma da sessanta anni, precisamente dal 1951, il modello tedesco è basato anche sulla co-determinazione, cioè sulla democrazia industriale: tuttavia questo elemento fondamentale paradossalmente non viene quasi mai ricordato dai media. La legge tedesca della Mitbestimmung impone infatti che nei consigli di sorveglianza delle imprese siedano i rappresentanti del lavoro eletti da tutti i dipendenti, indipendentemente dalla loro iscrizione o meno ai sindacati. I lavoratori – che a livello sindacale nominano anche i consigli di fabbrica - sono così messi in grado di fare valere le loro proposte (e i loro veti) sulla strategia e la gestione aziendale anche nel massimo organo direttivo aziendale. I neoliberisti ovviamente non amano ricordare il successo della co-determinazione, perché sono invece a favore del comando monocratico dei top manager e della valorizzazione delle aziende a esclusivo profitto degli azionisti; ma che in Italia le potenzialità della Mitbestimmung non vengano ricordate neppure dalla sinistra, questo appare veramente stupefacente. Eppure in Germania sia la Linke che la SPD e i Verdi puntano all'ampliamento e al rafforzamento della Mitbestimmung. Mentre la Confindustria tedesca ha sempre cercato di cancellarla.

Il dibattito sulla democrazia economica all'estero è vivace e contrastato. Questo mio contributo rappresenta una sorta di appello perché la sinistra italiana discuta finalmente in maniera approfondita la questione decisiva del governo d'impresa (la cosiddetta governance) e della democrazia nell'economia. Ovunque la crisi viene fatta pagare a chi lavora, ai giovani, alle donne e ai pensionati. Diventa allora attualissimo e cruciale ridiscutere la questione della democrazia economica, cioè del potere dal basso – e istituzionalizzato, cioè riconosciuto e consolidato – del lavoro nelle aziende e nell'economia. Tra l'altro la Costituzione italiana recita all'articolo 46 che “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”: esistono quindi i presupposti giuridici per una battaglia politica sulla democrazia nell'economia.

Il punto di vista precario sulla riforma del mercato del lavoro

di Scioperoprecario.org

Secondo le dichiarazione di Monti e di Fornero: “la riforma punta su quattro leve: 1. rendere più costosi i contratti a termine e precari;  2. premiare la stabilizzazione degli stessi con l’introduzione del cd. “contratto dominante” e punire gli abusi sui contratti più precarizzanti; 3. facilitare i licenziamenti, in particolare per motivi economici, cosicché il contratto dominante non sia percepito dalle imprese come permanente e indissolubile come è accaduto finora con l’art. 18; 4. riformare e allargare gli ammortizzatori sociali. Analizziamo questi quattro punti uno alla volta.

La riforma del mercato del lavoro (sullo sfondo, The family e un poker di donne)

di Cristina Morini

Mentre le vicende di The family annichiliscono il Paese con beffarda e insieme crudele evidenza fisiognomica, è stata presentata la riforma del mercato del lavoro. Riforma storica eppure derubricata dai media a notizia collaterale, con la metà delle redazioni d’Italia a pedinare l’uomo di Gemonio.
La misera telenovelas padana non ci ha distratti e non ci sfugge la portata della transizione, giocata tra favolose coincidenze, ponti pasquali e ruoli di donne. Elsa Fornero, sempre più compresa nella parte dell’allieva modello (nel nome del padre) del professor Monti, da lui rimproverata o sorretta a seconda dei casi. Susanna Camusso che, grazie all’incredibile fair play dell’ “altra parte sociale”, Emma Marcegaglia, si trova servita la possibilità di sfuggire a quello che parrebbe, al semplice buonsenso, l’obbligo di respingere il contropacco dicendo finalmente qualcosa di sinistra. La presidente di Confindustria, che calca esageratamente i toni, disponibile a tradursi in caricatura quando in un’intervista rilasciata al Financial Times si spinge addirittura a sostenere che il testo del duetto è pessimo e che tanto valeva non fare alcunché. Ecco allora che Camusso difende il Ddl, sperando possa funzionare l’equivoco argomento “se non piace ai padroni allora abbiamo vinto noi” (“Si tratta di un importante risultato della Cgil e della mobilitazione unitaria dei lavoratori”).

