mercoledì 29 febbraio 2012

Occupare la crisi

di Anna Curcio e Gigi Roggero*
Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi (ventiseienne, diplomato, costretto a fare il venditore ambulante di frutta e verdura per campare) si immola nella città tunisina di Sidi Bouzid, per protestare contro l’arroganza della polizia e l’insopportabilità delle condizioni di vita. Pochi, allora, potevano pensare quel gesto come l’inizio simbolico di un processo insurrezionale che avrebbe condotto alla caduta del regime di Ben Ali e a quello di Mubarak in Egitto, per poi estendersi ad ampie aree del Nord Africa e del cosiddetto mondo arabo. Ed era ancora meno facile prevedere che ciò sarebbe stato il preludio di una sollevazione globale dentro la crisi economica contemporanea. Non si è trattato, tuttavia, di un evento privo di radici: al contrario, in Tunisia come altrove le genealogie sono profonde e complesse. Da un lato, affondano nei conflitti operai e studenteschi, nelle lotte e nelle dinamiche di sedimentazione politica e organizzativa che hanno attraversato l’ex colonia francese a partire dagli anni Ottanta. Dall’altro, la composizione che ha guidato il processo insurrezionale – giovani, altamente scolarizzati e produttori di saperi, precari e disoccupati, in qualche modo simboleggiati dalla biografia dello stesso Bouazizi, a cui si può aggiungere il grande protagonismo delle donne – ha in tutta evidenza tratti affatto comuni con i movimenti che si sono sviluppati nella crisi sull’altra sponda del Mediterraneo, dall’Inghilterra all’Italia, dall’Austria alla Grecia, e poi ancora in Cile e, appunto, negli Stati uniti.
Non è solo, allora, un ponte ideale che collega i movimenti del Nord Africa a quelli del Nord America. Esattamente nove mesi dopo che il fuoco aveva avvolto il corpo di Bouazizi, il 17 settembre 2011 alcune centinaia di altri corpi sfruttati che bruciano di indignazione si sono sollevati raccogliendo l’appello lanciato dalla rivista militante canadese Adbusters il 4 luglio precedente su Twitter con l’hashtag Occupy Wall Street, insediandosi in quello che è considerato il “ventre della bestia”. In tempi maledettamente accelerati, Occupy si è allargato e rafforzato, procedendo in modo estensivo e intensivo: ha superato i confini di Wall Street per diffondersi in tutti gli Stati uniti, travolgendo narrazioni consolidate, dettando una nuova agenda politica. Del resto, se il distretto finanziario newyorchese rappresenta simbolicamente il cuore del capitalismo contemporaneo, la crisi mostra come la sua materialità permei spazi e tempi di tutte le aree del mondo, senza un fuori e, tutto sommato, senza un centro. La composizione del movimento – che da subito ha assunto il nome comune dalla sua pratica qualificante, Occupy – è ancora una volta simile a quella delle lotte già ricordate. Perciò riflettere su Occupy Wall Street ci porta, necessariamente, a interrogarci sui caratteri non esclusivamente contingenti e locali del movimento.

sabato 25 febbraio 2012

Tagliamo le ali agli F35!

redazione de il manifesto
Raccolta firme, presidi, conferenze: tutto quello che c'è da sapere sull'assurda spesa del programma internazionale per lo Joint strike Fighter e l'imbroglio dei tagli dell'ammiraglio Di Paola
100 piazze contro gli F35, una giornata nazionale per approfondire, raccontare, ricordare l'assurdita di spendere 15 miliardi de uro per acquistare 131 cacciabombardieri F35. Simboli di morte e in questo caso anche di spreco: mentre vengono chiesti sacrifici ai lavoratori e ai pensionati si spendono soldi per un'arma inutile.

venerdì 24 febbraio 2012

Lager Fiat

di Dante Barontini
Ci sono periodi in cui la Storia cambia di segno. Qualcosa ce lo fa intuire, molto ci impedisce di cogliere il cambiamento. Facciamo le stesse cose, manteniamo identiche abitudini, il supermercato è ancora lì, il bar sotto casa è ancora aperto.
Ma nulla è già più come prima. Anche per molti compagni è dura capire che qualcosa si è irreparabilmente rotto e siamo entrati già in un'altra epoca. “Altra”, non “nuova”.
I segni caratteristici di questo “tornante della Storia” vanno – marxianamente – rintracciati sempre nei luoghi della produzione, nel vivo dei rapporti sociali, tra classi che non stanno nel cielo delle idee ma lì dove si lavora. E solo lì. Fuori siamo di nuovo tutti e soltanto “consumatori”.
Mettiamo dunque in evidenza il racconto fatto dagli ex delegati di Pomigliano durante la recente Assemblea nazionale Fiom a Roma. Una testimonianaza ripresa da Loris Campetti su il manifesto con queste parole.

Il 31 marzo a Milano: “Occupyamo Piazza Affari”

di Appello No Debito
Appello per la manifestazione nazionale il 31 marzo a Milano. Occupyamo Piazza Affari. Contro le politiche antisociali del governo Monti. Per un diverso modello sociale ed economico fondato sul pubblico e sui beni comuni comitatonazionale@nodebito.it
Sono passati ormai tre mesi da quando il governo delle banche e della finanza sostenuto dal centrodestra e dal centro sinistra è entrato in carica ed è continua la devastazione sociale a colpi di misure “ lacrime e sangue”.

Da profughi "buoni" a clandestini

di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa
Le associazioni e gli amministratori locali si mobilitano con un appello al governo: "Migliaia di richiedenti asilo sono destinati a finire nell’irregolarità"
Ora se n’è accorta anche la Croce Rossa: serve un provvedimento speciale per i richiedenti asilo approdati dalla Libia lo scorso anno che preveda il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario. Lo ha detto il commissario straordinario per l’emergenza, Francesco Rocca, durante l’audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, presieduto da Margherita Boniver.
Sicuramente se ne sono accorti da tempo alcune migliaia di richiedenti asilo che da mesi aspettano invano di conoscere il loro destino. Nell’attesa, per riempire le loro giornate, c’è chi non ha trovato niente di meglio da fare che metterli “volontariamente” al lavoro. Gli viene chiesto di tagliare gratuitamente l’erba, di eseguire “volontariamente” lavori di manutenzione o, paradosso nel paradosso, di spalare la neve caduta nei comuni dell’alta Lombardia. Nel bel paese ci si arrangia come si può. Così può anche accadere che i protagonisti dell’emergenza 2011 (la nordafricana), possano tornare utili per risolvere quella del 2012 (la siberiana).

