di Anna Curcio e Gigi Roggero*
Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi (ventiseienne, diplomato, costretto a fare il venditore ambulante di frutta e verdura per campare) si immola nella città tunisina di Sidi Bouzid, per protestare contro l’arroganza della polizia e l’insopportabilità delle condizioni di vita. Pochi, allora, potevano pensare quel gesto come l’inizio simbolico di un processo insurrezionale che avrebbe condotto alla caduta del regime di Ben Ali e a quello di Mubarak in Egitto, per poi estendersi ad ampie aree del Nord Africa e del cosiddetto mondo arabo. Ed era ancora meno facile prevedere che ciò sarebbe stato il preludio di una sollevazione globale dentro la crisi economica contemporanea. Non si è trattato, tuttavia, di un evento privo di radici: al contrario, in Tunisia come altrove le genealogie sono profonde e complesse. Da un lato, affondano nei conflitti operai e studenteschi, nelle lotte e nelle dinamiche di sedimentazione politica e organizzativa che hanno attraversato l’ex colonia francese a partire dagli anni Ottanta. Dall’altro, la composizione che ha guidato il processo insurrezionale – giovani, altamente scolarizzati e produttori di saperi, precari e disoccupati, in qualche modo simboleggiati dalla biografia dello stesso Bouazizi, a cui si può aggiungere il grande protagonismo delle donne – ha in tutta evidenza tratti affatto comuni con i movimenti che si sono sviluppati nella crisi sull’altra sponda del Mediterraneo, dall’Inghilterra all’Italia, dall’Austria alla Grecia, e poi ancora in Cile e, appunto, negli Stati uniti.
Non è solo, allora, un ponte ideale che collega i movimenti del Nord Africa a quelli del Nord America. Esattamente nove mesi dopo che il fuoco aveva avvolto il corpo di Bouazizi, il 17 settembre 2011 alcune centinaia di altri corpi sfruttati che bruciano di indignazione si sono sollevati raccogliendo l’appello lanciato dalla rivista militante canadese Adbusters il 4 luglio precedente su Twitter con l’hashtag Occupy Wall Street, insediandosi in quello che è considerato il “ventre della bestia”. In tempi maledettamente accelerati, Occupy si è allargato e rafforzato, procedendo in modo estensivo e intensivo: ha superato i confini di Wall Street per diffondersi in tutti gli Stati uniti, travolgendo narrazioni consolidate, dettando una nuova agenda politica. Del resto, se il distretto finanziario newyorchese rappresenta simbolicamente il cuore del capitalismo contemporaneo, la crisi mostra come la sua materialità permei spazi e tempi di tutte le aree del mondo, senza un fuori e, tutto sommato, senza un centro. La composizione del movimento – che da subito ha assunto il nome comune dalla sua pratica qualificante, Occupy – è ancora una volta simile a quella delle lotte già ricordate. Perciò riflettere su Occupy Wall Street ci porta, necessariamente, a interrogarci sui caratteri non esclusivamente contingenti e locali del movimento.