giovedì 5 aprile 2012

Nota Fiom art.18

Segreteria nazionale della Fiom-Cgil ha diffuso oggi la seguente nota
 “La Segreteria nazionale della Fiom-Cgil esprime un giudizio negativo sul disegno di legge del Governo in materia di mercato del lavoro poiché il provvedimento non riduce la precarietà, non rende universali per tutte le forme di lavoro e per tutte le imprese gli ammortizzatori sociali e il sostegno al reddito. Inoltre, il ddl svuota di valore l'articolo 18, in quanto il risarcimento economico diventa la regola di fronte ai licenziamenti senza giustifica motivo, rendendo il reintegro un miraggio, e non un diritto certo in capo al lavoratore, come confermato anche oggi dal premier Monti.”
 “Rimane, inoltre, ancora irrisolto il nodo dell'accesso alla pensione per tutti i lavoratori coinvolti da accordi di ristrutturazione e di crisi.”
 “La Segreteria nazionale della Fiom considera necessario continuare la mobilitazione, fino allo sciopero generale già proclamato dal direttivo della Cgil, affinché il Parlamento faccia quelle necessarie modifiche che il Governo non ha fatto.”
 Fiom-Cgil/Ufficio Stampa

Caro ministro Riccardi, cos'è lo ius culturae?

di Vito Francesco Gironda
L'idea dello ius culturae – lanciata dal ministro Riccardi – è ambigua e pericolosa, perché rischia paradossalmente di alimentare il conflitto multiculturale
Alcuni giorni fa Andrea Olivero ha riproposto sulle pagine di Europa l’idea dello ius culturae quale criterio di definizione di un’auspicabile riforma della cittadinanza italiana. Lanciata dal ministro Andrea Riccardi, la nozione di ius culturae sembra essere diventata l’asse consensuale per praticare una via italiana all’integrazione.
Di cosa si tratta? A volere ragionare in termini generali, il concetto richiama agli effetti propositivi e “assimilazionistici“ di una “seducente” cultura italiana. Si immette nel discorso pubblico una concezione stato-centrica e “assimilazionistica” di cittadinanza, secondo un’idea di presunzione di appartenenza, in base alla quale la nascita sul territorio veicolerebbe, nel lungo periodo, quei legami culturali che si suppone costituiscano la base della cittadinanza. Come dire, i diritti di cittadinanza sono collocati nell’ambito della specificità culturale di una comunità nazionale, la quale promuove una concezione particolaristica dell’individuo e delle sue relazioni sociali. Seguendo tale prospettiva, l’inclusione si determina attraverso una sorta di “adeguamento” valoriale alla cultura del paese ospitante. A prima vista sembra un discorso molto lineare. Eppure, guardando bene, emerge una serie di ambiguità concettuali su cui sarebbe opportuno riflettere serenamente.

Al livello delle finestre: discutendo ancora di sciopero precario

da (s)Connessioni precarie
Il dibattito sulla riforma dell’articolo 18 e del mercato del lavoro mostra dei tratti paradossali. Ripetere che il governo dei banchieri e della cinica piangente è contro i lavoratori è del tutto inutile. Quello che ci interessa è ciò che accade fuori dai palazzi: parliamo dei sindacati e dei movimenti.
La CGIL della linea interventista firmata Camusso ha saggiamente proclamato uno sciopero senza proclamarlo: arte tutta italiana di agitare una minaccia virtuale, per ottenere evidentemente risultati virtuali. Quali? Come si vede in questi giorni di accordo quasi raggiunto, principalmente due: il primo è puramente politico e consiste nel rinnovato riconoscimento di Corso Italia tra i sindacati che contano, il ritorno delle consultazioni e dei ‘tavoli’ e di un ruolo guida nel gestire la minaccia sindacale; il secondo punta direttamente alla riforma, con la reintroduzione della parolina magica: reintegro. In questo modo, il governo dei tecnici ha dimostrato di ascoltare il paese, il sindacato di essere l’unico baluardo di difesa del lavoro. Persino il PD ha confermato di essere un partito di sinistra. In questo quadro, è evidente, la proclamazione dello sciopero generale ha funzionato, esattamente come un anno fa, come minaccia contro le componenti riottose del sindacato e contro tutta quella galassia movimentista che ruota intorno alla via lattea dello sciopero generale, più che contro il governo. Dal punto di vista politico, la vera Lady di ferro di questo paese è Susanna Camusso, che appropriandosi della parola liberatrice riesce a domarla e gestirla, allungando i tempi dello sfogo della tensione sociale. È un’abilità che va riconosciuta. E gli altri?