Lettera aperta alla cgil

RSU Fabio perini spa - LUCCA
RSU KPL PACKAGING - BOLOGNA
Gruppo KORBER
RSU Finder Pompe Spa
Stabilimento Cerpelli

Assistendo al dibattito in corso tra “parti sociali” relativamente alle intenzioni dell’antisociale governo Monti di svuotare i contenuti dell’articolo 18 dello Statuto Lavoratori per estendere la precarietà a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori italiani, come se quelle presenti nel mercato del lavoro italiano non bastassero a renderlo drammatico, diamo un giudizio assolutamente negativo alla linea attendista e di “riduzione del danno” che sta portando avanti la CGIL Nazionale! 
A partire dalla riforma previdenziale contro la quale è palesemente mancata una reazione proporzionata all’offesa, che pesantemente e nuovamente ha colpito i redditi da lavoro rendendo una chimera la prospettiva di andare in pensione ad un’età accettabile, passando per l’affondo al contratto nazionale ormai azzerato, anche attraverso l’accordo del 28 giugno 2011, e arrivando alla totale assenza di conflitto quando la principale azienda manifatturiera italiana (la FIAT) decide con chissà quale legittimità di “licenziare” la rappresentanza FIOM, si palesa una chiarissima inadeguatezza del gruppo dirigente nazionale che letteralmente balbetta davanti ad attacchi così pesanti, che rischiano di essere gli ultimi per il mondo sindacale prima della disfatta definitiva!! Se poi a questo si aggiunge quel qualcosa di non chiarito su informali contatti tra la Camusso e Monti circa possibili modifiche all’art. 18, emerge pure un quadro di gravi e volontarie responsabilità della segreteria, in una gestione esageratamente verticistica ancora più grave di quella che denunciammo all’epoca dell’accordo del 28 giugno!!
In rappresentanza di numerosi iscritti e iscritte che pure con il loro contributo mensile reggono la struttura confederale, vi diciamo che questo atteggiamento di pura passività che si limita a dichiarazioni sui media senza minacciare l’apertura di una fase conflittuale degna di questo nome, produrrà solo disastri per la classe lavoratrice, che millantate di rappresentare. Non è più possibile rilanciare il conflitto come nell’ultimo sciopero generale del 2011 !?? Cosa è cambiato nell’era Monti da dover far digerire a iscritti e iscritte, lavoratori e lavoratrici, un atteggiamento così subalterno alla classe borghese del nostro paese!?

giovedì 23 febbraio 2012

Un appello agli intellettuali europei

di Vicky Skoumbi, Dimitris Vergetis e Michel Surya*
Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i “rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40 anni.

lunedì 20 febbraio 2012

Riprendiamoci la Cassa Depositi e Prestiti

di Marco Bersani*  
L’analisi espressa, con usuale lucidità, da Guido Viale nel suo articolo La Grecia siamo noi» ( il manifesto del 17/2/2011), andrebbe a mio avviso integrata con una riflessione da aprire a tutto campo su come sia possibile finanziare i necessari cambiamenti che volenti perché collettivamente ci riprendiamo in mano il nostro destino – o nolenti – se continuiamo a credere alle favole del governo dei professori dovremo affrontare. A chi continua a ripetere come un mantra «i soldi non ci sono» occorre certo rispondere con l’argomentazione che una diversa finalizzazione della fiscalità generale – drastica riduzione delle spese militari in primis – renderebbe disponibili risorse oggi non utilizzabili. Ma allo stesso tempo occorre contestare l’assunto in quanto palesemente falso. Perché i soldi ci sono, sono tanti e più che sufficienti per invertire la rotta, chiudendo definitivamente con le politiche liberiste e iniziando a costruire un altro modello sociale, basato sui diritti collettivi, sulla riappropriazione sociale dei beni comuni, sulla riconversione ecologica e democratica dell’economia.
Dodici milioni di persone affidano i propri risparmi a Poste Italiane, attraverso i libretti di risparmio e i buoni fruttiferi. La massa di questi risparmi viene raccolta dalla Cassa Depositi e Prestiti, che, dalla sua nascita nel 1860 e fino al 2003, la utilizzava per permettere agli enti locali territoriali di poter fare investimenti con mutui a tasso agevolato. Nel 2003, la Cassa Depositi e Prestiti è stata tramutata in società per azioni e nel suo capitale societario sono entrate (30%) le fondazioni bancarie. Da allora, la Cassa Depositi e Prestiti si è progressivamente trasformata in una merchant bank che continua a finanziare gli enti locali ma a tassi di mercato e che investe in diversi fondi con finalità di profitto. La massa di denaro mossa annualmente dalla Cassa Deposti e Prestiti è enorme: circa 250 miliardi di euro, con una liquidità disponibile di quasi 130 miliardi di euro; si tratta di gran lunga della “banca” più solida e nello stesso tempo più “liquida” del Paese. E allora alcune riflessioni diventano necessarie.

sabato 18 febbraio 2012

Tutti gli esuberi del finanzcapitalismo. Intervista a Luciano Gallino

di Giuliano Battiston 

Nel suo ultimo libro, Finanzcapitalismo, analizza la trasformazione del passato capitalismo produttivo nell’attuale capitalismo dei mercati finanziari. Una trasformazione durante la quale come nuovo criterio guida dell’azione economica viene adottata la massimizzazione del valore per l’azionista. In che termini questo paradigma ha dato vita a una nuova concezione dell’impresa, favorendone quell’irresponsabilità da lei già criticata ne L’impresa irresponsabile?
La concezione dell’impresa è stata trasformata con grande rapidità, non solo sul piano teorico ma anche nella pratica della gestione e del governo delle imprese, soprattutto dopo gli anni Ottanta del Novecento, quando si è passati da una concezione che potremmo definire istituzionale dell’impresa – per cui essa è o dovrebbe essere un insieme di complessi rapporti sociali tra proprietari, dirigenti, dipendenti, fornitori, comunità locali – a una concezione prevalentemente contrattualistica. Secondo quest’ultima concezione, l’impresa viene intesa come un fascio, un insieme di contratti – stipulati con tutti gli attori che concorrono a vario titolo alla produzione – che hanno una precisa data di scadenza e che possono essere, quali più quali meno, rescissi in ogni momento. Si tratta di una delle manifestazioni della flessibilità che il capitale richiede, anzitutto per se stesso, affinché possa sempre arrivare là dove i rendimenti sono maggiori: dal momento che l’impresa non è nient’altro che un fascio di contratti, se una determinata parte contraente non soddisfa più certe esigenze di rendimento, quel contratto può essere eliminato e sostituito con un altro. Questo vuol dire inoltre che le imprese, perlomeno la maggior parte di esse, non hanno più alcun interesse ad essere localizzate in un determinato luogo, città o paese, e che la componente finanziaria diventa predominante anche nell’organizzazione, perché ciò che conta è il rendimento collegato al contratto.

Il passaggio a una concezione contrattualistica si accompagna dunque alla progressiva finanziarizzazione delle imprese industriali. Quali sono le conseguenze di questo passaggio sulle condizioni del lavoro?
Dato che l’ideologia neoliberale, e la teoria economica in cui essa si esprime, hanno codificato l’idea che il capitale deve essere altamente mobile e flessibile per poter ottenere il rendimento maggiore – un processo che è tipico delle transazioni finanziarie, delle borse e di altri luoghi in cui si scambiano capitali – come conseguenza anche il lavoro deve essere flessibile, oltre che le reti di fornitura e altri aspetti. In altri termini, la mobilità e la flessibilità del capitale comportano la flessibilità del lavoro: se il rendimento di un determinato impianto o di un insieme di servizi, meglio ancora se una certa unità produttiva, che di per sé può andare benissimo, sembra rendere un po’ meno in termini comparati rispetto ad un’altra che opera nello stesso paese o altrove nel mondo, quell’unità viene semplicemente chiusa, i lavoratori licenziati, dismessi, spinti al prepensionamento o lasciati al margine, sulla strada. Ciò è avvenuto in modo vistoso in diversi paesi, inclusa l’Italia, dove molti stabilimenti che sembravano funzionare piuttosto bene hanno ricevuto improvvisamente l’annuncio, da una lontana direzione, che avrebbero dovuto chiudere. Quando il capitale deve essere spostato altrove, i lavoratori diventano – come si usa dire – degli esuberi, visto che anche l’impianto deve essere chiuso o trasferito altrove. La chiusura degli stabilimenti rappresenta un caso estremo, ma ad esso si accompagnano le fortissime pressioni esercitate sui salari, con la funzione principale di massimizzare il rendimento del capitale, prima ancora che per incrementare la produzione.

SOVRANITÀ GIURIDICHE. La suprema legge della diseguaglianza

di Ugo Mattei
Sia in Europa che negli Stati Uniti il principio della «legge uguale per tutti» viene messo in discussione attraverso l'istituzione di norme e assetti legislativi che istituiscono stati d'eccezione per le imprese e il mondo degli affari. Un percorso di lettura sulle tradizioni della civil law e della common law
Diverse fra le «novità giuridiche» del Decreto Crescitalia sono informate alla polemica nei confronti del formalismo, uno «stile giuridico» dal quale liberarsi al più presto perché esso avrebbe come unico effetto il rallentamento della crescita. La polemica non è nuova, anzi costituisce un leit motiv ripetuto nei piani di aggiustamento strutturale di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale che nei loro rapporti doing business classificano gli ordinamenti dal più virtuoso al più vizioso proprio in proporzione inversa al tasso di «formalismo giuridico», ossia dei passaggi e dei controlli che il diritto dei vari Stati impone per aprire una attività di impresa. La novità del Decreto Crescitalia, per ora poco discussa, sta nella introduzione di speciali giurisdizioni per l'impresa, vere e proprie corti speciali competenti a conoscere in materia di diritto commerciale. In tal modo il governo tecnico, probabilmente senza particolare consapevolezza, introduce una radicale soluzione di continuità rispetto ad una tendenza, non soltanto italiana, che ha visto nel corso del novecento, il progressivo imporsi di regole sostanziali e di giurisdizione unitarie nella materia del diritto privato (di cui è parte il diritto dell' impresa) proprio al fine di trovare il giusto bilanciamento fra formalismo e libertà economica.