Ora allarghiamo il movimento contro il debito

di Piero Maestri
Non era scontato che la questione del non pagamento del debito diventasse terreno di iniziativa di massa. Adesso serve allargare, senza forzature organizzative, il blocco sociale e la mobilitazione contro la crisi, il debito e le politiche di austerità
Una bella giornata contro il potere delle banche e le politiche del governo Monti-Napolitano.
Il sole e il caldo insolito della Milano primaverile hanno visto sfilare un corteo bello, con una partecipazione superiore alle aspettative (15/20 mila persone) e ricco di presenze differenti e plurali.
La giornata già alla mattina ha visto diverse azioni davanti a istituti di credito, tra i quali l’iniziativa di Atenei in Rivolta e Rivolta il debito davanti alla filiale di “Che Banca!” (Mediobanca) di Largo Augusto. Lo striscione “Che futuro! Precario e impossibile grazie a banche e governo” irrideva al sito di “idee per l’innovazione” (chiamato appunto “Che futuro!”) organizzato da “Che banca!” – in quanto tale corresponsabile delle politiche di austerità e di speculazione sul debito dei paesi europei (ricordiamo che Mediobanca ha ottenuto un prestito di 3,5 miliardi di Euro al tasso del 1% dalla Bce…).
Il corteo del pomeriggio ha visto manifestare le forze oggi decisamente e coerentemente all’opposizione del governo Monti-Napolitano – dai sindacati di base (Usb, Cub, Si.Cobas) alle organizzazioni politiche (Prc, Pcl, Sinistra Critica, Rete dei comunisti…), alle diverse espressioni dei movimenti sociali e delle esperienze di lotta di lavoratrici e lavoratori: NoTav, lavoratori di Wagon Lits, cooperative dell’Esselunga, Alcoa, Sanprecario, NoTem, centri sociali, comitati No Debito, comitati di lotta per la casa, disobbedienti, Atenei in Rivolta, Rivolta il debito, collettivi Lgbt e così via.
Una manifestazione che ha offerto uno spazio prezioso a queste espressioni di movimento e a tutte/i quelle/i che volevano mostrare apertamente l’opposizione ai provvedimenti del governo Monti (in particolare per la difesa dell’articolo 18 e contro la riforma del mercato del lavoro) e la consapevolezza del non pagamento del debito come strumento di lotta e di riappropriazione di risorse per costruire politiche alternative – per garantire un reddito sociale e un welfare degno di questo nome, per la riduzione dell’orario di lavoro e la redistribuzione dei lavori, per politiche sociali e di riconversione ambientale, contro grandi opere inutili e dannose, contro le spese militari.
Non era scontato alla fine della scorsa estate che la questione del non pagamento del debito diventasse terreno di iniziativa di massa, o comunque uscisse dal chiuso dei dibattiti intellettuali e tra economisti.

L’articolo 18 nel pubblico impiego. Appello per la costruzione di un percorso di mobilitazione dal basso

Delegati RSU Pubblico Impiego Padova
Il livello del dibattito di questi giorni, sull’applicazione delle modifiche dell’articolo 18, rende non inutile persino la precisazione di quello che è apparentemente scontato, o almeno dovrebbe esserlo, per chi si occupa di rappresentare (ammesso che ancora questo termine abbia un senso) i lavoratori del comparto pubblico, ossia che le leggi si applicano in base a quello che in esse c’è scritto (articolo 12 delle preleggi, che dice il senso comune delle parole) e non in base alle dichiarazioni del Titolare del Dipartimento della Funzione Pubblica (anche quando questo è autorevole, come lo è, senza dubbio, Patroni Griffi).
Partiamo da quello che è certo e non può essere posto in dubbio: l’articolo 18 nel P.I. si applica. Lo dice espressamente l’articolo 51, comma 2 del T.U. sul Pubblico Impiego (D. Lgs. 165/2001), che così dispone “La legge 20 Maggio 1970 n. 300, e successive modifiche e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti”.
Di fronte alle semplicità di questa enunciazione, lascia davvero sgomenti il dibattito di questi giorni sull’applicazione delle modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori al Pubblico Impiego.
Bonanni, pochi giorni fa, intervistato ai microfoni di La7, a domanda risponde in maniera secca “Le modifiche dell’articolo 18 non riguardano il Pubblico Impiego”. Affermazione poi replicata anche da Susanna Camusso, pur se appare onestamente singolare che, mentre uno lancia un pacchetto di 16 ore di sciopero, dice che è escluso dalla Riforma un intero comparto, perché suona come un invito implicito ai lavoratori dello stesso comparto a non partecipare alla protesta.
A stretto giro di posta, cominciano a giungere i primi commenti sulla riforma del mercato del lavoro e i commentatori più attenti, fanno notare subito, che in assenza di una deroga espressa, le modifiche all’articolo 18 si applicherebbero a tutti, lavoratori pubblici compresi.