venerdì 17 febbraio 2012

Lettera aperta di Mikis Theodorakis

Esiste un complotto internazionale con obbiettivo la cancellazione del mio paese. Hanno iniziato dal 1975 con obbiettivo la civiltà neo-greca, hanno continuato con la distorsione della nostra storia contemporanea e della nostra identità culturale ed adesso stanno cercando di cancellarci anche materialmente con la mancanza di lavoro, la fame e la miseria.
Se il popolo greco non prende la situazione in mano per ostacolarli, il pericolo della sparizione della Grecia è reale. Io lo colloco entro i prossimi 10 anni. Di noi, resterà solo la memoria della nostra civiltà e delle nostre battaglie per la libertà.
Fino il 2009 il problema economico non era grave. Le grandi ferite della nostra economia erano la spesa esagerata per la difesa del paese e la corruzione di una parte dei politici e dei giornalisti. Per queste due ferite, però, erano corresponsabili anche dei paesi stranieri. Come la Germania, la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti che guadagnavano miliardi di euro da noi con la vendita annuale di materiale bellico.
Questa emorragia continua, ci metteva in ginocchio e non ci permetteva di crescere, mentre offriva grandi ricchezze ai paesi stranieri. Lo stesso succedeva con il problema della corruzione. La società tedesca Siemens manteneva un settore che si occupava della corruzione dei nostri politici per poter piazzare i suoi prodotti nel mercato greco. Di conseguenza, il popolo greco è stata vittima di questo duetto di ladri, Greci e Tedeschi che si arricchivano sulle sue spalle.
E’ evidente che queste due ferite potevano essere evitate se la leadership dei due partiti di potere (filo americani) non avessero raccolto elementi corrotti, i quali, per coprire l’emorragia di ricchezze (che erano prodotto del lavoro del popolo greco) verso le casse di paesi stranieri, si sono rivolti a prestiti esagerati, con il risultato del aumento del debito pubblico fino a 300 miliardi di euro, cioè 130% del Pil.
Con questo sistema, le forze straniere che ho riferito sopra, guadagnavano il doppio. Prima con la vendita di armi e dei loro prodotti e secondo dai tassi d’interesse dei capitali prestati ai vari governi e non al popolo. Perché come abbiamo visto, il popolo era la vittima principale in ambedue i casi. Un esempio solo vi convincerà. I tassi d’interesse di un prestito di 1 miliardo di dollari che ha contratto Andreas Papandreou nel 1986 dalla Francia, sono diventati 54 miliardi di euro e sono stati finalmente saldati nel…2010!
Il Sig. Giunker ha dichiarato un anno fa, che aveva notato questa grande emorragia dei Greci a causa di spese enormi (ed obbligatorie) per l’acquisto di vari armamenti dalla Germania e dalla Francia. Aveva capito che i nostri venditori ci portavano direttamente ad una catastrofe sicura ma ha confessato pubblicamente che non ha reagito minimamente, per non colpire gli interessi dei suoi paesi amici!
Nel 2008 c’è stata la grande crisi economica in Europa. Si conseguenza era normale che si risentisse anche l’economia greca. Il livello di vita, abbastanza alto (eravamo tra i 30 paesi più ricchi del mondo), è rimasto invariato. C’è stata, però, la crescita del debito pubblico.
Ma il debito pubblico non porta obbligatoriamente alla crisi economica. I debiti dei grandi paesi come gli USA e la Germania, si contano in tris miliardi di euro. Il problema l’esistenza della crescita economica e la produzione. In tal caso, si può prendere prestiti dalle grandi banche con tasso fino al 5%, fino alla fine della crisi.
In questa posizione esattamente ci trovavamo nel 2009, quando c’è stato il cambio del governo nel Novembre ed è diventato primo ministro Giorgio Papandreou. Per capire cosa ne pensa oggi il popolo greco della sua politica catastrofica, vi dico questi due numeri: alle elezioni del 2009 il partito socialista ha preso il 44% dei voti. Oggi le proiezioni lo portano al 6%.
Papandreou avrebbe potuto affrontare la crisi economica (che rispecchiava quella europea) con prestiti dalle banche straniere con il tasso abituale, cioè sotto al 5%. Se avesse fatto questo, non sarebbe stato alcun problema per il nostro paese. Anzi, sarebbe successo l’incontrario perché eravamo in una fase di crescita economica.
Papandreou, però, aveva iniziato il suo complotto contro il proprio popolo dall’estate del 2009, quando si è incontrato segretamente con il Sig. Stros Chan, con l’obbiettivo di portare la Grecia sotto l’ombrello del FMI (Fondo Monetario Internazionale). L’informazione di questo incontro è stata resa pubblica direttamente dal Presidente del FMI.
Per arrivare, però, sotto il controllo del FMI, bisognava stravolgere la situazione economica reale del nostro paese, far impaurire le grandi banche ed alzare i tassi d’interesse per i prestiti a numeri proibitivi. Questa operazione meschina è iniziata con l’aumento falso del debito interno, dal 9,2% al 15%. Per questa operazione criminale, il Pm Sig. Peponis, ha chiesto 20 giorni fa, il rinvio a giudizio per Papandreou e Papakostantinou (Ministro dell’economia).
Ha seguito la campagna sistematica in Europa di Papandreou e del Ministro dell’economia che è durata 5 mesi, per convincere gli europei che la Grecia è un Titanic pronto per andare a fondo, che i greci sono corrotti, pigri e di conseguenza incapaci di affrontare i problemi del paese.
Dopo ogni loro dichiarazione, i tassi d’interesse salivano, al punto di non poter ottenere alcun prestito e di conseguenza il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea hanno preso la forma dei nostri salvatori, mentre nella realtà era l’inizio della nostra morte.
Nel Maggio del 2010 è stato firmato da un solo Ministro il famoso primo accordo di salvataggio. Il diritto greco, in questi casi, esige, per un accordo così importante, il voto favorevole di almeno tre quinti del parlamento. Pertanto, in sostanza, il primo accordo e la Troica che oggi governa in Grecia, agiscono in modo completamente illegale non solo per il diritto greco ma anche per quello europeo.
Dal quel momento fino ad oggi, se i gradini che portano alla nostra morte sono venti, siamo già scesi più della metà. Immaginate che con questo secondo accordo, per la nostra “salvezza”, offriamo a questi signori la nostra integrità nazionale e i nostri beni pubblici. Cioè Porti, Aeroporti, Autostrade, Elettricità, Acqua, ricchezze minerali ecc. ecc. ecc. i nostri, inoltre, monumenti nazionali come l’Acropolis, Delfi, Olympia, Epidauro ecc. ecc. ecc. perché con questi accordi abbiamo rinunciato ad eventuali rincorsi.
La produzione si è fermata, la disoccupazione è salita al 20%, hanno chiuso 80.000 negozi, migliaia di piccole fabbriche e centinaia di industrie. In totale hanno chiuso 432.000 imprese. Decine di migliaia di giovani laureati lasciano il paese che ogni giorno si immerge in un buio medioevale. Migliaia di cittadini ex benestanti, cercano nei cassonetti d’immondizia e dormono per strada.
Nel fra tempo si dice che siamo vivi grazie alla generosità dei nostri “salvatori”, dell’Europa, delle banche e del Fondo Monetario Internazionale. In realtà, ogni pacchetto di decine di miliardi con i quali viene addebitata la Grecia, torna per intero indietro, mentre noi ci accogliamo nuovi incredibili tassi d’interesse. E siccome c’è bisogno di continuare a funzionale lo stato, gli ospedali, le scuole ecc. la troica carica di extra tasse (assolutamente nuove) gli strati più deboli della società e li porta direttamente alla fame. Una situazione generalizzata di fame, abbiamo avuto all’inizio dell’occupazione nazista nel 1941 con 300.000 morti in 6 mesi. Adesso rivediamo la stessa situazione.
Se si pensa che l’occupazione nazista ci è costata 1 milione di morti e la distruzione totale del nostro paese, com’è possibile per noi greci di accettare le minacce della sig.ra Merkel e l’intenzione dei tedeschi di installare un nuovo gaulaighter… e questa volta con la cravatta…
E per dimostrare quant’è ricca la Grecia e quanto lavoratori sono i greci, che sono coscienti del Obbligo di Libertà e dell’amore verso la propria patria, è l’epoca dell’occupazione nazista dal 1941 all’Ottobre del 1944. Quando gli SS e la fame uccidevano 1 milione di persone e la Vermacht distruggeva sistematicamente il paese, derubando la produzione agricola e l’oro dalle banche greche, i greci hanno fondato il movimento di solidarietà nazionale che ha sfamato la popolazione ed hanno creato un esercito di 100.000 partigiani che ha costretto i tedeschi di essere presenti in modo continuo con 200.000 soldati. Contemporaneamente, i greci, grazie al proprio lavoro, sono riusciti non solo a sopravvivere ma a sviluppare, sotto condizioni di occupazione, l’arte neo greca soprattutto i settori di letteratura e di musica.
La Grecia ha scelto la via del sacrificio per la libertà e la sopravvivenza.
Anche allora ci hanno colpito senza ragione e noi abbiamo risposto con la Solidarietà e la Resistenza e ci siamo riusciti. La stessa cosa esattamente facciamo anche adesso ed abbiamo la certezza che il vincitore finale sarà il popolo greco. Questo messaggio mando alla Sig.ra Merkel ed al Sig. Soible, dichiarando che rimango sempre amico del Popolo Tedesco ed ammiratore del suo grande contributo alla Scienza, la Filosofia, l’Arte e soprattutto alla Musica! E forse, la miglior dimostrazione di questo è che tutto il mio lavoro musicale a livello mondiale, l’ho affidato a 2 grandi editori tedeschi “Schott” e “v. Breitkopf” con cui ho un’ottima collaborazione.
Ci minacciano di mandarci via dall’Europa. Ma se l’Europa non ci vuole 1 volta, noi, questa Europa di Merkel e Sarkozi, non la vogliamo 10 volte.
Oggi è domenica 12 Febbraio. Mi sto preparando per prendere parte con Manolis Glezos, l’eroe che ha tirato giù la svastica dall’Acropolis, dando così il segnale per l’inizio non solo della resistenza greca ma di quella europea contro Hitler. Le strade e le nostre piazze si riempiranno di centinaia di migliaia di cittadini che esprimeranno la propria rabbia contro il governo e la troica.
Ho sentito ieri il nostro Primo ministro – banchiere rivolgendosi al popolo greco, dire che “siamo arrivati all’ora zero”. Chi, però, ci ha portati all’ora ZERO in due anni? Le stesse persone che invece di trovarsi in prigione, ricattano i parlamentari per firmare il nuovo accordo, peggio dal primo, che sarà applicato dalle stesse persone con gli stessi metodi che ci hanno portato all’ora ZERO! Perché? Perché questo ordina l’FMI e l’Eurogroup ricattandoci che se non obbediremo ci sarà il fallimento…
Qui assistiamo al teatro della paranoia. Tutti questi signori, che in sostanza ci odiano (greci e stranieri) e che sono gli unici responsabili della situazione drammatica alla quale hanno portato il paese, minacciano, ricattano, ordinano con l’unico scopo di continuare la loro opera distruttiva, cioè di portarci sotto l’ora ZERO, fino alla nostra sparizione definitiva.
Siamo sopravvissuti nei secoli, in condizioni molto difficili ed è certo che se ci porteranno con la forza, con la violenza, al penultimo gradino prima della nostra morte, i Greci, non solo sopravvivranno ma rinasceranno. Questo momento, presto tutte le mie forze all’unione dinamica del popolo greco. Sto cercando di convincerlo che la Troica e l’FMI non è una strada senso unico. Che esistono anche altre soluzioni. Guardare anche verso la Russia per una collaborazione economica, per lo sfruttamento delle nostre ricchezze minerarie, con condizioni diverse, a favore dei nostri interessi.
Per quanto riguarda l’Europa, propongo di interrompere l’acquisto di armamenti dalla Germania e dalla Francia. E dobbiamo fare tutto il possibile per prendere i nostri soldi, che la Germania ancora non ha saldato dal periodo della guerra. Tale somma ad oggi è quasi 500 miliardi di euro!!!
L’unica forza che può realizzare questi cambiamenti rivoluzionari è il popolo greco, unito in un enorme Fronte di Resistenza e Solidarietà, per mandare via la Troica (FMI e Banche) dal paese. Nel fra tempo devono essere considerati nulli tutti gli accordi illegali (prestiti, tassi d’interesse, tasse, svendita del paese ecc.). naturalmente, i loro collaboratori greci, che sono già condannati nella coscienza popolare come traditori, devono essere puniti.
In questo scopo (l’Unione di tutto il Popolo) sono totalmente dedicato e credo che alla fine ce la faremo. Ho fatto la guerra con le armi in mano contro l’occupazione nazista. Ho conosciuto i sotterranei della Gestapo. Sono stato condannato a morte dai Tedeschi e sono vivo per miracolo. Nel 1967 ho fondato il PAM, la prima organizzazione di resistenza contro i colonnelli. Ho agito nell’illegalità contro la dittatura. Sono stato arrestato ed imprigionato nel “mattatoio” della dittatura. Alla fine ho sopravvissuto ancora.
Oggi ho 87 anni ed è molto probabile non riuscire a vedere la salvezza della amata patria. Ma morirò con la mia coscienza tranquilla, perché continuo a fare le mie battaglie per gli ideali della Libertà e del Diritto fino alla fine.

giovedì 16 febbraio 2012

Da dove viene il debito greco*

Eric Toussaint

Il debito pubblico greco è stato in primo piano sulla scena pubblica nel momento in cui i dirigenti di questo paese hanno accettato la cura di austerità richiesta dal Fmi e dall’Ue, che ha provocato lotte sociali molto importanti durante tutto il 2010. Ma da dove viene il debito greco? Dal lato del debito in carico al settore privato l’aumento è recente: un primo balzo avviene subito dopo l’entrata della Grecia nella zona euro, nel 2001 mentre una seconda esplosione del debito si produce a partire dal 2007 quando gli aiuti finanziari concessi alle banche dalla Federal Reserve negli Stati Uniti, dai governi europei e dalla Banca centrale europea (Bce) viene in parte riciclato dai banchieri in direzione della Grecia e di altri paesi come la Spagna e il Portogallo. Dal lato dell’indebitamento pubblico, invece, la crescita è più antica. Dopo il debito ereditato dalla dittatura dei colonnelli, il ricorso al prestito è servito dagli anni 90 in poi a riempire il buco creato nelle finanze pubbliche dalla riduzione delle imposte sulle società e sui redditi più elevati. Peraltro, da diversi decenni, i numerosi prestiti hanno permesso di finanziare l’acquisto di materiale militare principalmente da Francia, Germania e Stati Uniti. Inoltre, non bisogna dimenticare nemmeno l’indebitamento dei poteri pubblici per l’organizzazione dei Giochi olimpici nel 2004. L’ingranaggio del debito è stato oliato con consistenti mazzette da parte delle grandi compagnie transnazionali con lo scopo di ottenere dei contratti: Siemens è un esempio emblematico (...)

Elementi evidenti di illegittimità del debito pubblico Innanzitutto c’è il debito contratto dalla dittatura dei colonnelli, che è quadruplicato tra il 1967 e il 1974. Con tutta evidenza questo rientra nella definizione di debito odioso .
Andando avanti, poi, troviamo lo scandalo dei Giochi olimpici del 2004. Secondo Dave Zirin, quando il governo ha annunciato orgogliosamente nel 1997 ai cittadini greci che la Grecia avrebbe avuto l’onore di accogliere, sette anni più tardi, i Giochi olimpici, le autorità di Atene e il Comitato olimpico internazionale prevedevano una spesa di 1,3 miliardi di dollari. Qualche anno più tardi, il costo era stato moltiplicato per quattro e raggiungeva 5,3 miliardi di dollari. Appena dopo i Giochi, il costo ufficiale aveva raggiunto i 14,2 miliardi di dollari . Oggi, secondo differente fonti, il costo reale supera i 20 miliardi di dollari.
Numerosi contratti siglati tra le autorità greche e grandi imprese private straniere stanno destando scandalo da diversi anni. Quei contratti hanno comportato un aumento del debito. Citiamo diversi esempi che hanno scandito le cronache greche:
- diversi contratti sono stati firmati con la multinazionale Siemens accusata – sia dalla giustizia tedesca che da quella greca – di aver versato commissioni e mazzette al personale politico, militare e amministrativo greco per un valore complessivo che si avvicina al miliardo di euro. I principali dirigenti della Siemens-Hellas, che ha riconosciuto di aver “finanziato” i due grandi partiti greci, è fuggita nel 2010 in Germania e la giustizia tedesca ha rigettato la richiesta di estradizione avanzata dalla Grecia. Gli scandali includono la vendita, fatta da Siemens e dalle sue associate internazionali, del sistema antimissile Patriot (1999, 10 milioni di euro in mazzette), la digitalizzazione dei centri telefonici dell’Ote, l’Organismo greco di telecomunicazioni (mazzette per 100 milioni di euro), il sistema di sicurezza “C41”, acquistato in occasione dei Giochi del 2004 e che non ha mai funzionato, la vendita di materiale alle ferrovie greche (Sek), del sistema di telecomunicazioni Hermes all’esercito, dell’equipaggiamento molto costoso venduto agli ospedali;
- lo scandalo dei sottomarini tedeschi (prodotti da Hdw, assorbita dalla Thyssen) per un valore globale di 5 miliardi di euro, sottomarini che avevano fin dall’inizio il piccolo difetto di pendere pericolosamente….a sinistra (!) e di essere dotati di un equipaggiamento elettronico difettoso. Un’inchiesta giudiziaria su eventuali responsabilità (corruzione) degli ex ministri della Difesa è in corso.

mercoledì 15 febbraio 2012

La Fiom sciopera e la Cgil tratta, non è proprio la stessa cosa

 di Giorgio Cremaschi *

Quando ancora si facevano le trattative per i contratti nazionali, era uso sia dei padroni che dei sindacati mettere il salario in fondo. Prima si affrontavano tutte le questioni normative, poi, alla fine, si faceva l’affondo finale sul salario. Questo quando si voleva andare all’accordo.

La ministra Fornero, con il consenso di tutti, ha proposto di affrontare l’articolo 18 alla fine della trattativa sul mercato del lavoro. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio annuncia che, in ogni caso, sull’articolo 18 interverrà. Questo significa che il tavolo delle parti sociali è segnato dal ricatto del governo, e che dentro quel confronto la modifica dell’articolo 18 è inevitabile.
Per questo lo sciopero della Fiom deciso per il 9 marzo, che formalmente ha il sostegno della Cgil, in realtà va contro la trattativa in corso. Questo anche al di là delle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione. E’ evidente, infatti, che questo sciopero ha un senso solo e se riesce a precipitare sulla trattativa che si sta preparando a tagliare l’articolo 18. In questo le logiche della Fiom e della Cgil non sono le stesse, anche se Landini e Camusso continuano a dichiarare il contrario. Infatti la Cgil è segnata dalla paura di sottrarsi al tavolo, mentre la Fiom spera che quel tavolo salti. D’altra parte se la Cgil fosse davvero d’accordo con lo sciopero, lo farebbe suo e lo estenderebbe, visto che l’articolo 18 non riguarda solo i metalmeccanici. Invece, nulla di tutto questo.
La sostanza è che sul tavolo del mercato del lavoro non c’è nulla di positivo per i lavoratori, anche per i più precari, se non qualche formuletta e qualche buona intenzione. Mentre invece di negativo c’è la flessibilità che si deve generalizzare e non solo nella forma del ridimensionamento della funzione del’articolo 18, ma in quella della cosiddetta libertà di licenziamento economico, cioè nella possibilità delle aziende di saltare la Cassa integrazione e andare direttamente ai licenziamenti con mobilità nella crisi. (...).
E’ la ricetta greca e spagnola. Per questo i padroni sono convinti di strappare qualcosa e tutto l’impianto del confronto porta in quella direzione.
Come nei vecchi tavoli contrattuali alla fine l’accordo sul salario arrivava perché lo si voleva fare, così alla fine il nuovo massacro di diritti, l’estensione della libertà di licenziare ci sarà. E se a quel punto la Cgil si sottrarrà al consenso, non sottoscrivendo quella parte dell’intesa, questo non cambierà molto la sostanza. Già sulle pensioni Cgil, Cisl e Uil hanno subito una secca sconfitta praticamente senza lottare, cosa che ogni lavoratore ancora ricorda e rimprovera. Se passerà la libertà di licenziamento non ci saranno scusanti per chi non ha fatto tutto per impedirlo.

* Rete28Aprile


martedì 14 febbraio 2012

Sindacati alla ricerca disperata di un accordo

del COORDINAMENTO RSU


La trattativa sul mercato del lavoro manifesta ogni giorno che passa una sua particolare assurdità.
Non c'è dubbio che il Governo si è attrezzato al confronto con una sua precisa piattaforma che sostiene una modifica delle normative attuali (ammortizzatori, forme contrattuali e articolo 18) indirizzata ad una maggiore e più pesante subordinazione del lavoro all'interesse di impresa.
Il sindacato è andato al confronto senza una reale coscienza della portata della partita in gioco (a parte l'imbarazzante e debole resistenza sull'art.18). Infatti non ha una piattaforma, non ha avvertito la necessità di un ampio coinvolgimento dei lavoratori attraverso la convocazione di assemblee.
A guidare i comportamenti sindacali sembra essere solo la preoccupazione di non mettere in discussione il governo e di non far saltare la fragile e solo apparente unità della burocrazia sindacale.
A leggere le note (anche di parte sindacale) sull'andamento del confronto, sembra che non vi siano difficoltà ad un accordo salvo tentare di mediare le pretese governative e padronali sull'articolo 18, cercando una soluzione che salvi la faccia.
Cisl e Uil, con la loro disponibilità a procedere ad una "pesante manutenzione" dell'art. 18 hanno già indicato una possibile soluzione che di fatto riduce il valore difensivo della normativa cercando di salvare solo la sua esistenza formale.
La Cgil ha reagito stizzita a questa apertura ma non sembra essere disponibile a nessuna rottura il che la porterà inevitabilmente a accettare una discussione che già prevede l'accettazione di una manomissione della efficacia dell'articolo 18.

Un rifiuto assoluto? Note sulla manifestazione del 12 febbraio ad Atene

di PAVLOS HATZOPOULOS, ILIAS MARMARAS e DIMITRIS PARSANOGLOU


1. La manifestazione del 12 febbraio ad Atene ha rafforzato ciò che è divenuto sempre più chiaro nelle scorse settimane: una crescente maggioranza del popolo greco sostiene il rifiuto, netto, del secondo memorandum. Nonostante la paura diffusa a pieni mani dalle forze a favore del memorandum sul fatto che un voto parlamentare negativo comporterebbe un’immediata uscita dall’euro e la conseguente “africanizzazione” della Grecia, il sostegno popolare ai nuovi prestiti di Ue, Bce e Fmi e alle connesse misure di austerity sta diminuendo in modo significativo. Il dibattito politico ufficiale è sempre più basato sulla politica della paura: l’argomentazioni principale del governo e dei media mainstream consiste da un lato nella nuda minaccia di cosa significherebbe una disordinata bancarotta greca – invocando spesso le similitudini con la situazione della Grecia durante l’occupazione delle truppe tedesche e italiane nella seconda guerra mondiale – con la mancanza di cibo, medicine e servizi come gas, riscaldamento ed elettricità; dall’altro lato, perfino i media mainstream non possono che essere critici, per una qualsiasi forma di legittimità, quando si trovano a diretto contatto con la maggior parte degli smantellamenti di forniture previsti dal secondo memorandum, come l’automatica diminuzione del 22% dei salari minimi, del contenuto e dello scopo della contrattazione collettiva e così via, insistendo comunque “nell’analisi finale” sul fatto che il dilemma posto lascia una sola scelta.
Nelle attuali condizioni, il crescente impoverimento di un’ampia parte della popolazione e il collasso delle strutture del welfare-state rendono questa linea argomentativa sempre meno efficace. Nell’esperienza quotidiana della maggior parte della popolazione lo spettro della destituzione e distruzione dei servizi pubblici universali è vissuta come risultato diretto delle politiche di austerity. Il rifiuto massificato del secondo memorandum tende così a divenire assoluto: assume forza al di là e oltre ogni tipo di razionalizzazione delle future politiche ufficiali e degli appelli a nuovi inizi articolati dal governo e dagli interessi finanziari. Nell’arrivo del periodo critico, l’apertura della sfera politica è legata alle lotte sulle forme che può assumere questo rifiuto assoluto e su che tipo di azioni politiche possono essere costruite attorno ad esso.

Il dogma nucleare sta fondendo

da Global Project

il nucleare francese è un nucleare europeo,
l'energia come la mobilità,
i servizi e le infrastrutture, l'alta velocità, ma...


Per conoscere come si giocherà l'uscita dal ciclo produttivo dell'energia atomica in Europa è utile mettere a fuoco la situazione in Francia
Retrospettivamente, 11 marzo 2011: Fukushima e le successive settimane di suspence: dove tira il vento? Tokyo sarà irradiata? I cuori dei reattori fonderanno? La catastrofe è classificata allo stesso livello di Cernobyl, il trauma è mondiale, la Germania decide di uscire dal nucleare dal 2022, l'Italia si interroga con un secondo referendum che conferma un definitivo "No". La Svizzera si indirizza verso l'abbandono totale. Il Giappone frena la sua produzione e annuncia una prospettiva in retromarcia. Solo la Francia resta imperturbabile. Sarkozy: "mi batterò per difendere il nucleare perché non c'è attualmente alcuna energia alternativa, salvo dire ai francesi di scaldarsi e illuminare a lume di candela" (5/4/11). Il mondo intero esplora altre soluzione energetiche, la Francia si aggrappa all'atomo nazionale...

domenica 12 febbraio 2012

Prime note per una inchiesta politica nel Mezzogiorno

di Francesco Maria Pezzulli


Come articolare una inchiesta politica nel Mezzogiorno? Come far si che il momento conoscitivo non sia disgiunto da quello politico? Risposte preconfezionate non ce ne sono, il tema è quanto mai spinoso. Le note che seguono sono state elaborate nell’ambito del seminario di ricerca “New welfare per un Sud Comune”, tenutosi a Cosenza tra dicembre 2011 e febbraio 2012, che ha affrontato i temi chiave dello sviluppo capitalistico finanziario e delle potenzialità di lotta che si danno nel nuovo assetto. Il tema dell’inchiesta, approfondito criticamente durante una giornata dei lavori, è stato costante nel dibattito che ha percorso l’intero seminario. Una domanda rivoltaci più di una volta è stata la seguente: se l’inchiesta rappresenta un ambito dove sono tenuti assieme “produzione di sapere”, “produzione di soggettività” e “organizzazione politica”, quali potenzialità potrà mai questa esprimere in un territorio come il Mezzogiorno che da oltre mezzo secolo – esclusion fatta per i tumulti recenti – è refrattario all’azione collettiva ed alla lotta politica?
Dicevamo che non abbiamo risposte preconfezionate, quello che sappiamo però è che l’unica risposta possibile non è di tipo logico, ma pratico. Solo immergendoci nel lavoro d’inchiesta, facendogli muovere i primi passi, è possibile trarre risposte conseguenti: negarsi prima dell’esperienza è un atto di fede o una convinzione conservatrice. Per arrivare a Messene, come ricorda il vecchio sul ciglio della strada di Esopo, bisogna prima d’ogni considerazione iniziare a camminare.
Le note appresso riportate vogliono essere un incipit per il cammino, un riferimento iniziale per chi intende cimentarsi operativamente in un’inchiesta politica nel Mezzogiorno.

sabato 11 febbraio 2012

Dal forno di Manzoni ai nuovi movimenti anti-crisi

di Mario Minarda


Creare è resistere. Resistere è creare
Stèphane Hessel, Indignatevi!


Nel dodicesimo capitolo dei Promessi sposi si assiste al noto episodio dell’assalto al «forno delle grucce», in cui, nel giorno di San Martino del 1628, la popolazione cittadina del comune di Milano, stremata per le condizioni di vita e soprattutto per il rincaro del prezzo del pane, si auto-organizza in «crocchi» spontanei e prende di mira i forni della città, creando scompiglio e devastazione. Il tumulto coglie di sorpresa persino lo stesso Renzo, sopraggiunto nel capoluogo lombardo dalle campagne circostanti. Già l’incipit del capitolo palesa un atto di realtà inequivocabile, ovvero uno stato di crisi cogente in cui si sprofonda senza scampo alcuno, come denuncia l’aggettivo («Era quello il secondo anno di raccolta scarsa»). Nel preambolo che apre la vicenda e immette il lettore nel vivo dei fatti successivi, il narratore esterno cerca di spiegare quindi,con precisa e al contempo stringente risoluzione, tutte le cause della crisi agraria in apparenza sopraggiunta all’improvviso. In realtà essa, definita come «una repentina esacerbazione di un mal cronico», è frutto di un vulnus che proviene da lontano, e che è da addebitare sia alla ovvia carestia dei raccolti, sia alla condotta spesso imprudente degli uomini, oltre che allo «sperperìo della guerra». Conseguenza immediata della penuria sono gli atteggiamenti di sconforto da parte della popolazione, alimentati a loro volta dall’ondivaga opinione pubblica e da «supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra», ma che «lusingano ad un tempo la collera e la speranza». E proprio la rabbia esplode in maniera esplicita allorquando un clima di grave ristagno politico spinge verso provvedimenti estremi quali appunto un nuovo rincaro dei prezzi, imposto da una giunta tecnica di magistrati, decisa a non scontentare nessuno. La rivolta divampa ugualmente ed è preparata da tutta una fitta congerie di umori e sentimenti che serpeggiano tra la gente, creando intricati veicoli di comunicazione. I rumores popolari mutano ben presto la parola sediziosa in azione violenta e disperata. «La persuasione e la passione»,scrive l’autore, cioè, l’eccitazione e l’accorato senso collettivo contro l’ingiustizia virano in un baleno verso la sovversione drastica.  Il volto della protesta emerge così in tutta la sua vibrante spontaneità, inglobata nei colori vivaci della folla in movimento e rappresentata nella teatrale pagina manzoniana attraverso l’uso di efficaci metafore acquatiche («l’acqua si andava intorbidando»; «spinti anch’essi da altri come flutti da flutti»; «egli fendeva l’onda del popolo», ecc.). Il momento culmine poi, dell’appropriazione indebita del pane da parte della gente affamata, somiglia ad una irrigazione di canali mal controllata, o piuttosto ad una cieca caccia furiosa:
Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l’inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi. (…) La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba. (…) La folla si sparge ne’magazzini. Metton mano ai sacchi, li strascinano, li rovesciano(…) chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli,spinte, rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto svela e annebbia. Di fuori una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e s’intralciano a vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare  a farne.



venerdì 10 febbraio 2012

L'immaginazione sociale è bloccata e trionfa il monetarismo

di Franco Berardi Bifo

 «Occorre dare vita all'Europa politica, occorre una capacità di decisione politica comune». Questo è stato per molto tempo il ritornello di molti eurofili benintenzionati. Nei giorni della crisi greca intellettuali come Jurgen Habermas e Barbara Spinelli lo hanno rilanciato con toni drammatici. Mentre la cura neoliberista e la speculazione finanziaria producevano i loro effetti congiunti sull'economia dei paesi più deboli, l'unica salvezza sembrava poter venire da un salto in avanti nell'unità politica. Alla fine sembra di poter dire che gli eurofili sono stati accontentati. Infatti quel che di nuovo è venuto fuori dalla crisi di primavera è proprio questo: per la prima volta l'entità europea decide di agire in maniera politicamente coordinata. Peccato che l'unità si manifesti unicamente come affermazione di una maggior rigidità nell'applicazione delle norme monetariste. La politica al posto di comando per affermare con decisione che solo la finanza è al posto di comando, e solo gli interessi della finanza contano per il ceto politico europeo.

lunedì 6 febbraio 2012

La Rappresentatività Frantumata

di Sergio Riggio

Le recenti vicende legate alle iniziative di Marchionne alla Fiat (deroghe ai CCNL, chiusura dello stabilimento di Termini, etc.) e alle manovre finanziarie del governo (dal blocco dei contratti del P.I. e degli scatti di anzianità all’art.8 dell’ultima manovra che recepisce in pieno le direttive di Marchionne) rendono ormai chiarissima la linea che le borghesie al governo o all’opposizione intendono seguire per superare la crisi. Molto meno chiaro appare invece come le forze del lavoro, in tutte le forme in cui esso oggi si rappresenta, vogliono uscire dal cul de sac in cui questa accelerazione dell’offensiva capitalista le ha cacciate.
Se al livello politico e sociale appare chiaro che si tratta oggi di ricostruire un soggetto conflittuale e una teoria che sono andati in frantumi dopo i 40 giorni di resistenza operaia alla Fiat nel 1980 e la sconfitta al referendum sulla scala mobile, l’enormità di questo compito si scontra con un’ulteriore pesante contraddizione: all’oggettivo moltiplicarsi dei confitti si contrappone l’incapacità dei soggetti che lo agiscono a comunicare tra loro a mettere esperienze a confronto, a creare strutture comuni.
Questo limite non ha certo impedito che in questi anni e soprattutto oggi non siano esplosi movimenti in cui soggettività diverse abbiano trovato modalità di azione comune anche innovative come i forum sociali o non abbiano avuto la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione tecnologicamente avanzatissimi per rompere l’isolamento mediatico, tutto ciò non è bastato comunque a formalizzare processi aggregativi che dessero anche lontanamente l’idea di una pratica duratura verso l’alternativa.
Così ad esempio il mondo del lavoro classicamente inteso, soggetto tra i soggetti, nonostante eroici tentativi di resistenza e di organizzazione innovativi e nonostante gli spazi politici lasciati vuoti dalla crisi dei partiti e dei sindacati concertativi, si ritrova privo di una rappresentanza che possa tentare di rompere l’isolamento e riannodare i fili di una solidarietà sociale considerata ormai quasi reperto archeologico.
Certo mi rendo perfettamente conto che non basta una attenta analisi di fase per superare i limiti espressi dai soggetti in campo in questi anni ma è da lì che bisogna ripartire per evidenziare errori e potenzialità. Cercherò quindi di abbozzare un tentativo di proposta politica a partire da una parzialità che è quella della mia militanza nel sindacalismo di base.